Tumori testa-collo: la protonterapia è stata a lungo considerata una possibile alternativa “di precisione” alla radioterapia convenzionale ma è meno efficace
La protonterapia (in particolare quella a intensità modulata, IMPT) è stata a lungo considerata una possibile alternativa “di precisione” alla radioterapia convenzionale (IMRT), grazie alla sua caratteristica fisica di depositare dose in modo più selettivo e con minore “scatter” nei tessuti sani. L’idea è che, riducendo l’irradiazione delle strutture non coinvolte (ghiandole salivari, mucose, strutture della deglutizione), si possa abbattere la tossicità tardiva e preservare una migliore qualità di vita per i pazienti con tumori della testa-collo.
Tuttavia, fino a oggi le prove cliniche robuste che dimostrassero un chiaro vantaggio clinico di IMPT rispetto a IMRT erano limitate: la maggior parte dei dati disponibili erano studi dosimetrici, serie cliniche o studi osservazionali, con margini di bias e poca potenza statistica.
Lo studio TORPEdO: design, popolazione e obiettivi
TORPEdO (UK) è un trial multicentrico, randomizzato, in aperto di fase III, concepito proprio per valutare se l’IMPT rispetto all’IMRT possa ridurre la tossicità tardiva nei pazienti con carcinoma orofaringeo da trattare con chemioradioterapia concomitante.
Tra il 2020 e il 2023 sono stati arruolati pazienti che richiedevano trattamento irradiativo anche al collo bilaterale e che ricevevano cisplatino concomitante. La randomizzazione seguiva un rapporto 2:1 (favorendo il braccio con protoni).
L’end point primario era la riduzione della tossicità tardiva (a 12 mesi), valutata con parametri compositi quali l’uso del sondino alimentare o perdita di peso significativa; erano previste anche misure di qualità di vita, funzione deglutitoria e parametri oncologici come il controllo locale e la sopravvivenza globale.
I risultati chiave: tossicità, qualità di vita ed efficacia
A 12 mesi, il trial ha mostrato che il 17,6% dei pazienti trattati con IMPT ha dovuto fare ricorso a nutrizione artificiale o ha sperimentato una perdita di peso ≥ 20%, rispetto al 6,8% del gruppo IMRT (OR 2,8; P = 0,08). Questo risultato ha suggerito una tendenza verso maggiore tossicità nel braccio protoni, seppure con un valore di p che non raggiunge la significatività predefinita.
Analizzando gli elementi separatamente, l’uso del sondino è stato identico in entrambi i gruppi (1,7 %), mentre la perdita di peso severa è risultata più frequente nel braccio IMPT (18,2 % vs 5,7 %).
Per quanto riguarda la qualità di vita riferita dai pazienti — misurata con strumenti come l’UW-QOL (che include salivazione, gusto, deglutizione, masticazione, aspetto e parola) e il MDADI (funzione deglutitoria) — non sono emerse differenze clinicamente rilevanti: punteggi molto simili nei due gruppi (es. UW-QOL fisico: 78,3 vs 77,1; P = 0,56).
In termini di efficacia oncologica, i risultati sono stati eccellenti e quasi equivalenti: il tasso di controllo locale a 2 anni è stato del 94,3 % nel gruppo IMPT e del 96,8 % in IMRT; la sopravvivenza globale a 2 anni è risultata 94,6 % contro 95,3 %.
Questi dati complessivi suggeriscono che, nel contesto di carcinoma orofaringeo localmente avanzato, l’IMRT contemporanea continua a offrire un equilibrio eccellente tra efficacia e sicurezza, e l’adozione generalizzata della protonterapia non appare giustificata sulla base dei risultati attuali.
Interpretazioni e messaggi per la pratica clinica
“È rassicurante constatare che la IMRT moderna si è comportata meglio del previsto”, ha affermato David Thomson, investigatore principale del trial. Secondo lui, pazienti e clinici possono sentirsi tranquilli nel considerare la IMRT una opzione valida e consolidata, senza dover ricorrere necessariamente a strutture altamente specialistiche come quella della protonterapia.
Altri esperti, come C. Jillian Tsai, sottolineano che il vero valore futuro della protonterapia risiede in una selezione accurata dei pazienti. In altre parole, l’IMPT potrebbe avere senso per sottogruppi ben definiti — ad esempio in cui l’anatomia, la vicinanza di strutture critiche o la previsione di tossicità elevata rendano vantaggiosa la maggiore precisione del fascio di protoni — ma non come strategia universale.
Limiti e prospettive future
Come ogni studio, TORPEdO ha dei limiti: la durata del follow-up a 12 mesi per l’end point principale può non cogliere tutte le tossicità tardive più remote; inoltre, il disegno open-label e il fatto che non sia stato condotto in cieco sono potenziali fonti di bias.
Restano da raccogliere dati a più lungo termine (es. tossicità oltre i 2–3 anni), nonché analisi in sottogruppi (es. in base a fattori anatomici, status HPV, fumatori vs non fumatori) per identificare chi potenzialmente possa trarre vantaggio dalla protonterapia.
In parallelo, modelli predittivi (come quelli basati su NTCP — probabilità di complicanze nei tessuti normali) e comparazioni dosimetriche individuali potranno aiutare a selezionare i pazienti che potrebbero realmente beneficiare di IMPT.
Infine, il tema dei costi e della disponibilità delle strutture rimane centrale: la protonterapia richiede infrastrutture specialistiche, investimenti elevati e una quantità ridotta di centri operativi, che limita la sua accessibilità — un elemento da considerare nella valutazione del suo impatto su scala clinica ed economica.

