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Nuove strategie per il dolore lombare da discopatia

schiena

Il dolore lombare discogenico cronico (CDLBP) è una delle cause più comuni e invalidanti di mal di schiena. Dalla diagnosi ancora complessa ai nuovi trattamenti rigenerativi e di neuromodulazione, la ricerca sta ridefinendo l’approccio terapeutico

Il dolore lombare discogenico cronico (CDLBP) è una delle cause più comuni e invalidanti di mal di schiena. Dalla diagnosi ancora complessa ai nuovi trattamenti rigenerativi e di neuromodulazione, la ricerca sta ridefinendo l’approccio terapeutico. Tra conservazione funzionale, tecniche minimamente invasive e prospettive future, l’obiettivo è restituire mobilità e qualità di vita ai pazienti senza ricorrere alla chirurgia. E’ quanto analizzato in una recente review pubblicata su Pain Practice.

Quando il disco si ammala: la radice del dolore
Il dolore lombare discogenico origina da processi degenerativi del disco intervertebrale, strutture fondamentali per l’ammortizzazione e la flessibilità della colonna vertebrale. Con il tempo o a causa di fattori genetici, traumatici e meccanici, il disco va incontro a disidratazione e perdita di elasticità, riducendo la sua capacità di distribuire le pressioni. Questo indebolimento favorisce la comparsa di fissurazioni dell’anulus fibroso, ernie e una crescita anomala di terminazioni nervose sensibili al dolore.

Il risultato è un dolore lombare cronico, spesso profondo e costante, che può peggiorare con la sedentarietà o lo sforzo. La diagnosi resta complessa: nessun segno clinico o test fisico è specifico, e la risonanza magnetica serve più per escludere altre patologie che per confermare con certezza l’origine discale. L’esame di riferimento resta la discografia provocativa a pressione controllata, sebbene invasiva e riservata a casi selezionati.

Trattamenti conservativi: il primo passo della cura
La gestione iniziale del CDLBP è multidisciplinare e si fonda su un approccio conservativo. Programmi strutturati di esercizio fisico, come Pilates, metodo McKenzie, yoga o esercizi di controllo motorio, aiutano a migliorare la stabilità lombare e la resistenza muscolare. In parallelo, la rieducazione al dolore e la terapia cognitivo-comportamentale riducono la componente psicologica del dolore cronico, migliorando l’aderenza terapeutica.

Sul fronte farmacologico, si privilegiano antinfiammatori non steroidei (FANS) e, nei casi resistenti, antidepressivi triciclici o inibitori della ricaptazione di serotonina e noradrenalina per le componenti neuropatiche. Gli oppioidi forti e i corticosteroidi sistemici restano riservati a brevi periodi, data la limitata efficacia e i rischi di dipendenza o effetti collaterali.

In alcuni casi particolari, è stata esplorata la terapia antibiotica per la sospetta presenza di Propionibacterium acnes nei dischi degenerati, ma i risultati sono controversi e non giustificano un impiego di routine.

Le nuove frontiere: tecniche minimamente invasive e rigenerative
Quando la terapia conservativa non basta, entrano in gioco le strategie minimamente invasive, che cercano di ridurre il dolore preservando la biomeccanica della colonna. Tra queste, le iniezioni intradiscali di corticosteroidi o blu di metilene mirano a ridurre l’infiammazione locale, ma le prove di efficacia restano limitate e controverse.

Maggiore interesse si concentra sulla medicina rigenerativa, con l’uso di cellule staminali mesenchimali (MSC) o plasma ricco di piastrine (PRP). Queste tecniche puntano non solo a ridurre il dolore, ma anche a riparare i tessuti discali danneggiati, invertendo parzialmente il processo degenerativo. Tuttavia, le evidenze disponibili sono ancora di bassa qualità e mancano dati a lungo termine sulla sicurezza, soprattutto riguardo a possibili reazioni immunitarie o proliferazioni cellulari anomale.

Parallelamente, si stanno sperimentando biomateriali a base di idrogel, capaci di sostituire il nucleo discale mantenendo elasticità e supporto meccanico. Anche in questo caso, i risultati iniziali sono promettenti ma non ancora conclusivi.

Radiofrequenza e neuromodulazione: nuove armi contro il dolore
Tra le tecniche più studiate emergono le procedure termiche intradiscali, come la biacuplastia e la radiofrequenza raffreddata, che denervano selettivamente le terminazioni dolorifiche dell’anulus fibroso, riducendo il dolore senza danneggiare il disco. Studi clinici controllati hanno evidenziato un miglioramento del dolore fino al 50% e una buona tollerabilità, con rare complicanze.

Parallelamente, la stimolazione del midollo spinale (SCS) e la stimolazione del ganglio della radice dorsale (DRG-S) stanno guadagnando terreno nei casi refrattari. Queste tecniche di neuromodulazione agiscono sui circuiti del dolore cronico, modulando la trasmissione degli impulsi nocicettivi. Sebbene efficaci, richiedono esperienza specialistica e centri qualificati per la selezione e il monitoraggio dei pazienti.

In conclusione, il trattamento del dolore lombare discogenico è un percorso complesso e in evoluzione, che richiede un approccio personalizzato e basato sull’evidenza. Le terapie conservative restano il cardine iniziale, mentre le tecniche minimamente invasive e rigenerative rappresentano un’importante frontiera per chi non trova beneficio con le cure tradizionali.

Servono tuttavia studi randomizzati di ampia scala per consolidare la validità di queste nuove terapie e migliorare la diagnosi, ancora oggi poco specifica. Fino ad allora, la strategia più efficace resta quella multimodale e interdisciplinare, capace di unire esercizio, educazione, farmacoterapia e — quando indicato — interventi mirati. Solo così sarà possibile restituire ai pazienti non solo il controllo del dolore, ma anche la libertà di muoversi senza paura.

Wouter K M van Os et al., 14. Discogenic Low Back Pain Pain Pract. 2025 Sep;25(7):e70062. doi: 10.1111/papr.70062.
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