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Lo stress post traumatico colpisce il 5% della popolazione mondiale

gaza

Sette persone su dieci vivono, nel corso della vita, un evento traumatico, con rischio di PTSD fino al 14% in categorie esposte come etnie in guerra e operatori sociosanitari dell’emergenza

Sette persone su dieci vivono, nel corso della vita, un evento traumatico, con rischio di PTSD fino al 14% in categorie esposte come, da un lato, intere etnie in guerra e, dall’altro, gli operatori sociosanitari dell’emergenza che assistono gruppi e singoli individui. I dati a disposizione sono stati presentati nel corso del recente Congresso Mondiale di Psichiatria, che si è svolto a Praga, ed ha affrontato soprattutto le problematiche relative ai conflitti in corso che, riferisce l’ONU, sono oltre 50 in tutto il mondo.

Le segnalazioni che hanno avuto maggiore rilevanza riguardano soprattutto l’Ucraina con i dati del report The Lancet Psychiatry Commission on mental health in Ukraine. Una presentazione dettagliata delle conseguenze sulla popolazione e, soprattutto, sui bambini è stata svolta dalla psichiatra Iryna Pinchuk, vicepresidente della Società Ucraina di Psichiatria e direttore dell’Istituto di Psichiatria della Taras Shevchenko National University di Kiev, che si è collegata dal suo Paese in diretta al 50° congresso nazionale della Società Italiana di Psichiatria, in corso a Bari. Il tema del trauma e delle sue conseguenze psichiche è stato oggi al centro di una delle sessioni plenarie, con l’obiettivo di tradurre in percorsi clinici e di prevenzione anche nel nostro Paese le raccomandazioni internazionali.

“Le immagini e i dati che arrivano dall’Ucraina non raccontano solo la distruzione delle città, ma anche le lacerazioni silenziose delle menti – spiega Liliana Dell’Osso, presidente SIP, professore ordinario di psichiatria all’Università di Pisa –. Garantire standard internazionali di cura, formazione e tutela significa restituire dignità e futuro a chi sopravvive al trauma. Non si tratta soltanto di assistenza clinica, ma di un impegno etico globale: costruire una psichiatria capace di accogliere e curare le ferite invisibili della guerra e della violenza”.
“Questo – aggiunge Emi Bondi, presidente uscente SIP e direttore del DSM dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo – è un impegno che riguarda tutta la psichiatria europea”.

“Di particolare rilevanza nel report sull’Ucraina – spiega Massimo Clerici, vicepresidente SIP e professore ordinario di psichiatria all’Università Bicocca di Milano – l’indicazione che non solo i traumi diretti, come ferite, fuga e trasferimenti forzati, rappresentano un trauma psicologico di particolare rilevanza, ma anche quanto viene riferito alla popolazione dai media: ciò rappresenta un trauma in grado di suscitare indirettamente angosce e tutta la costellazione dei sintomi dissociativi e somatici caratteristici di coloro che hanno vissuto, appunto, un trauma. Dunque, i bambini e gli adolescenti, anche italiani, esposti agli eventi di violenza e a diversi livelli, ne sono la testimonianza. Il fenomeno, ancora poco noto, della ‘vittimizzazione’ si riferisce appunto alla possibilità di diventare perpetratore di violenza dopo aver subito i traumi legati alla violenza”.

Su questo tema l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha elaborato sei punti per la prevenzione e l’intervento, sperimentati nei contesti più difficili. “Si parte da una guida chiara e coerente delle Istituzioni – spiega il prof. Clerici – per poi definire una filosofia comune della cura che preceda la pratica e ne fondi i principi etici. Il terzo elemento riguarda la necessità di integrare e non isolare, unendo sanità, scuola, servizi sociali e comunità”. Centrale è anche la comunicazione, intesa però come strumento terapeutico. “Infine – conclude il prof. Clerici – la costruzione di reti operative tra professionisti e la loro istituzionalizzazione, per garantire continuità e stabilità agli interventi, trasformando le buone pratiche nate nell’emergenza in politiche permanenti”.

Anche i dati sulla situazione africana sono drammatici. Il rapporto tra psichiatri che devono garantire la salute mentale e, soprattutto, le risposte specialistiche in condizioni di guerra, catastrofi umanitarie e carestie, è di uno per 1.500.000 persone. Senza contare i drammi di altre zone del mondo come testimoniato dallo psichiatra inglese Anis Ahmed, originario del Bangladesh. “Questi dati non prevedono miglioramenti a breve – aggiunge Giulio Corrivetti, vicepresidente SIP e direttore dell’Unità Operativa di Salute Mentale Ds 68, DSM della Asl Salerno – anche per le difficoltà di finanziamento della salute mentale in questi Paesi dove, nelle attuali condizioni, sono garantiti al minimo solo i servizi medici per il contrasto alle malattie infettive. Drammi che dimostrano quanto la violenza si correli direttamente al trauma, generi patologie post-traumatiche e possa essere trasmessa epigeneticamente a livello intergenerazionale e transgenerazionale”.

“Oggi sappiamo che l’impatto del trauma non si esaurisce quando tacciono le sirene o si varca un confine – sottolinea la prof. Dell’Osso –. Le sue tracce si imprimono nella mente e nel corpo e, con il tempo, possono riaffiorare, con gli stessi segni e sintomi di vulnerabilità di chi ha vissuto la violenza, nelle generazioni successive, pur cresciute in contesti sicuri. Il trauma, dunque, non è soltanto un ricordo, ma una memoria viva, biologica e culturale: riconoscerla, prevenirla e curarla precocemente è una responsabilità collettiva che riguarda la salute mentale di tutti”. “Per questo – conclude la dr.ssa Bondi – la SIP chiede da tempo percorsi specifici e approcci integrati nei DSM territoriali italiani che si trovano a fronteggiare migranti e altre categorie di soggetti che hanno subito gravi violenze”.

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