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Carcinoma ovarico ricorrente platino-resistente: nuove conferme per pembrolizumab

Alleanza contro il Tumore Ovarico

KEYNOTE-B96 è il primo studio di un regime terapeutico basato su un inibitore del checkpoint immunitario nel carcinoma ovarico ricorrente platino-resistente a dimostrare miglioramenti statisticamente significativi in sopravvivenza libera da progressione in tutte le pazienti

MSD ha annunciato oggi la prima presentazione dei risultati dello studio registrativo di Fase 3 KEYNOTE-B96, noto come ENGOT-ov65, che valuta pembrolizumab, terapia anti-PD1 di MSD, in combinazione con chemioterapia (paclitaxel) con o senza bevacizumab per il trattamento delle pazienti affette da recidiva di carcinoma ovarico platino-resistente. Questi dati late-breaking sono stati presentati in una sessione del Presidential Symposium del Congresso 2025 della European Society for Medical Oncology (ESMO) (Presentation #LBA3).

Alla prima analisi ad interim, al follow-up mediano dello studio di 15,6 mesi, pembrolizumab più chemioterapia con o senza bevacizumab (n=322) ha dimostrato un miglioramento statisticamente significativo e clinicamente rilevante della sopravvivenza libera da progressione (PFS), endpoint primario dello studio, riducendo il rischio di progressione di malattia o di morte del 30% (HR=0,70 [CI 95%: 0,58-0,84]; p<0,0001) in tutta la popolazione delle pazienti con recidiva di carcinoma ovarico platino-resistente rispetto a placebo più chemioterapia con o senza bevacizumab (n=321). Il tasso di PFS a 12 mesi per le pazienti trattate con il regime a base di pembrolizumab è stato del 33,1% (CI 95%, 27,7-38,5) rispetto al 21,3% (CI 95%: 16,6-26,4) per le pazienti trattate con il regime a base di placebo. Nelle pazienti il cui tumore esprime PD-L1 (Combined Positive Score [CPS] ≥1), pembrolizumab più chemioterapia con o senza bevacizumab (n=234) ha ridotto il rischio di progressione di malattia o di morte del 28% (HR=0,72 [CI 95%: 0,58-0,89]; p=0,0014) rispetto a placebo più chemioterapia con o senza bevacizumab (n=232). Il tasso di PFS a 12 mesi è stato del 35,2% (CI 95%: 28,8-41,7) per il regime a base di pembrolizumab rispetto al 22,6% (CI 95%:17,0-28,7) per il regime a base di placebo.

“Per le pazienti con carcinoma ovarico ricorrente resistente al platino abbiamo attualmente a disposizione pochissimi trattamenti in grado di ridurre il rischio di progressione di malattia o di morte”, afferma Nicoletta Colombo, Direttore del Gynecologic Oncology Program dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano. “I risultati dello studio KEYNOTE-B96 possono rappresentare un significativo passo avanti nel trattamento del carcinoma ovarico ricorrente resistente al platino e dimostrano che l’aggiunta di pembrolizumab alla chemioterapia, con o senza bevacizumab, potrebbe diventare un’ulteriore opzione efficace per queste pazienti”.

Alla seconda analisi ad interim, al follow-up mediano di 26,6 mesi, il regime a base di pembrolizumab ha dimostrato anche un miglioramento statisticamente significativo e clinicamente rilevante della sopravvivenza globale (OS), un endpoint secondario chiave, nelle pazienti il cui tumore esprime PD-L1 (CPS ≥1), riducendo il rischio di morte del 24% (HR=0,76 [CI 95%, 0,61-0,94]; p=0,0053) rispetto a placebo più chemioterapia con o senza bevacizumab. Il tasso di OS a 12 mesi per le pazienti trattate con il regime a base di pembrolizumab è stato del 69,1% rispetto al 59,3% per le pazienti trattate con il regime a base di placebo. I tassi di OS a 18 mesi sono risultati del 51,5% e 38,9%, rispettivamente.

“Questi risultati si basano sul successo di pembrolizumab nei tumori ginecologici e supportano il suo potenziale utilizzo nelle pazienti con carcinoma ovarico platino-resistente”, dichiara il dott. Gursel Aktan, vice president, global clinical development, Merck Research Laboratories. “Essendo la prima immunoterapia con dati che dimostrano un miglioramento della sopravvivenza in determinate pazienti con carcinoma ovarico ricorrente resistente al platino, questo regime a base di pembrolizumab sottolinea il nostro impegno nel fornire alle pazienti un maggior numero di opzioni terapeutiche per soddisfare le loro esigenze specifiche. Questi dati hanno il potenziale per cambiare il paradigma terapeutico per le pazienti con carcinoma ovarico ricorrente resistente al platino”.

