Nefrite lupica e anticorpi U1-RNP associati ad un maggiore rischio di osteoporosi nel Lupus eritematoso sistemico
La nefrite lupica (LN) e la presenza di anticorpi U1-RNP sono significativamente associate ad una ridotta densità minerale ossea (BMD) e ad osteoporosi (OP) nei pazienti con lupus eritematoso sistemico (LES). Queste le conclusioni di uno studio pubblicato su Arthritis Research & Therapy, che suggeriscono la necessità di condurre valutazioni mirate della salute ossea nei sottogruppi di pazienti con LES a rischio elevato.
Razionale e disegno dello studio
Nonostante il LES rappresenti un fattore di rischio ben riconosciuto per OP e fratture da fragilità, il contributo relativo dei fattori specifici della malattia rimane ancora poco chiaro – scrivono gli autori nell’introduzione allo studio.
Per colmare questa lacuna, i ricercatori hanno analizzato i dati al basale di 110 pazienti con LES arruolati in uno studio osservazionale monocentrico presso un policlinico universitario di Berlino, in Germania.
L’analisi si è concentrata sulla relazione tra le caratteristiche cliniche e sierologiche e i parametri di salute ossea. I partecipanti eleggibili allo studio dovevano soddisfare i criteri di classificazione del LES dell’European League Against Rheumatism/American College of Rheumatology del 2019 ed erano in terapia attuale o pregressa con glucocorticoidi.
Al momento dell’arruolamento, i pazienti sono stati sottoposti a densitometria ossea (DXA) della colonna lombare, anca in toto e collo femorale, a misurazione del trabecular bone score (TBS) e ad analisi 3D-DXA del femore.
L’osteoporosi era definita mediante una misura composita che comprendeva i punteggi T della DXA, la storia di fratture da fragilità e l’impiego di trattamenti per l’OP.
L’età media dei pazienti era di 48 anni (DS: 14,5), il 92% erano donne e il 62% in postmenopausa. La durata media della malattia era di 16,3 anni (DS: 9,9). La maggior parte dei pazienti (86%) assumeva glucocorticoidi al basale, comunemente in un range di 5–7,5 mg/die di prednisolone equivalente.
La nefrite lupica (LN) era presente nel 35% dei pazienti, classificata più spesso come classe IV o V (61% dei casi di LN); il 15% della coorte era positivo agli anticorpi U1-RNP.
Risultati principali
Dall’analisi dei dati è emerso che, secondo i criteri DXA, il 19% dei pazienti presentava OP, più frequentemente a livello della colonna lombare, mentre il 41% soddisfaceva la definizione composita di OP.
Fratture vertebrali sono state riportate nel 10% dei pazienti e fratture non vertebrali nel 26% dei casi.
Le analisi di regressione lineare multivariata hanno identificato nella LN di classe III/IV, negli anticorpi U1-RNP, nei livelli elevati di proteina C-reattiva e nella maggiore durata della malattia i predittori indipendenti di ridotta BMD.
La remissione clinica, un BMI più elevato, livelli elevati di Siglec-1 (Ndr: un marcatore indiretto dell’attività della via dell’interferone di tipo I – notoriamente iperattivata nel LES; livelli più elevati di Siglec-1 nei monociti/macrofagi circolanti sono stati associati a malattia più attiva e a maggiore coinvolgimento d’organo) e una migliore funzionalità fisica (punteggi più elevati all’Health Assessment Questionnaire) sono risultati correlati, invece, a una BMD più elevata.
Nelle analisi di regressione logistica, la LN attiva è emersa come il più forte predittore di OP (odds ratio: 7,42; IC 95%: 1,26-43,87), insieme all’ età più avanzata (OR: 1,06; IC 95%: 1,02-1,10) e a livelli più elevati di fattore C3 del complemento (OR: 1,002; IC 95%: 1–1,005).
Dose e durata dei glucocorticoidi non sono risultate indipendentemente associate a BMD o OP nella maggior parte dei modelli.
I ricercatori hanno inoltre valutato la capacità di discriminazione dei parametri 3D-DXA per le fratture da fragilità pregresse. Sebbene le misure corticali e trabecolari abbiano migliorato la discriminazione delle fratture vertebrali rispetto ai soli punteggi T (AUC: 0,77 vs 0,47), queste non hanno superato la DXA convenzionale o le misurazioni TBS nelle analisi di cross-validazione.
