Un nuovo studio di fase 2, pubblicato sul New England Journal of Medicine, ha valutato l’efficacia di tobevibart, un anticorpo monoclonale, ed elebsiran per l’epatite D
Un nuovo studio di fase 2, pubblicato sul New England Journal of Medicine, ha valutato l’efficacia di tobevibart, un anticorpo monoclonale, ed elebsiran, un RNA interferente, nel trattamento dell’infezione cronica da virus dell’epatite D (HDV), una delle più aggressive forme di epatite virale. I risultati mostrano una significativa riduzione della carica virale e un miglioramento degli indicatori di danno epatico, con un profilo di sicurezza generalmente favorevole.
Un nuovo approccio terapeutico contro uno dei virus epatici più difficili
L’epatite D rappresenta una delle forme più severe di epatite virale cronica, poiché può infettare solo persone che hanno già contratto l’epatite B e tende a evolvere rapidamente verso cirrosi o insufficienza epatica.
Per anni le opzioni di cura sono state limitate e spesso poco efficaci. In questo contesto, due molecole innovative tobevibart, un anticorpo monoclonale che agisce contro l’antigene di superficie del virus B (HBsAg), ed elebsiran, un piccolo RNA interferente mirato allo stesso bersaglio, aprono scenari completamente nuovi.
Lo studio di fase 2, tuttora in corso, ha arruolato soggetti con epatite D cronica assegnandoli a due regimi: una terapia combinata con tobevibart più elebsiran somministrati ogni quattro settimane, oppure tobevibart in monoterapia ogni due settimane. L’obiettivo principale era ottenere, dopo 24 settimane, una risposta combinata composta da una riduzione marcata dell’RNA dell’HDV e dalla normalizzazione dell’ALT, un enzima che indica l’infiammazione epatica.
Risultati incoraggianti: calo della carica virale e miglioramento della funzionalità epatica
I risultati a 24 settimane mostrano un quadro complessivamente positivo. La risposta combinata è stata osservata nel 47% dei pazienti trattati con tobevibart + elebsiran e nel 70% di quelli trattati con tobevibart da solo. Tuttavia, la combinazione ha ottenuto un dato notevole: una risposta virologica del 100% (tutti i pazienti hanno ridotto l’HDV RNA), contro l’82% del gruppo monoterapia. La normalizzazione dell’ALT, invece, è stata più frequente nei soggetti in monoterapia (76%) rispetto alla combinazione (47%).
A 48 settimane le differenze si sono riequilibrate: la risposta combinata è stata del 56% nel gruppo combinato e del 61% nel gruppo monoterapia. La combinazione ha mostrato però un vantaggio significativo in un parametro critico: il 66% dei pazienti trattati con entrambi i farmaci ha raggiunto livelli di HDV RNA non rilevabili, contro il 48% di quelli in monoterapia.
Inoltre, il calo dell’HbsAg, un elemento chiave per il controllo a lungo termine dell’infezione B e D, è stato molto più marcato con la combinazione (HBsAg <10 UI/mL nel 91% dei pazienti, contro solo il 21% del gruppo tobevibart).
Sul fronte della sicurezza, gli eventi avversi sono stati frequenti ma prevalentemente lievi o moderati: influenza-like e brividi sono stati i sintomi più comuni. Importante notare che non si sono registrati rialzi significativi delle ALT all’inizio della terapia, un elemento di conforto per la tollerabilità epatica.
La sfida dell’epatite D: perché questi risultati contano
La gestione dell’epatite D rimane complessa e il bisogno di terapie efficaci è ancora molto alto. Il meccanismo alla base della combinazione tobevibart–elebsiran mira a ridurre l’espressione dell’HBsAg, essenziale non solo per la replicazione del virus B ma anche per la sopravvivenza del virus D. La riduzione dell’HBsAg a livelli molto bassi registrata nel gruppo combinato suggerisce un possibile approccio di lungo periodo che potrebbe cambiare la storia naturale della malattia.
Sebbene alcuni risultati preliminari favoriscano la monoterapia in termini di normalizzazione dell’ALT, la superiorità della combinazione nel ridurre profondamente sia l’HDV RNA sia l’HBsAg apre la strada a ulteriori indagini e potenziali sviluppi terapeutici più mirati.
In conclusione, lo studio di fase 2 evidenzia che tobevibart, sia in monoterapia sia in associazione con elebsiran, riduce in modo significativo l’HDV RNA e migliora gli indicatori di danno epatico nel corso di 48 settimane. La combinazione si distingue per l’alta percentuale di pazienti con virus non rilevabile e per il marcato calo dei livelli di HBsAg, un risultato di grande rilevanza clinica. Serviranno ulteriori studi, ma queste nuove strategie terapeutiche potrebbero rappresentare un importante passo avanti nel trattamento dell’epatite D, una delle malattie virali più aggressive e difficili da domare.
Tarik Asselah et al., A Phase 2 Trial of Tobevibart plus Elebsiran in Hepatitis D. N Engl J Med. 2025 Nov 9. doi: 10.1056/NEJMoa250882
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