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Cannabis terapeutica e dolore cronico: il punto

Cannabis: raccomandazioni di consenso su gestione perioperatoria

La cannabis medica ha visto negli ultimi anni una crescente diffusione come trattamento di supporto per il dolore cronico. Facciamo il punto

La cannabis medica ha visto negli ultimi anni una crescente diffusione come trattamento di supporto per il dolore cronico. I dati scientifici, pur evidenziando miglioramenti modesti e spesso inferiori alla soglia clinicamente significativa, mostrano un interesse sempre maggiore da parte dei pazienti e una forte espansione delle prescrizioni. La complessità farmacologica dei fitocannabinoidi, gli aspetti legati alla tollerabilità e al rischio di dipendenza, nonché le implicazioni medico-legali in Italia rendono necessario un approccio attento e consapevole. Ne hanno parlato esperti italiani in materia di dolore in un recente lavoro pubblicato su Clinical and Experimental Rheumatology.

“L’intento di questa revisione è stato quello di fornire ai Medici italiani che si accingono a prescrivere la Cannabis terapeutica uno strumento utile per conoscere tutti le implicazioni correlate a tale trattamento, sia dal punto di vista clinico che prescrittivo e medico-legale. Alcune indagini hanno infatti evidenziato come vi sia in generale nella classe medica una scarsa conoscenza sulle reali potenzialità di tale terapia, sulle sue possibili indicazioni e sull’efficacia attesa. Tali conoscenze sono tuttavia fondamentali per fornire ai pazienti informazioni precise e puntuali e non suscitare aspettative irrealistiche di efficacia, che spesso, senza alcun controllo, vengono riportate dalle risorse presenti su alcuni canali di informazione” precisa il prof. Vittorio Schweiger, Professore associato di Anestesia e Rianimazione-Università degli Studi di Verona e Vice-presidente AISD (Associazione italiana per lo studio del dolore).

Breve storia della cannabis
La cannabis medica contiene numerosi fitocannabinoidi, tra cui spiccano tetraidrocannabinolo (THC) e cannabidiolo (CBD), capaci di modulare il sistema endocannabinoide umano e influenzare dolore, umore e sonno. La sua storia terapeutica è antica, ma in epoca moderna ha incontrato ostacoli legali: negli Stati Uniti il Marijuana Tax Act del 1937 ha di fatto bloccato l’uso medico, mentre solo dagli anni ’90 alcuni Paesi hanno riaperto la strada alla prescrizione. In Italia, la regolamentazione è relativamente recente, con una crescita marcata del consumo dal 2018.

Efficace sul dolore, si o no?
Dal punto di vista clinico, le evidenze pubblicate negli ultimi anni includono numerose revisioni sistematiche e meta-analisi. I risultati mostrano una riduzione media dell’intensità del dolore, valutata con scala NRS (0–10), compresa tra -0,43 e -0,70 rispetto al placebo. Si tratta di un beneficio definito da molti autori come modesto, inferiore alla soglia comunemente considerata clinicamente significativa. Tuttavia, nelle indagini sulla percezione soggettiva i pazienti riferiscono spesso miglioramenti superiori, con una maggiore soddisfazione in termini di qualità della vita.
Questa discrepanza può dipendere dalla difficoltà di valutare scientificamente una sostanza complessa come la cannabis, capace di agire non solo sul dolore ma anche su ansia, depressione e disturbi del sonno, elementi che condizionano profondamente la percezione del dolore stesso. A ciò si aggiungono problemi metodologici degli studi clinici: la scarsa standardizzazione dei preparati, la difficoltà a mantenere il doppio cieco e l’influenza dell’effetto placebo.

Nel complesso, non emergono differenze nette tra dolore oncologico e non oncologico, né tra prodotti naturali e sintetici o tra diverse vie di somministrazione. Per questo motivo, linee guida europee come quelle della European Pain Federation raccomandano di considerare la cannabis come terapia aggiuntiva, da introdurre solo dopo il fallimento o la scarsa tollerabilità dei trattamenti standard.

Sicurezza e tollerabilità
Sul piano della sicurezza, gli studi concordano nell’indicare che gli eventi avversi gravi sono rari. Tuttavia, la cannabis medica aumenta la probabilità di effetti collaterali a carico del sistema nervoso centrale, come sonnolenza, vertigini, stanchezza e nausea. Si osservano anche disturbi gastrointestinali, come secchezza delle fauci, diarrea o stipsi, e alterazioni dell’umore, tra cui euforia. In genere si tratta di manifestazioni di lieve o moderata entità, ben tollerate e reversibili con la sospensione del trattamento o l’aggiustamento del dosaggio.

Uso della cannabis e rischio di dipendenza
Un punto critico è rappresentato dal rischio di dipendenza. Secondo i criteri del DSM-V, il disturbo da uso di cannabis può interessare fino al 29% degli utilizzatori, un dato che richiede prudenza e attenta selezione dei pazienti. Le controindicazioni assolute comprendono malattie cardiovascolari instabili, presenza di sintomi psicotici o disturbo bipolare, gravidanza (in corso o programmata) e allattamento. La valutazione preliminare deve quindi includere non solo l’analisi della sintomatologia dolorosa, ma anche un’accurata anamnesi psichiatrica e clinica.

Aspetti medico-legali in Italia
In Italia la cannabis medica è autorizzata esclusivamente come trattamento sintomatico di supporto, con prescrizione rigidamente regolamentata. Questo aspetto comporta che il medico non possa limitarsi a considerazioni cliniche, ma debba affrontare anche le implicazioni legali e sociali connesse all’uso della sostanza.
Le conseguenze possono riguardare la patente di guida, il rinnovo o il mantenimento dell’idoneità alla guida stessa, eventuali limitazioni lavorative, l’impatto sulle coperture assicurative e la possibilità di detenere armi da fuoco. Informare chiaramente i pazienti su questi punti è un dovere etico e professionale, indispensabile per evitare rischi legali sia per loro sia per i curanti. Un dialogo trasparente contribuisce inoltre a ridurre aspettative irrealistiche e a definire obiettivi terapeutici concreti.

Cannabis medica, opportunità terapeutica?
La cannabis medica si è affermata negli ultimi anni come opzione terapeutica complementare per i pazienti con dolore cronico refrattario. I dati scientifici dimostrano benefici reali ma limitati, spesso inferiori alla soglia clinicamente significativa, mentre l’esperienza dei pazienti suggerisce miglioramenti percepiti più ampi, probabilmente legati anche a un effetto positivo su sonno e benessere psicologico.

Il profilo di sicurezza appare favorevole, con rari eventi avversi gravi, ma la possibilità di dipendenza e la presenza di precise controindicazioni richiedono cautela. In aggiunta, le implicazioni medico-legali rendono necessario che i professionisti del dolore siano preparati non solo sul piano farmacologico e clinico, ma anche su quello normativo.
In definitiva, la cannabis medica può rappresentare un’opportunità terapeutica in contesti selezionati, a condizione che venga integrata in un percorso di cura personalizzato, basato su una valutazione multidimensionale del paziente e su un’informazione completa e consapevole.

Vittorio Schweiger et al.,  Medical cannabis for chronic pain management: questions and answers between clinical and medico-legal issues. Clin Exp Rheumatol. 2025 Jun;43(6):1128-1135. doi: 10.55563/clinexprheumatol/o23y55. Epub 2025 Jun 19.

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