Gli eventi avversi correlati al trattamento (TRAEs) si sono verificati nel 97,8% delle pazienti trattate con il regime a base di pembrolizumab (n=320) e nel 95,3% nelle pazienti che hanno ricevuto il regime a base di placebo (n=318); i TRAE di Grado 3-5 sono stati osservati nel 67,5% rispetto al 55,3%, rispettivamente. I TRAE hanno portato al decesso lo 0,9% delle pazienti con il regime a base di pembrolizumab e l’1,6% nelle pazienti trattate con il regime a base di placebo. Non sono stati identificati nuovi segnali di sicurezza.

Gli eventi avversi immunomediati e le relazioni all’infusione di ogni grado si sono verificati nel 39,1% delle pazienti trattate con il regime a base di pembrolizumab e nel 18,9% delle pazienti trattate con il regime a base di placebo. L’evento avverso più comune (verificatosi nel ≥10% delle pazienti) è stato ipotiroidismo (17,8%) nelle pazienti nel regime a base di pembrolizumab. Gli eventi avversi immunomediati hanno portato al decesso lo 0,6% delle pazienti nel regime a base di pembrolizumab e nessuna paziente nel regime a base di placebo.

Sulla base dei dati della prima e della seconda analisi ad interim dello studio KEYNOTE-B96, la Food and Drug Administration (FDA) statunitense ha accettato per revisione prioritaria la richiesta di licenza biologica supplementare (Biologics License Application – sBLA) per l’approvazione di pembrolizumab in combinazione con chemioterapia con o senza bevacizumab per il trattamento delle pazienti con carcinoma ovarico ricorrente platino-resistente. FDA ha fissato la data del 20 febbraio 2026 come termine ultimo per l’attuazione della legge sulle tariffe per i farmaci soggetti a prescrizione medica (PDUFA). Come precedentemente annunciato, nell’analisi finale dello studio, KEYNOTE-B96 ha raggiunto anche l’endpoint secondario di OS in tutte le pazienti. I dati dell’analisi finale verranno presentati ad un prossimo convegno medico.

Pembrolizumab non è approvato per il trattamento del carcinoma ovarico.

 

Lo studio KEYNOTE-B96/ENGOT-ov65

KEYNOTE-B96, noto come ENGOT-ov65, è uno studio di fase 3 randomizzato, in doppio cieco (ClinicalTrials.govNCT05116189) sponsorizzato da MSD e condotto in collaborazione con i gruppi dell’European Network for Gynecologic Oncology Trial (ENGOT) che valuta pembrolizumab in combinazione con chemioterapia (paclitaxel) con o senza bevacizumab rispetto a placebo più chemioterapia con o senza bevacizumab per il trattamento del carcinoma ovarico ricorrente resistente al platino. L’endpoint primario è la PFS e la OS è un endpoint secondario chiave. Lo studio ha arruolato 643 pazienti randomizzate a ricevere pembrolizumab (400 mg per via endovenosa ogni sei settimane per circa due anni) più paclitaxel con o senza bevacizumab, oppure placebo più paclitaxel con o senza bevacizumab.

Il carcinoma ovarico resistente al platino

Il carcinoma dell’ovaio spesso origina nelle tube di Falloppio o sulla superficie esterna delle ovaie. È l’ottavo tumore più comunemente diagnosticato e l’ottava causa di morte per cancro tra le donne in tutto il mondo. A livello globale, nel 2022 le diagnosi di tumore dell’ovaio sono state 324.000 e si sono verificati quasi 207.000 decessi a causa della malattia. In molte aree la sua incidenza è in aumento, con stime che prevedono un incremento del 42% dei nuovi casi in tutto il mondo entro il 2040. Negli Stati Uniti, si stima che nel 2025 le diagnosi di carcinoma ovarico saranno 20.890 e si verificheranno circa 12.730 decessi a causa della malattia.

L’obiettivo principale del trattamento di prima linea è ritardare la progressione della malattia il più a lungo possibile, per ottenere una remissione a lungo termine. Il 70/80% delle pazienti con diagnosi di tumore dell’ovaio avanzato presenterà progressione di malattia a seguito del trattamento standard con regimi chemioterapici a base di platino. Circa il 25% di queste pazienti sviluppa resistenza entro sei mesi dal completamento della chemioterapia di prima linea a base di platino, e il carcinoma ovarico in questo caso è definito primario resistente al platino. La prognosi è particolarmente sfavorevole per queste pazienti e le opzioni terapeutiche sono limitate.

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