Sindrome da trasfusione feto-fetale: l’ospedale romano ha sviluppato una tecnica chirurgica avanzata per agire direttamente in utero su questa complicanza che, ogni anno, solo in Italia interessa circa 300 gravidanze gemellari
Il nome tecnico è “sindrome da trasfusione feto-fetale”. È una complicanza che ogni anno interessa circa 300 gravidanze gemellari nel nostro Paese, in particolare quelle cosiddette “monocoriali”, dove cioè i gemelli condividono la stessa placenta. Si verifica quando uno dei due “dona” troppo sangue all’altro, generando così uno squilibrio di flussi sanguigni che porta un feto ad essere ipoperfuso e l’altro sovraccaricato di sangue. Pur essendo considerata una patologia di nicchia, è ad alto rischio di mortalità per uno o per entrambi i gemelli e può essere trattata in centri specializzati con tecniche innovative: una di queste è la fetoscopia laser su cui si sta specializzando il Policlinico Gemelli di Roma.
La chirurgia fetale storicamente nasce nei primi anni ’80 come tentativo di porre rimedio in utero a rari quadri malformativi (del sistema nervoso centrale, dei polmoni, del cuore, delle vie urinarie) identificati con l’ecografia. Come spiega il professor Tullio Ghi, Ordinario di Ginecologia e Ostetricia all’Università Cattolica del Sacro Cuore e Direttore della UOC di Ostetricia e Patologia Ostetrica di Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, «oggi il cuore della terapia fetale è sempre più la correzione della sindrome da trasfusione feto-fetale, per la quale è stato documentato uno straordinario miglioramento clinico: fino al 60% di sopravvivenza senza danni neurologici di entrambi i gemelli e fino all’80% di almeno un gemello».
Questa forma esordisce in genere tra la 17a e la 26a settimana di vita fetale. L’intervento per trattarla è la laser-coagulazione fetoscopica delle anastomosi placentari. «La sindrome – afferma la dottoressa Elisa Bevilacqua – complica circa il 15% delle gravidanze gemellari con una sola placenta che rappresentano una gravidanza su 3 di quelle gemellari (che a loro volta sono il 2-3% delle oltre 300.000 gravidanze che si registrano ogni anno in Italia). Si tratta di una patologia dell’architettura vascolare di quest’unica placenta, nella quale le circolazioni sanguigne dei due gemellini sono in comunicazione attraverso dei vasi (anastomosi vascolari). Se il sangue passa in modo bilanciato attraverso queste comunicazioni non ci sono problemi, ma se passa di più da un feto all’altro, si realizza la condizione di un feto “donatore” (che svilupperà ipoperfusione degli organi vitali e poco liquido amniotico) e di un feto “ricevente” (con cuore e circolazione sovraccarichi per eccesso di sangue in circolo e tanto liquido amniotico). In queste condizioni, il rischio di mortalità in utero o di parto molto prematuro (prima di 25 settimane) è molto elevato».
La tecnica condotta al Policlinico Gemelli, come spiega la dottoressa Alessandra Familiari, «consiste nell’entrare con una minuscola telecamera all’interno dell’utero, attraversando la parete addominale: questo ci permette di individuare con precisione millimetrica la posizione dei vasi “colpevoli”. A quel punto, dalla stessa porta d’ingresso della telecamera, viene inserita anche una fibra laser che servirà a “coagulare” (cioè a bruciare) i vasi sanguigni che determinano lo scompenso di circolazione tra i due feti. Con questo intervento, separiamo le circolazioni dei due gemelli, andando di fatto a dividere in due una placenta unica e impedendo così un passaggio di sangue anomalo da un bambino all’altro. È una procedura molto delicata e le prime 48 ore dopo l’intervento sono quelle più critiche. Naturalmente, maggiore è lo stadio di gravità, minori sono le chance di sopravvivenza dei piccoli. Questi bambini restano comunque dei sorvegliati speciali anche se l’intervento ha successo».

