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Malattia di Crohn, il ruolo del microbiota intestinale del tessuto adiposo mesenterico

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Malattia di Crohn, uno studio indaga quale ruolo svolge il microbiota intestinale del tessuto adiposo mesenterico

La fibrosi intestinale e la “creeping fat”, un’anomala proliferazione del grasso mesenterico, rappresentano due complicanze strettamente connesse della malattia di Crohn. Le evidenze scientifiche più recenti indicano che il microbiota intestinale svolge un ruolo cruciale nel mediare questa relazione, innescando processi infiammatori e fibrotici attraverso alterazioni microbiche e metaboliche. Comprendere questi meccanismi potrebbe aprire la strada a terapie mirate per prevenire le stenosi intestinali. E’ quanto evidenzia una recente review pubblicata su United European Gastroenterology Journal.

Un problema clinico urgente: fibrosi intestinale nella malattia di Crohn
La malattia di Crohn (CD) è una patologia infiammatoria cronica dell’intestino caratterizzata da fasi di remissione e riacutizzazione, con infiammazione transmurale che coinvolge tutti gli strati della parete intestinale. Una delle conseguenze più gravi e frequenti è la fibrosi intestinale, cioè un ispessimento e irrigidimento delle pareti dovuto a eccessiva produzione di matrice extracellulare. Questo processo porta alla formazione di stenosi, o restringimenti del lume intestinale, con sintomi che vanno da dolore addominale e gonfiore a occlusioni ricorrenti e perforazioni.

Nonostante i progressi nella terapia farmacologica, in particolare con farmaci biologici e immunomodulatori, non esistono ancora trattamenti efficaci in grado di arrestare o invertire la fibrosi.
La chirurgia rimane spesso l’unica opzione: tra il 40% e l’80% dei pazienti richiede un intervento entro i primi 20 anni dalla diagnosi, con un alto tasso di recidiva postoperatoria. Questo scenario sottolinea l’urgenza di individuare nuovi bersagli terapeutici, capaci di agire sui meccanismi precoci che innescano la fibrosi.

Microbiota intestinale e fibrosi: un legame sempre più evidente
Il microbiota intestinale, l’insieme di batteri, virus e funghi che abitano il tratto gastrointestinale, è oggi riconosciuto come un attore centrale nella fisiopatologia della CD. Nei pazienti con stenosi intestinali è stata osservata una marcata disbiosi, caratterizzata da una ridotta diversità microbica e da uno squilibrio tra specie protettive e specie pro-infiammatorie.

Diversi studi clinici hanno riportato un aumento di Proteobacteria e Tenericutes, a scapito di batteri benefici come Ruminococcus, Faecalibacterium prausnitzii e Oscillospira. Quest’ultima, produttrice di butirrato, svolge un ruolo protettivo riducendo l’attivazione dei neutrofili e inibendo l’accumulo di matrice extracellulare. Al contrario, ceppi patogeni come AIEC (Adherent-Invasive E. coli), Salmonella spp. e Clostridium ramosum attivano risposte immunitarie Th1/Th17 e promuovono fibrosi attraverso la stimolazione di fibroblasti e miofibroblasti.

Un aspetto sempre più studiato è quello dei metaboliti microbici. Il succinato, ad esempio, attiva il recettore SUCNR1 presente nei fibroblasti intestinali, innescando vie pro-fibrotiche. Analogamente, il TMAO, derivato dal metabolismo della colina, attiva l’inflammasoma NLRP3 e la via TGF/Smad, noti promotori della fibrogenesi. Altri metaboliti, come l’indolo-3-propionico prodotto da Lactobacillus e Clostridium, hanno invece un effetto anti-infiammatorio e anti-fibrotico.

Modelli animali confermano questi meccanismi: topi germ-free sviluppano meno fibrosi dopo danni intestinali; l’eliminazione selettiva di specie batteriche fibrogeniche riduce la deposizione di collagene e l’ispessimento della parete intestinale. Queste evidenze consolidano il concetto che la composizione del microbiota non è una semplice conseguenza della malattia, ma un fattore determinante della sua progressione.

