La biotech olandese uniQure ha annunciato risultati incoraggianti dalla sperimentazione clinica registrativa di fase I/II di AMT-130, una terapia genica sperimentale per la malattia di Huntington
La biotech olandese uniQure ha annunciato risultati incoraggianti dalla sperimentazione clinica registrativa di fase I/II di AMT-130, una terapia genica sperimentale per la malattia di Huntington. Dopo 36 mesi di follow-up, i pazienti trattati con la dose alta hanno mostrato un rallentamento della progressione della malattia del 75% rispetto al gruppo di controllo esterno, misurato con la scala composita cUHDRS.
Il farmaco ha raggiunto anche un endpoint secondario chiave: un rallentamento del 60% misurato con la Total Functional Capacity. Si tratta del primo studio a dimostrare in modo statisticamente significativo un effetto modificante la malattia in questa patologia neurodegenerativa rara e devastante.
Oltre ai risultati primari, AMT-130 ha mostrato tendenze positive su diversi altri parametri cognitivi e motori, come lo Symbol Digit Modalities Test (SDMT) e lo Stroop Word Reading Test (SWRT). In particolare, nello SWRT si è osservato un rallentamento del 113% della progressione rispetto al controllo.
Un altro dato importante riguarda i livelli di neurofilamenti nel liquido cerebrospinale (NfL), un biomarcatore di neurodegenerazione: a tre anni erano inferiori al basale, a conferma di un possibile effetto neuroprotettivo.
Il trattamento con AMT-130 si è dimostrato generalmente ben tollerato, con un profilo di sicurezza gestibile. Gli eventi avversi più comuni erano legati alla procedura neurochirurgica di somministrazione, e si sono risolti. Non sono emersi nuovi eventi avversi gravi correlati al farmaco dal dicembre 2022.
La borsa festeggia
Tenendo conto che al momento non esiste nessuna terapia in grado di incidere sul decorso della malattia si tratta di un risultato straordinario che ha entusiasmato gli investitori, tanto è vero che il prezzo delle azioni di uniQure è più che triplicato. Oggi le azioni della società hanno chiuso a 46 dollari, rispetto al prezzo di chiusura di martedì pari a 13,66 dollari.
Meccanismo d’azione di AMT-130
AMT-130 è progettato per ridurre l’espressione del gene HTT, responsabile della produzione della proteina huntingtina mutata (mHTT), che è tossica per i neuroni. Il concetto è sfruttare un meccanismo di RNA interference (RNAi) mediato da microRNA (miRNA) per “spegnere” o abbassare i livelli di mRNA che codificano la proteina mutata, in modo da ridurre la quantità di mHTT prodotta nelle cellule cerebrali.
AMT-130 utilizza un vettore virale adeno-associato di sierotipo 5 (AAV5) che veicola una sequenza di miRNA (miHTT) nelle cellule cerebrali, in particolare nelle aree vulnerabili come il putamen e il caudato. Il vettore, una volta entrato nella cellula, rilascia il trasgene che si integra come elemento episomale (non integrato nel DNA cellulare). Il miRNA viene espresso, processato e indirizza la degradazione dell’mRNA HTT o ne blocca la traduzione, riducendo tanto la huntingtina mutata quanto, in misura minore, la huntingtina
In altre parole: Il vettore AAV5 con la sequenza miRNA viene somministrato localmente nel cervello. Il miRNA prodotto guida la silenziazione dell’RNA messaggero HTT, riducendo la produzione della proteina. Con meno proteina mutata, si spera che si rallentino i processi tossici che portano alla morte neuronale e al declino clinico.
Questo approccio è detto “non allelo-specifico”: non distingue tra la copia mutata e la copia normale del gene HTT, abbassando entrambi i tipi di proteina. uniQure ha considerato nei modelli preclinici che un abbassamento moderato della huntingtina wild-type risulti tollerabile, ma è una delle aree di cautela.
AMT-130 non viene somministrata per via sistemica, ma tramite neurosurgia stereotassica con guida RM e con tecnica convection-enhanced delivery (CED). Ciò significa posizionare cateteri direttamente nelle regioni bersaglio (caudato/putamen) e infondere il vettore sotto pressione per ottenere una diffusione più ampia nel tessuto cerebrale.
Si tratta di un trattamento “one-time” (una sola somministrazione), progettato per avere un effetto duraturo senza necessità di dosi ripetute.
