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Incriminato Comey, l’ex capo dell’FBI che indagò su Trump per il Russiagate

donald trump

Trump fa incriminare Comey, l’ex capo dell’FBI che indagò su di lui per il Russiagate. L’accusa è di false dichiarazioni e ostruzione di un procedimento congressuale

James Comey, l’ex direttore dell’FBI che indagò su Donald Trump per il “Russiagate”, è finito formalmente sotto accusa. Una giuria federale ad Alexandria (in Virginia) lo ha incriminato per false dichiarazioni e ostruzione di un procedimento congressuale, in relazione a una testimonianza resa al Senato nel 2020. Un atto d’accusa scarno – due paginette appena – ma dal peso politico enorme: un evidente tentativo di ritorsione contro colui che aveva osato indagare sulla campagna presidenziale del 2016 e i suoi rapporti con la Russia. Gliel’aveva giurata, Trump.

A intestarsi l’operazione non sono stati i procuratori di carriera (contrari per insufficienza di prove), ma Lindsey Halligan, fedelissima di Trump e suo ex avvocato personale, piazzata pochi giorni fa a capo dell’ufficio. Halligan ha firmato da sola il documento, ha tentato invano di far passare un secondo capo d’accusa e ha presentato il caso senza alcuna esperienza pregressa da procuratrice.

Comey si è dichiarato innocente in un video messaggio: “Non vivremo in ginocchio”, ha detto, accusando la Casa Bianca di giocare con la paura come fa ogni tiranno. Trump, ovviamente, ha esultato su Truth: “GIUSTIZIA IN AMERICA!”. Trump ha il caps lock inserito di default.

Nel fascicolo si fa riferimento a presunte bugie di Comey davanti alla Commissione Giustizia del Senato, quando negò di aver autorizzato collaboratori a parlare con la stampa di un’indagine su “Persona 1” (leggasi: Hillary Clinton). Secondo l’accusa, avrebbe invece dato il via libera a un sottoposto o al giurista Daniel Richman, poi finito a “chiacchierare” con il New York Times.

Molti procuratori ritengono il caso fragile: lo scambio incriminato è minimo, i ricordi sbiaditi, e la prescrizione incombeva proprio in questi giorni. Ma il messaggio politico è chiarissimo: nessuno, nemmeno un ex capo dell’FBI, è al sicuro dalla vendetta trumpiana.

La vicenda ha già prodotto le prime conseguenze. Troy Edwards Jr., genero di Comey e procuratore federale nello stesso distretto, per “dovere verso la Costituzione”. Altri magistrati minacciano di seguirlo, mentre il senatore democratico Mark Warner parla di “abuso pericoloso del sistema giudiziario”. Il nuovo direttore dell’FBI, Kash Patel, ha invece lasciato intendere che questo è solo l’inizio: “La vecchia leadership corrotta pagherà”.

Comey, licenziato da Trump nel 2017 nel piena dell’indagine sulla Russia, rischia teoricamente fino a cinque anni di carcere. L’udienza preliminare è fissata al 9 ottobre. Secondo il New York Times “la richiesta di incriminazione calpesta la lunga tradizione dell’agenzia di mantenere le distanze dalla Casa Bianca e di resistere alle pressioni politiche, e solleva la prospettiva di ulteriori procedimenti giudiziari arbitrari promossi da Trump contro i suoi nemici“.

FONTE: AGENZIA DI STAMPA DIRE (WWW.DIRE.IT)

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