Sindrome nefrosica idiopatica pediatrica: dagli ultimi studi arrivano risultati positivi in fase III con terapia anti-CD20
Un anticorpo monoclonale diretto contro la proteina CD20, obinutuzumab, ha mostrato risultati clinici significativi nei bambini e nei giovani adulti con sindrome nefrosica idiopatica (INS), una rara malattia renale autoimmune che rappresenta ancora oggi una delle principali sfide nella nefrologia pediatrica.
I dati provengono dallo studio internazionale di fase III INShore, condotto su 85 pazienti tra 2 e 25 anni con forme frequenti o steroido-dipendenti della malattia. Lo studio ha confrontato il trattamento obinutuzumab rispetto a micofenolato mofetile (MMF), terapia di riferimento nelle fasi di mantenimento, valutandone efficacia e sicurezza in un follow-up di 52 settimane.
Migliore remissione e riduzione dell’uso di corticosteroidi
L’anticorpo anti-CD20 ha raggiunto l’endpoint primario dello studio, con una quota significativamente maggiore di pazienti in remissione completa sostenuta a un anno rispetto al gruppo MMF.
La remissione era definita dall’assenza di recidive e da livelli di proteinuria inferiori a 0,2 nel rapporto proteina/creatinina urinaria.
Tra gli endpoint secondari, i ricercatori hanno registrato:
• un aumento della sopravvivenza libera da recidive (RFS);
• un prolungamento del tempo alla ricaduta o alla morte;
• una riduzione significativa della dose cumulativa di corticosteroidi;
• una diminuzione del numero totale di recidive rispetto al gruppo di controllo.
Il profilo di sicurezza si è confermato coerente con quanto già osservato negli adulti trattati con obinutuzumab per altre indicazioni autoimmuni e non ha evidenziato nuovi segnali di tossicità.
Un cambiamento di paradigma terapeutico
La sindrome nefrosica idiopatica è una condizione cronica caratterizzata da perdita massiva di proteine urinarie, edema e aumento della suscettibilità alle infezioni, spesso associata a un importante carico psicologico per pazienti e famiglie.
Nella maggior parte dei casi l’esordio avviene in età pediatrica e il trattamento standard si basa ancora oggi su corticosteroidi, che tuttavia presentano tassi di recidiva elevati (oltre il 70%) e significativi effetti collaterali a lungo termine — tra cui ritardo di crescita, ipertensione, obesità, alterazioni metaboliche e disturbi dell’umore.
Negli ultimi anni, l’attenzione si è concentrata sul ruolo dei linfociti B come potenziali driver dell’infiammazione e del danno renale. L’anticorpo anti-CD20 agisce legandosi a una proteina di superficie di queste cellule, inducendone la deplezione selettiva e riducendo l’attività immunitaria anomala che porta alla perdita di proteine nelle urine.
Secondo Levi Garraway, Chief Medical Officer di Roche, “i risultati dello studio dimostrano che un approccio mirato alle cellule B può garantire un controllo più duraturo della malattia e ridurre la dipendenza dai corticosteroidi, migliorando la qualità di vita dei pazienti e limitando gli effetti collaterali cumulativi.”
Il disegno dello studio INShore
INShore (NCT05627557) è il primo studio globale di fase III che ha valutato una terapia mirata in questa popolazione di pazienti.
I partecipanti sono stati randomizzati in rapporto 1:1 a ricevere:
• obinutuzumab, somministrato per via endovenosa alle settimane 0, 2, 24 e 26;
• micofenolato mofetile, assunto quotidianamente per via orale.
Tutti i pazienti erano in remissione clinica al momento dell’arruolamento e sono stati monitorati per 52 settimane.
Oltre all’efficacia clinica e alla sicurezza, i ricercatori hanno analizzato anche parametri di laboratorio, qualità di vita e riduzione del carico terapeutico steroideo.
Verso un approccio integrato alle malattie renali autoimmuni
I risultati di INShore si inseriscono in una più ampia linea di ricerca che esplora il ruolo della deplezione dei linfociti B nelle patologie renali mediate dal sistema immunitario.
Studi precedenti avevano già mostrato come la stessa molecola potesse migliorare gli esiti nei pazienti adulti con nefrite lupica, portando nel 2025 all’approvazione da parte della FDA per questa indicazione.
L’obiettivo a medio termine è estendere il paradigma dell’immunoterapia mirata anche ad altre forme di nefropatia autoimmune, come la glomerulonefrite membranosa o la sindrome nefrosica resistente, condizioni in cui le opzioni terapeutiche restano limitate.
Implicazioni cliniche
La possibilità di indurre e mantenere la remissione con una terapia mirata, riducendo al minimo l’uso cronico di steroidi, rappresenta un cambio di paradigma nella nefrologia pediatrica.
Se confermati da ulteriori studi e dalla valutazione regolatoria, questi risultati potrebbero portare a un nuovo standard di cura, migliorando la prognosi e la qualità di vita dei pazienti più giovani.

