Nefropatia: il rapporto albumina-creatinina nelle urine (UACR) è un predittore più accurato del rischio di insufficienza renale rispetto al rapporto proteina-creatinina nelle urine (UPCR)
I risultati di un’ampia metanalisi su quasi 150.000 pazienti con malattia renale cronica (CKD), pubblicati su Annals of Internal Medicine, hanno dimostrato che il rapporto albumina-creatinina nelle urine (UACR) è un predittore leggermente ma significativamente più accurato del rischio di insufficienza renale rispetto al rapporto proteina-creatinina nelle urine (UPCR). Tale vantaggio è risultato particolarmente evidente nei soggetti con CKD a rischio elevato, confermando l’utilità clinica dell’UACR come parametro di riferimento per la stratificazione del rischio renale.
Razionale e obiettivi dello studio
La valutazione della proteinuria rappresenta una componente essenziale nella diagnosi, nel monitoraggio e nella prognosi della malattia renale cronica. L’aumento dell’escrezione urinaria di proteine segnala un danno glomerulare e si associa ad un rischio più elevato di progressione della CKD e di eventi cardiovascolari.
Tradizionalmente, la proteinuria viene misurata su campioni estemporanei di urina attraverso due principali indicatori:
– Il rapporto albumina-creatinina nelle urine (UACR), che quantifica l’albumina, la proteina più abbondante nelle urine
– Il rapporto proteina-creatinina nelle urine (UPCR), che misura l’escrezione totale di proteine.
Entrambi i metodi hanno progressivamente sostituito la raccolta urinaria delle 24 ore per ragioni di praticità. Tuttavia, l’impiego preferenziale di UACR o UPCR varia tra le linee guida e le pratiche cliniche, influenzato da fattori come la disponibilità dei test, i costi e le caratteristiche dei pazienti (per esempio, l’UACR è più comune nei pazienti diabetici, mentre l’UPCR è utilizzato nei disordini plasmacellulari come il mieloma multiplo).
Poiché non era chiaro quale dei due indici fosse più strettamente correlato agli outcome clinici renali e cardiovascolari — né se tale relazione variasse in base a caratteristiche specifiche dei pazienti — lo scopo dello studio è stato quello di confrontare le prestazioni di UACR e UPCR nella previsione degli outcome correlati alla CKD, con particolare attenzione al rischio di insufficienza renale e di eventi cardiovascolari.
Disegno dello studio
Lo studio in questione, condotto dal Chronic Kidney Disease Prognosis Consortium (CKD-PC), è una metanalisi a livello di dati dei singoli pazienti, che ha incluso 38 studi clinici e di ricerca, per un totale di 148.994 partecipanti, con misurazioni di UACR e UPCR effettuate nello stesso giorno.
L’età media dei pazienti era di 63 anni, il 46% erano donne, il 25% presentava una storia di malattia cardiovascolare, il 43% era affetto da diabete mellito e il 47% assumeva inibitori del sistema renina-angiotensina.
Al basale, il tasso di filtrazione glomerulare stimato (eGFR) medio era di 63 mL/min/1,73 m², la mediana di UACR di 47 mg/g e quella di UPCR di 200 mg/g.
Le associazioni tra i due rapporti urinari e gli outcome clinici (insufficienza renale e eventi cardiovascolari) sono state valutate tramite modelli di regressione di Cox proporzionali ai rischi, condotti separatamente per ciascuna coorte e combinati successivamente in una metanalisi ad effetti casuali.
Sono state eseguite, inoltre, analisi per sottogruppi, considerando la gravità della proteinuria, la presenza di diabete di tipo 2, un eGFR inferiore a 60 mL/min/1,73 m² e la diagnosi di malattia glomerulare.
Risultati principali
Durante un follow-up mediano di 3,8 anni, si sono verificati 9.773 eventi di insufficienza renale.
Entrambi i marcatori urinari hanno mostrato un’associazione log-lineare con il rischio di progressione verso l’insufficienza renale, ma tale associazione è risultata più forte per l’UACR.
Nello specifico:
– Per l’UACR, l’ hazard ratio (HR) aggiustato per incremento di 1 deviazione standard è stato pari a 2,55 (IC95%: 2,36–2,74)
– Per l’UPCR, l’HR aggiustato per incremento di 1 deviazione standard è stato pari a 2,4 (IC 95%: 2,28–2,53), con p<0,001 per il confronto diretto
L’associazione più marcata dell’UACR con il rischio di insufficienza renale è stata particolarmente evidente nei sottogruppi con UACR >30 mg/g, UPCR >500 mg/g, eGFR <60 mL/min/1,73 m², diabete mellito e glomerulonefrite.
Per quanto riguarda gli outcome cardiovascolari, le prestazioni di UACR e UPCR sono risultate nel complesso simili; tuttavia, nei soggetti con albuminuria moderata o severa, l’UACR ha mostrato associazioni leggermente più forti.
Gli autori hanno sottolineato che la similitudine dei risultati cardiovascolari tra i due indici suggerisce come le proteine non albuminiche non contribuiscano in modo sostanziale alla stratificazione del rischio cardiovascolare.
L’albuminuria, al contrario, potrebbe riflettere in modo più diretto i meccanismi fisiopatologici della malattia cardiovascolare nei pazienti con CKD.
Riassumendo
Nel complesso, l’UACR si è dimostrato un indicatore più strettamente associato al rischio di insufficienza renale rispetto all’UPCR, in particolare nei pazienti con livelli più elevati di proteinuria o con malattia renale più avanzata.
Questi risultati suffragano l’impiego preferenziale dell’UACR nella diagnosi e nella stratificazione del rischio dei pazienti con CKD, in linea con gli sforzi internazionali per la standardizzazione dei test di albuminuria, il cui completamento è previsto entro il 2026.
Un approccio più uniforme alla valutazione della proteinuria — basato sull’UACR — potrebbe migliorare la comparabilità dei dati tra studi clinici, facilitare il monitoraggio clinico e contribuire ad una gestione più omogenea e precisa della CKD, con benefici diretti per la pratica medica e la cura dei pazienti.
Limiti dello studio
Tra i principali limiti, gli autori segnalano che le misurazioni di UACR e UPCR, pur effettuate nello stesso giorno, potevano provenire da campioni urinari diversi.
Inoltre, le coorti analizzate sono state arruolate e seguite in periodi differenti, con possibili eterogeneità nella gestione clinica e nelle strategie terapeutiche.
Infine, l’impiego di campioni urinari “spot”, anziché di raccolte temporizzate, potrebbe aver introdotto una variabilità aggiuntiva nella misura della proteinuria.
Bibliografia
Heerspink HJL, et al “Proteinuria or albuminuria as markers of kidney and cardiovascular disease risk: an individual patient-level meta-analysis” Ann Intern Med 2025; DOI: 10.7326/ANNALS-25-02117.
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