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TC coronarica dopo PCI del tronco comune non riduce il rischio di eventi cardiaci avversi maggiori

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L’uso di routine della tomografia computerizzata coronarica (TC coronarica) dopo angioplastica coronarica percutanea (PCI) del tronco comune sinistro (arteria coronaria principale sinistra) non riduce il rischio di eventi cardiaci avversi maggiori

L’uso di routine della tomografia computerizzata coronarica (TC coronarica) dopo angioplastica coronarica percutanea (PCI) del tronco comune sinistro (arteria coronaria principale sinistra) non riduce il rischio di eventi cardiaci avversi maggiori. È quanto emerge dai risultati dello studio PULSE, presentati in una sessione Hot Line al Congresso ESC 2025 e pubblicati contemporaneamente su JACC.

Questo è un risultato rilevante, perché lo studio è uno dei più ampi mai condotti per verificare se i controlli di sorveglianza regolari dopo una PCI potessero portare benefici in pazienti ad alto rischio. Tuttavia, non è emersa alcuna riduzione significativa degli eventi cardiaci maggiori rispetto alla strategia tradizionale, che prevede il monitoraggio e gli accertamenti solo in presenza di sintomi.

Contesto clinico
L’arteria coronaria principale sinistra, o tronco comune, irrora una porzione estesa di miocardio e la sua compromissione è associata a un rischio elevato di morbilità e mortalità. Nonostante i miglioramenti nella progettazione degli stent e nella gestione farmacologica, la PCI di questo vaso resta associata a un rischio più elevato di complicanze e di outcome sfavorevoli a lungo termine.

Le linee guida europee attuali raccomandano un approccio di sorveglianza basato prevalentemente sui sintomi, fornendo solo una debole raccomandazione di classe IIb per l’esecuzione di test da sforzo dopo PCI. Le linee guida statunitensi, invece, non prevedono alcuna indicazione per controlli periodici con TC coronarica o test funzionali in assenza di cambiamenti clinici o funzionali, e anzi sconsigliano test di sorveglianza di routine nei pazienti con sindromi coronariche croniche se non si verifica un peggioramento dei sintomi.

In passato sono stati condotti pochi studi che abbiano testato differenti strategie di sorveglianza – comprese le prove funzionali e l’angiografia invasiva – dopo PCI in popolazioni non selezionate, e nessuno di questi ha mostrato un beneficio rispetto alla gestione standard. Lo studio PULSE ha quindi rappresentato il primo tentativo di valutare l’uso routinario di una strategia non invasiva di imaging in una popolazione ad alto rischio come quella sottoposta a PCI del tronco comune.

Obiettivo dello studio

Come ha spiegato il dottor Ovidio De Filippo dell’Ospedale Città della Salute e della Scienza di Torino, presentatore dello studio: «Complicazioni dannose, come la restenosi dello stent e gli eventi ischemici ricorrenti, possono verificarsi dopo PCI del tronco comune; tuttavia, la strategia di sorveglianza ottimale rimane un argomento di dibattito. Negli ultimi anni, la TC coronarica è emersa come uno strumento prezioso per la diagnosi e il monitoraggio, fornendo un’accuratezza paragonabile all’angiografia invasiva, riducendo al minimo i rischi procedurali e i costi sanitari. Abbiamo condotto il primo studio randomizzato per valutare il potenziale beneficio di un follow-up di routine basato su TC coronarica a 6 mesi rispetto alla gestione standard guidata da sintomi e ischemia nei pazienti dopo PCI per malattia del tronco comune.»

L’obiettivo principale dello studio era quindi valutare se l’impiego sistematico della TC coronarica a sei mesi dalla PCI potesse ridurre il rischio di morte per tutte le cause, infarto miocardico, angina instabile o trombosi dello stent rispetto alla sorveglianza standard.

