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Sindrome da attivazione di PI3K-Delta (APDS), clinici e pazienti a confronto

Il Comitato per i Medicinali ad uso Umano (CHMP) dell’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) ha emesso parere positivo per Anakinra nel trattamento della malattia di Still

Sindrome da attivazione di PI3K-Delta (APDS), clinici e pazienti a confronto per migliorare diagnosi, cura e qualità di vita

Si è svolto qualche settimana fa il primo Focus Group dedicato alla Sindrome da attivazione di PI3K-Delta (APDS), promosso da OMaR – Osservatorio Malattie Rare in collaborazione con AIP APS – Associazione Immunodeficienze Primitive e con il supporto incondizionato di Pharming. L’incontro ha rappresentato un momento di confronto aperto tra clinici, ricercatori, rappresentanti dei pazienti e persone affette da APDS, con l’obiettivo di approfondire le principali sfide nella diagnosi e nella gestione di questa rara immunodeficienza, e di condividere esperienze dirette legate all’impatto della malattia sulla vita quotidiana.

“Si tratta di una malattia complessa, dalla diagnosi difficile, che impatta in maniera fortissima sulla vita dei pazienti, ma anche delle loro famiglie – spiega Alessandro Segato, Presidente di AIP APS – Questa collaborazione con Osservatorio Malattie Rare nasce proprio per fare in modo di promuoverne conoscenza e campanelli d’allarme, ma anche permettere ai pazienti di conoscere le opzioni terapeutiche attualmente disponibili, e quelle che si renderanno disponibili. Vorremmo inoltre che si parlasse di più di che cosa vuol dire convivere con una immunodeficienza primaria rara come l’APDS”.

La Sindrome da attivazione di PI3K-Delta (APDS) è una rara immunodeficienza primitiva caratterizzata da un quadro clinico estremamente variabile, che può manifestarsi sia nei bambini sia negli adulti. Nella forma classica, la malattia si presenta con linfoadenopatie ricorrenti (ingrossamento persistente dei linfonodi), splenomegaliamalessere generale e infezioni respiratorie ripetute. Spesso questi sintomi, comuni a molte altre condizioni, portano i pazienti verso percorsi diagnostici complessi, talvolta con il sospetto di linfomi o altre patologie ematologiche.

Gli esami di base possono già mostrare alterazioni evidenti nei linfociti e bassi livelli di immunoglobuline, segni che dovrebbero orientare verso una valutazione immunologica approfondita. Tuttavia, la scarsa conoscenza della patologia, descritta per la prima volta solo dodici anni fa, causa ancora ritardi diagnostici significativi, con pazienti che spesso restano per anni in una “zona grigia” senza una diagnosi certa.

“Il percorso diagnostico può variare molto in base alla prima manifestazione della malattia – afferma la Dr.ssa Federica Barzaghi, Ospedale San Raffaele di Milano – Alcuni pazienti vengono indirizzati all’immunologo abbastanza presto, se presentano un quadro clinico tipico. Tuttavia, in molti casi i sintomi iniziali non sono chiaramente riconducibili a un’immunodeficienza, per cui il paziente può essere seguito da altri specialisti come otorini, pneumologi, gastroenterologi o ematologi per diverso tempo prima che sia effettuata la diagnosi. Questo può determinare un ritardo diagnostico, che in alcuni casi possono arrivare anche a dieci anni, come è accaduto per i pazienti che hanno presentato i primi sintomi prima della scoperta della malattia nel 2013-2014”.

Inoltre, nel tempo la malattia se non adeguatamente trattata può progredire e altri sintomi possono comparire: alcuni pazienti, infatti, presentano inizialmente solo poche manifestazioni dell’APDS e il quadro si completa negli anni.

Oggi, dunque, è tempo di fare informazione su questa patologia, con i pediatri di libera scelta e i medici di medicina generale, e con gli specialisti, per fare in modo di ridurre il ritardo diagnostico e avviare i pazienti a una corretta presa in carico terapeutica.