Creeping fat: un tessuto adiposo “attivo” nel processo fibrotico
Un aspetto peculiare della malattia di Crohn è la cosiddetta creeping fat (CrF), un’espansione patologica del tessuto adiposo mesenterico che “avvolge” le anse intestinali infiammate. Non si tratta di un fenomeno passivo: il CrF è un organo metabolicamente attivo, composto da adipociti, precursori cellulari e cellule immunitarie che producono citochine, acidi grassi e adipokine in grado di influenzare l’infiammazione e la fibrosi.

Negli ultimi anni si è scoperto che la composizione microbica del CrF è alterata rispetto al tessuto adiposo mesenterico sano. Vi è un arricchimento di Proteobacteria e Erysipelotrichaceae e una riduzione di Bacteroides e Lactobacillus, insieme all’aumento di ceppi pro-infiammatori come Clostridium innocuum e Achromobacter pulmonis. Questi microrganismi non solo amplificano la risposta infiammatoria, ma stimolano direttamente fibroblasti e miofibroblasti a produrre matrice extracellulare, favorendo l’ispessimento della parete intestinale.

Un meccanismo chiave è la traslocazione batterica: batteri intestinali attraversano la barriera mucosa e colonizzano il tessuto adiposo mesenterico, dove attivano il sistema immunitario locale. Le cellule adipose rispondono producendo leptina e resistina, che amplificano la risposta infiammatoria, mentre riducono adiponectina, che ha effetti anti-fibrotici. Parallelamente, l’attivazione della via TLR4 da parte di LPS batterici favorisce la trasformazione degli adipociti in cellule simili a miofibroblasti, accelerando il processo fibrotico.

Microbiota come mediatore e bersaglio terapeutico
L’evidenza accumulata suggerisce un modello patogenetico integrato: la disbiosi microbica attiva e mantiene l’infiammazione cronica; la barriera mucosa danneggiata permette la traslocazione batterica verso la sottomucosa e il mesentere; nel grasso mesenterico i microbi attivano cellule adipose e immunitarie, stimolando la fibrogenesi; si instaura un circolo vizioso di infiammazione e ispessimento della parete intestinale.

Questa prospettiva ha importanti implicazioni cliniche. La modulazione mirata del microbiota, tramite probiotici selettivi, prebiotici, antibiotici mirati o interventi sui metaboliti microbici, potrebbe rappresentare una strategia per prevenire la progressione verso stenosi fibrotiche.
Alcuni studi preclinici hanno già dimostrato che l’introduzione di Faecalibacterium prausnitzii o Lactobacillus acidophilus riduce l’espressione di collagene e TGF-β in modelli murini. Anche la manipolazione di metaboliti chiave, come la neutralizzazione del succinato o la modulazione degli SCFA, potrebbe contribuire a rallentare la fibrosi.

Un ulteriore sviluppo promettente è rappresentato dalle tecniche multi-omiche spaziali, che consentono di mappare simultaneamente microbiota, trascrittoma e metabolismo tissutale. Queste tecnologie stanno permettendo di identificare con precisione quali ceppi microbici colonizzano CrF e quali segnali molecolari attivano nei tessuti circostanti, aprendo nuove possibilità per terapie personalizzate.

Conclusioni
La relazione tra microbiota intestinale, fibrosi e creeping fat rappresenta un nuovo paradigma nella comprensione della malattia di Crohn. Non si tratta più solo di un’infiammazione cronica intestinale, ma di un complesso intreccio tra microrganismi, sistema immunitario e tessuti adiposi e connettivi.
Capire quali microrganismi sono coinvolti, quali vie di segnalazione attivano e come i metaboliti batterici influenzano la fibrogenesi potrebbe portare allo sviluppo di nuove terapie preventive e antifibrotiche, capaci di modificare la storia naturale della malattia.

Nei prossimi anni sarà fondamentale integrare dati clinici, molecolari e microbiologici per passare dalla conoscenza dei meccanismi patogenetici alla sperimentazione di strategie terapeutiche mirate: un passo decisivo per migliorare la qualità di vita dei pazienti e ridurre la necessità di interventi chirurgici invasivi.

Caiguang Liu et al., Gut Microbiota as a Mediator Between Intestinal Fibrosis and Creeping Fat in Crohn’s Disease. United European Gastroenterol J. 2025 May 1;13(7):1092–1106. doi: 10.1002/ueg2.70027
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