Antonio Candela, ingegnere calabro-lucano e amministratore del ConUnibas dell’Università della Basilicata, indica ai giovani come superare la crisi con atteggiamento generativo
Antonio Candela, calabro-lucano, nativo di Lauropoli-Cassano all’Ionio, ingegnere, vive e lavora in Basilicata. Si occupa di progettazione e gestione di azioni innovative con ricadute sociali e culturali. Laureato in ingegneria, con un master in europrogettazione e uno in safety manager è specializzato nel settore della bioedilizia, della consulenza bancaria e della comunicazione. Amministratore anche del consorzio ConUnibas dell’Università degli studi della Basilicata e della Domotica & Automazioni GSA, è membro del CTS Cluster regionale sull’industria culturale e creativa.
Ha pubblicato Generazione cerniera, (Ecra, Roma, 2025, pp.188) che ha presentato con lusinghiero successo in varie regioni d’Italia, e analizza la situazione dei giovani italiani dopo la Repubblica dei partiti, investiti da crisi morale, finanziaria e istituzionale, asserendo che la soluzione potrebbe essere la sua “generazione cerniera”. Per questa sua particolare competenza ha rilasciato la seguente intervista.
1.“Generazione cerniera”: perché? Quale valenza culturale, sociale, esistenziale presenta?
«Ho coniato il termine Generazione Cerniera perché avevo bisogno di un nome che spiegasse un vissuto collettivo: quello di chi, nato attorno agli anni ’80, si è ritrovato esattamente nel passaggio tra due mondi. Siamo cresciuti nell’analogico, ma abbiamo imparato a vivere nel digitale. Abbiamo visto internet nascere, i social esplodere, la pandemia accelerare ogni processo. E mentre tutto cambiava, noi ci siamo adattati, spesso in silenzio, assorbendo trasformazioni epocali senza davvero aver voce per guidarle. Per questo siamo una “cerniera”: unione tra ciò che era e ciò che sarà.
Una cerniera tiene insieme, collega, armonizza. E così questa generazione può rimettere in equilibrio tre dimensioni oggi profondamente squilibrate: tecnologia, comunità e umanità.
La valenza culturale e sociale è enorme: -riconosciamo un’identità collettiva che finora nessuno aveva nominato; – restituiamo dignità a una generazione precaria ma competente; -e soprattutto lanciamo un messaggio: non siamo una generazione “di mezzo”, siamo una generazione ponte.»
2. destinatari del suo saggio sono precisamente: i giovani nati dopo la “Repubblica dei partiti” investiti da crisi morale, finanziaria e istituzionale: la soluzione può essere il suo “generazione cerniera”?
«La Generazione Cerniera non è una soluzione preconfezionata, ma un atteggiamento generativo.
Il libro parla soprattutto ai giovani che non hanno vissuto la “Repubblica dei partiti”, ma hanno ereditato le sue crepe: precarietà, instabilità, sfiducia nelle istituzioni, mancanza di visione. La tesi è semplice: la crisi non si subisce, si attraversa. E nell’attraversarla si costruiscono nuove opportunità. Non consegno risposte statiche, ma un metodo: -leggere la realtà senza vittimismo, -coltivare competenze reali, -creare reti, -trasformare i territori in luoghi di possibilità, -ritrovare il valore dell’impegno e della cooperazione. Questa generazione può diventare davvero una cerniera se smette di aspettare soluzioni dall’alto e inizia a costruire soluzioni dal basso. Non per sostituire la politica, ma per stimolarla.»
3.In che modo i giovani possono essere protagonisti del proprio destino e trasformare gli ostacoli, le situazioni difficili in opportunità di lavoro?
«Il punto di partenza è uno: allenare lo sguardo. Un’opportunità non è quasi mai qualcosa che ti arriva addosso: è quasi sempre un ostacolo guardato con occhi diversi. Nel libro racconto tre passaggi fondamentali: 1. Percezione – saper riconoscere ciò che gli altri non vedono: un bisogno del territorio, una competenza non coperta, un problema da risolvere. 2. Reti – il 70-80% delle opportunità oggi nasce da relazioni, non da concorsi o CV inviati. 3. Coraggio – prima o poi tutti devono uscire dalla zona di comfort. Questa generazione ha un vantaggio enorme: è abbastanza giovane per innovare, abbastanza adulta per capire la complessità. Il lavoro non nasce solo da un titolo: nasce dall’atteggiamento.»
4.Incertezza e difficoltà di inserimento nel tessuto lavorativo come si possono superare e trasformare in opportunità positive?
«L’incertezza non è una parentesi: è la condizione permanente delle società contemporanee.
Per questo non va subita: va governata. Nel libro propongo un capovolgimento: non chiedersi come evitare l’incertezza, ma come usarla come leva di crescita. Tre strumenti concreti: -Formazione continua, perché l’80% delle professioni emergenti è digitale e solo il 30% degli adulti tra 35 e 45 anni ha competenze adeguate. -Mentalità di crescita, cioè non temere il fallimento ma considerarlo tappa naturale. -Proattività, la capacità di anticipare e non inseguire. La verità è che il mondo del lavoro premia chi sa adattarsi. Non chi è più forte, ma chi è più veloce nel cambiare, come ricordava Darwin.»
5.È molto difficile superare le difficoltà personali, locali e le situazioni di depauperamento territoriali?
«È difficile, ma non impossibile. E soprattutto: non è un cammino che si può fare da soli. Le fragilità personali e quelle territoriali si somigliano: entrambe nascono da mancanza di visione, isolamento, sfiducia. E si superano con tre parole: comunità, cooperazione, opportunità. Lo vedo ogni giorno nella mia esperienza in Basilicata e in giro per il Paese, nei progetti che porto avanti con le mie aziende e nelle comunità dove vengo chiamato ad operare: un territorio diventa attrattivo quando smette di raccontarsi in termini di mancanze e inizia a raccontarsi in termini di possibilità. E quando i giovani vedono queste possibilità, non scappano: restano, tornano o arrivano.»
6.Pur tra numerose difficoltà ambientali, i giovani in che modo possono trasformare eventuali opportunità lavorative in vero e proprio successo personale e per la comunità in cui operano?
«Il successo non è solo individuale: è un moltiplicatore. Quello che funziona davvero non è ciò che ti arricchisce, ma ciò che arricchisce anche gli altri. Per trasformare un’opportunità in un successo duraturo servono tre elementi: 1. Competenza -non improvvisare, studiare, aggiornarsi. 2. Comunità -nessun progetto resiste senza alleanze. 3. Impatto -misurare non solo ciò che produci, ma ciò che generi: posti di lavoro, nuove idee, energie, relazioni. Il giovane che riesce a creare valore per sé e per chi lo circonda non costruisce solo una carriera: costruisce un pezzo di futuro del territorio.»
7.La generazione cerniera riuscirà -secondo lei- a superare l’incertezza economica, politica e sociale contemporanea?
«Sì, se farà ciò che storicamente sa fare meglio: tenere insieme ciò che oggi sembra diviso. La nostra generazione ha già attraversato: -il passaggio al digitale, -la globalizzazione, -due crisi economiche, -una pandemia, -un cambiamento nel modello del lavoro senza precedenti. Siamo abituati alle transizioni: le abbiamo nel DNA. Se sapremo mettere insieme tecnologia ed empatia, innovazione e comunità, IA e intelligenza collettiva, allora sì: non solo supereremo l’incertezza, ma costruiremo un nuovo equilibrio sociale, più umano e sostenibile. L’algoritmo della nostra epoca è quello statistico. L’algoritmo che può salvarla è quello dell’amore».
E così sia!
(m. z.)