Commenti degli esperti
La professoressa Sarah Tabrizi, direttrice dell’Huntington’s Disease Center all’University College di Londra, ha dichiarato: «Questi dati sono i più convincenti mai ottenuti finora nella ricerca sull’Huntington. Indicano che AMT-130 può realmente modificare il decorso della malattia, offrendo una nuova speranza a pazienti e famiglie».
Anche Walid Abi-Saab, direttore medico di uniQure, ha sottolineato il potenziale della terapia:
«Questi risultati rafforzano la nostra convinzione che AMT-130 possa trasformare lo scenario terapeutico, e forniscono prove cruciali a sostegno delle terapie geniche di precisione per le malattie neurologiche».
Prospettive future
UniQure prevede di presentare la richiesta di approvazione (BLA) alla Food and Drug Administration (FDA) nel primo trimestre del 2026, con un possibile lancio negli Stati Uniti entro la fine dello stesso anno. AMT-130 ha già ottenuto la designazione di Breakthrough Therapy e di Regenerative Medicine Advanced Therapy (RMAT).
I risultati di AMT-130 segnano una pietra miliare nella storia della ricerca sull’Huntington. Per la prima volta, una terapia genica mostra di poter rallentare in modo significativo la progressione della malattia in parametri clinici validati, con dati coerenti anche su biomarcatori di neurodegenerazione.
Se confermati da ulteriori studi e approvati dalle autorità regolatorie, AMT-130 potrebbe inaugurare una nuova era terapeutica per l’Huntington, in cui l’obiettivo non sarà solo alleviare i sintomi, ma cambiare il corso naturale della malattia.
Le sfide terapeutiche nella malattia di Huntington
La malattia di Huntington (HD) è una patologia neurodegenerativa rara, ereditaria e progressiva, causata da un’espansione anomala di triplette CAG nel gene HTT, che porta alla produzione di una forma mutata della proteina huntingtina. Questa proteina tossica si accumula nel sistema nervoso centrale, determinando la progressiva degenerazione dei neuroni, in particolare nello striato e nella corteccia cerebrale. Il risultato clinico è un quadro complesso che combina disturbi motori (corea, distonia, rigidità), alterazioni cognitive (difficoltà esecutive e di memoria) e sintomi psichiatrici (depressione, ansia, irritabilità), con impatto devastante sulla vita dei pazienti e delle loro famiglie.
Nonostante decenni di ricerca, al momento non esiste una terapia in grado di modificare il decorso della malattia. I farmaci disponibili hanno un ruolo puramente sintomatico: antipsicotici e tetrabenazina possono attenuare i movimenti coreici, mentre antidepressivi e stabilizzatori dell’umore vengono usati per gestire i disturbi psichiatrici. Tuttavia, questi trattamenti non rallentano la neurodegenerazione sottostante e, spesso, presentano effetti collaterali significativi che peggiorano la qualità della vita.
Uno dei principali ostacoli terapeutici è la complessità biologica della malattia: la huntingtina mutata interferisce con numerosi processi cellulari (trasporto assonale, metabolismo energetico, turnover proteico), rendendo difficile individuare un bersaglio unico e risolutivo. Inoltre, la progressione lenta e variabile rende complicata la progettazione degli studi clinici, che richiedono follow-up lunghi e misure di outcome sensibili per dimostrare un effetto realmente modificante.
Negli ultimi anni si sono affacciate nuove strategie promettenti, come gli oligonucleotidi antisenso (ASO) e le terapie geniche, che puntano a ridurre la produzione della huntingtina mutata o a correggerne l’espressione. Tuttavia, restano sfide legate alla sicurezza, alla somministrazione intracerebrale e al rischio di interferire anche con la forma fisiologica della proteina, potenzialmente utile per la funzione neuronale.
A queste difficoltà biologiche e cliniche si aggiungono gli aspetti etici e sociali. La diagnosi genetica precoce, disponibile già prima della comparsa dei sintomi, apre questioni delicate sul momento giusto per iniziare un trattamento e sull’impatto psicologico di sapere di essere portatori della mutazione.
In sintesi, la malattia di Huntington rappresenta una sfida terapeutica senza precedenti: colpire un difetto genetico noto ma estremamente complesso, sviluppare trattamenti che siano al tempo stesso efficaci e sicuri, e garantire l’accesso a cure innovative in una patologia rara. Le recenti sperimentazioni in ambito di RNA-based therapies e terapie geniche aprono uno spiraglio concreto: l’obiettivo non è più soltanto alleviare i sintomi, ma cambiare la storia naturale della malattia, trasformando una condizione oggi inesorabile in una malattia gestibile a lungo termine.