Disegno dello studio

Lo studio PULSE è stato un trial clinico randomizzato, in aperto ma con valutazione degli endpoint in cieco, condotto in 15 centri europei e sudamericani. Sono stati arruolati 606 pazienti consecutivi con stenosi critica del tronco comune sottoposti a PCI. L’età media era di 69 anni e il 18% erano donne. Circa due terzi dei pazienti erano stati ricoverati per sindrome coronarica acuta senza sopraslivellamento del tratto ST (NSTE-ACS). La maggior parte presentava un rischio chirurgico basso-intermedio in base allo SYNTAX score, con un valore medio di 23, e l’80% aveva stenosi localizzata tra l’origine del tronco comune sinistro dall’aorta e il punto in cui esso si biforca.

La strategia raccomandata era quella dello stent provvisorio con meno del 5% dei pazienti che necessitavano di una tecnica a due stent.

I partecipanti sono stati randomizzati in due gruppi: uno è stato sottoposto a TC coronarica di controllo a sei mesi, l’altro è stato gestito con il follow-up usuale basato sulla valutazione clinica e sulla comparsa di sintomi o segni di ischemia. Nel gruppo TC coronarica, quando veniva riscontrata restenosi significativa, i pazienti venivano sottoposti ad angiografia invasiva e, se necessario, a rivascolarizzazione della lesione target.

Tutti i pazienti sono stati seguiti per un totale di 18 mesi. L’endpoint primario era di tipo composito e includeva morte per tutte le cause, infarto miocardico, angina instabile o trombosi certa/probabile dello stent.

Risultati
La TC coronarica è stata eseguita nell’89,8% dei pazienti del gruppo sperimentale, con una mediana di 200 giorni dall’intervento. L’endpoint primario si è verificato nell’11,9% dei pazienti nel gruppo TC coronarica e nel 12,5% nel gruppo di controllo, senza differenze statisticamente significative (p=0,80). Non sono state osservate differenze nei tassi di mortalità o di angina instabile.

L’incidenza di infarto miocardico è risultata significativamente più bassa nel gruppo sottoposto a TC coronarica (0,9%) rispetto al gruppo di controllo (4,9%; p=0,004). Gli sperimentatori, tuttavia, interpretano questo risultato come un dato ipotesi-generatore, più che come una prova definitiva di beneficio.

Il tasso di rivascolarizzazione della lesione target clinicamente guidata non è risultato significativamente diverso tra i due gruppi, mentre le rivascolarizzazioni (sia della lesione target sia di altri vasi) innescate dai risultati della TC coronarica sono state più numerose nel gruppo sperimentale.

Discussione e limiti dello studio
Secondo gli autori, alcuni limiti metodologici devono essere considerati. Nel braccio di controllo, la valutazione dei sintomi non era standardizzata e l’aderenza alla terapia medica non è stata raccolta in maniera sistematica. Inoltre, la scelta di sei mesi come momento per eseguire la TC coronarica è potenzialmente arbitraria: è un intervallo sufficiente per rilevare restenosi o esiti subottimali della PCI, ma non abbastanza lungo per identificare fenomeni come la neoaterosclerosi.

Interpretazione clinica
Commentando i risultati complessivi, il professor Fabrizio D’Ascenzo, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino, Principal Investigator dello studio, ha dichiarato: «Il follow-up sistematico basato su TC coronarica a 6 mesi non ha comportato una riduzione della mortalità per tutte le cause a 18 mesi, infarto, angina instabile e trombosi dello stent. Sebbene un follow-up universale basato su TC coronarica possa non essere utile, la marcata riduzione dell’infarto e l’identificazione di lesioni ostruttive che richiedono una PCI ripetuta suggeriscono che questo approccio possa valere la pena di essere ulteriormente indagato in pazienti selezionati con anatomie complesse e in un follow-up più lungo.»

Conclusioni
Lo studio PULSE conferma che il follow-up di routine con TC coronarica non riduce in modo significativo gli eventi clinici maggiori dopo PCI del tronco comune, anche in una popolazione ad alto rischio. Tuttavia, la riduzione dell’incidenza di infarto miocardico e l’opportunità di individuare precocemente restenosi significative aprono la strada a nuove ricerche per valutare l’utilità di un approccio personalizzato, mirato ai pazienti con anatomie più complesse o con punteggi SYNTAX più elevati.

BIBLIOGRAFIA
D’Ascenzo F, Cerrato E, De Filippo O, et al. Computed tomography angiography or standard care after left main PCI. JACC. 2025:Epub ahead of print.

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