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Alex Fernet pubblica il nuovo album “Modern Night”

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Le strade sono deserte, eppure dagli angoli si sentono sussurrare fantasmi. È qui che Alex Fernet entra in scena per raccontare la sua Modern Night

Modern Night” è il nuovo album di Alex Fernet. Una seduzione vampirica che fonde in ottica “post” generi come soul, funk e new wave con un’estetica cinematografica noir. Le multisfaccettature del disco uniscono David Bowie a Gaznevada, David Sylvian e Scott Walker a The Human League e agli Style Council.

«Volevo che questo disco sembrasse un album soul oscuro», spiega Fernet. «Un luogo in cui pianoforti che echeggiano, angeli ribelli e fantasmi anni Sessanta si incontrano con accordi minori e synth in rovina. Dove il funk non sorride: sparisce in un vicolo, in cerca di qualcosa che ha perduto.»

Se c’è un filo narrativo che unisce tutti i brani di “Modern Night”, è il personaggio del Sunlight Vampire, introdotto dal primo singolo omonimo. Metà metafora, metà spettro, questa figura attraversa le dieci tracce dell’album, trasformando la nostalgia in un atto politico e la malinconia in una forma di resistenza. Non è solo hauntology nel suono, ma anche nell’attitudine: un rifiuto delle superfici lucide e scintillanti, dell’ottimismo forzato del presente.

Musicalmente, “Modern Night” sfugge a ogni facile definizione. Si sentono echi di ballad AOR da radio, funk post-industriale e soul privato di ogni ottimismo. Pensatelo come nostalgia del futuro con la polvere sotto le unghie: un’opera profondamente contemporanea che rifiuta la perfezione digitale in favore dell’imperfezione analogica.
Come dice Fernet: «In un’epoca di suoni iper-editati, l’atto più radicale potrebbe essere lasciare che le cose respirino.» Le scelte di produzione riflettono questa filosofia. Le batterie, suonate da Diego Dal Bon (Crocodiles, Jennifer Gentle), sono state registrate in take completi — grezze e ipnotiche. I pianoforti di Little Albert (Messa) aggiungono un luccichio spettrale. E lo stesso Fernet, instancabile durante la residenza artistica che ha dato vita all’album, ha trascorso dieci giorni in quasi totale isolamento nella bassa Romagna immerso nella nebbia, nelle trattorie e nei sogni in VHS.

«Volevo un sound attuale, ma prodotto con tecniche old school», dice Fernet. «Anche se molte delle reference arrivano effettivamente dal passato», continua, «la loro combinazione e reinvenzione può comunque generare qualcosa di nuovo.»

C’è una strana bellezza nelle contraddizioni che Fernet abbraccia: un desiderio di connessione nell’era dell’alienazione, un disco funk sui fantasmi, un album soul sulla solitudine. Non copia il passato: lo rianima. Il risultato è un LP che gli appartiene completamente.

“Modern Night” è un’opera musicale urgente e infestata. In un mondo di identità iper-curate e gusti dettati dagli algoritmi, la musica di Alex Fernet arriva come un messaggio scarabocchiato sul muro scrostato di un sottopasso: reale, strano, impossibile da ignorare.
Non rimpiange il passato. Lo invita a entrare per ballare.

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