“Fino a poco tempo fa il trattamento di questi pazienti consisteva nella profilassi e terapia delle infezioni basata sull’utilizzo di immunoglobuline, antibiotici e immunosoppressori/immunomodulatori – dichiara il Prof. Vassilios Lougaris, Ricercatore Medico e Professore Ordinario in Pediatria presso il Dipartimento di Scienze Cliniche e Sperimentali dell’Università di Brescia – In alcuni casi il trapianto di cellule staminali ematopoietiche rappresentava l’unica opzione curativa. Da quando sono state descritte le varianti geniche responsabili della Sindrome e ne è stata chiarita la patogenesi, si è aperta la possibilità di utilizzare terapie più mirate, in aggiunta alla rapamicina già precedentemente in uso, come gli inibitori specifici della PI3K-delta che agiscono direttamente sulla via di segnale alterata, migliorando il controllo della malattia. Tuttavia, la sperimentazione al momento ha dimostrato efficacia e sicurezza per un numero di pazienti e un tempo limitati. Bisognerà quindi valutarne la tollerabilità e l’efficacia a lungo termine”.

Questi farmaci, assunti quotidianamente per via orale, oltre a migliorare le condizioni cliniche e la qualità di vita del paziente, permettono di ridurre lo sviluppo di comorbidità, riducendo la necessità di eseguire altre terapie, antibiotiche e immunomodulanti.

I pazienti, che hanno testimoniato durante l’evento, hanno sostenuto quanto possa la diagnosi precoce e un trattamento individualizzato incidere notevolmente sulla loro vita e dei loro familiari. Durante il Focus Group si è infatti discusso molto delle difficoltà che i pazienti e le loro famiglie devono affrontare per gestire il percorso diagnostico e terapeutico dei propri familiari.

“Si tratta di una patologia che ha un fenotipo clinico molto variabile e come molte altre immunodeficienze primitive, è una malattia che coinvolge diversi organi e apparati. Il paziente richiede quindi un monitoraggio clinico attento, sia per il controllo delle patologie d’organo sia per la terapia, e può necessitare di ricoveri e ospedalizzazioni frequenti. Questo si traduce in una costante necessità di supporto da parte dei caregiver, che incontrano nel tempo grandi difficoltà di carattere pratico e psicologico. Senza dimenticare – conclude la Prof.ssa Caterina Cancrini, Professore Associato di Pediatria Università degli Studi di Roma ‘Tor Vergata’ – che quando questi pazienti raggiungono la maggiore età, si ritrovano insieme alle loro famiglie privi di riferimento, come spesso accade nell’ambito delle malattie rare, perché  mancano sia una cultura adeguata sia strumenti concreti  per effettuare un ‘percorso  di transizione’ dall’assistenza pediatrica a quella adulta capace di garantire la continuità delle cure”.

Durante la discussione del Focus Group sono emersi diversi punti chiave: la necessità di ridurre i ritardi diagnostici, spesso dovuti alla scarsa conoscenza della patologia tra specialisti di organo; l’importanza di favorire una maggiore collaborazione multidisciplinare; le sfide della transizione dai reparti pediatrici alla presa in carico in strutture per adulti; e il ruolo decisivo delle nuove terapie mirate, che stanno cambiando la prospettiva clinica e la qualità di vita dei pazienti.

Le testimonianze dei medici e delle persone con APDS hanno restituito un quadro profondo e umano della convivenza con una malattia rara: tra la difficoltà di un percorso diagnostico complesso e la speranza concreta rappresentata dai progressi terapeutici. Dalla condivisione di esperienze personali è emersa una visione comune: quella di una comunità medico-scientifica e associativa sempre più unita, impegnata a migliorare la diagnosi precoce, l’accesso alle cure e il benessere complessivo dei pazienti e delle loro famiglie.

“Siamo orgogliosi di sostenere questa iniziativa, che ha riunito clinici, ricercatori, rappresentanti dei pazienti e pazienti stessi per condividere sia i bisogni insoddisfatti sia i punti di forza della comunità APDS – commenta Fabrice Chouraqui, CEO di Pharming Group – Ascoltare le prospettive dei pazienti e degli esperti medici è fondamentale. Le loro riflessioni ci aiutano a comprendere meglio le realtà della vita con malattie rare e a orientarci nel migliorare l’assistenza dove ce n’è più bisogno”.

Al Focus Group hanno partecipato, tra gli altri, Adele Civino (Ospedale Vito Fazzi di Lecce), Alessandro Segato (Presidente AIP APS), Caterina Cancrini (Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” – Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Roma), Federica Barzaghi (Ospedale San Raffaele di Milano), Francesca Conti (Università di Bologna), Lorenzo Lodi (Ospedale Meyer IRCCS e Università di Firenze), Vassilios Lougaris (Università e Spedali Civili di Brescia).

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