Interpretazione dei risultati
Lo studio, condotto su 110 pazienti con LES, ha evidenziato come l’OP rappresenti una comorbidità frequente, colpendo circa il 41% dei soggetti, mentre le fratture maggiori interessano quasi un terzo della coorte.
Tra i fattori associati ad una ridotta BMD sono emersi alcuni indici di attività di malattia come livelli elevati di proteina C-reattiva, nefrite lupica di classe III/IV, presenza di anticorpi U1-RNP e durata prolungata della malattia.
La remissione clinica, al contrario, si è dimostrata protettiva.
La LN, soprattutto nelle forme più severe, è risultata essere il predittore più forte di OP, verosimilmente per l’impatto dell’infiammazione cronica, della produzione citochinica e della compromissione renale sull’omeostasi ossea.
Anche età avanzata e un BMI ridotto hanno contribuito negativamente, sottolineando l’interazione tra fattori generali e specifici di malattia.
Un dato inatteso è stato quello della correlazione positiva fra livelli elevati di Siglec-1, marcatore dell’attività interferonica, e la densità ossea, la cui interpretazione resta incerta. In genere, nel LES, l’attivazione della via dell’interferone di tipo I (di cui Siglec-1 è un marcatore indiretto) si associa a una maggiore attività di malattia e, quindi, ci si aspetterebbe un peggioramento della salute ossea. Invece, in questa coorte, livelli più elevati di Siglec-1 sono risultati correlati ad una BMD maggiore.
A questo riguardo, i ricercatori hanno ricordato come si sappia ancora poco sugli effetti diretti dell’interferone (IFN) sulle cellule ossee e sulla possibilità che possa esercitare un effetto stimolante. In realtà, è stato dimostrato che la segnalazione mediata dall’IFN di tipo I previene il riassorbimento osseo riducendo l’osteoclastogenesi nel contesto dell’infiammazione sistemica. Inoltre, sono stati ipotizzati effetti positivi della via dell’IFN di tipo I sulla regolazione degli osteoblasti attraverso Stat1 e Runx2.
Pertanto, lo studio suggerisce che il ruolo dell’asse interferone-Siglec-1 sul metabolismo osseo sia più complesso: non sempre l’attività immunologica si traduce in perdita ossea, e potrebbero esserci meccanismi protettivi finora sottovalutati.
L’impiego di glucocorticoidi non si è confermato come fattore indipendente, suggerendo che, a dosi contenute e contestualizzate allo stato di malattia, i loro effetti possano essere secondari rispetto all’attività infiammatoria.
Da ultimo, l’analisi strutturale 3D del femore non ha migliorato la discriminazione delle fratture rispetto a DXA e TBS, pur aprendo prospettive future di ricerca.
Presi nel complesso, i risultati di questo studio suggeriscono l’importanza di attuare un monitoraggio mirato della salute ossea nei pazienti con LES ad alto rischio, in particolare nei portatori di nefrite lupica, livelli elevati di CRP e di anticorpi U1-RNP.
Limiti dello studio
Nel commentare i risultati, i ricercatori hanno ammesso alcuni limiti intrinseci del lavoro: tra questi segnaliamo il disegno monocentrico, la popolazione di pazienti prevalentemente di etnia caucasica (che non consente di generalizzare i risultati) e il ricorso ad analisi trasversali che non consentono di stabilire nessi causali.
Saranno necessari, pertanto, nuovi studi in grado di caratterizzare meglio le dinamiche dei cambiamenti della salute ossea nei pazienti con LES e di identificare il ruolo dei fattori specifici della malattia individuati – hanno aggiunto nelle conclusioni gli autori dello studio.
Bibliografia
Wiebe E et al. Lupus nephritis and U1-RNP-antibodies are associated with low bone mineral density and osteoporosis in patients with systemic lupus erythematosus: baseline findings in a sub-cohort of patients with inflammatory rheumatic diseases. Arthritis Res Ther. Pubblicato online il 28 luglio 2025. doi:10.1186/s13075-025-03610-y
Leggi

