Tumori del sangue: una nuova strategia per inibire le metastasi. Lo studio è stato condotto all’Università di Modena e Reggio Emilia e si è concentrato in particolare sui pazienti affetti da mielofibrosi

Da oggi c’è una nuova strategia terapeutica che può inibire la diffusione delle metastasi nelle persone affette da mielofibrosi. È quanto ha sviluppato un team di ricercatori del Centro interdipartimentale di cellule staminali e medicina rigenerativa (CIDSTEM) dell’Università di Modena e Reggio Emilia (Unimore).
Lo studio, che è stato pubblicato sul Journal of Cellular and Molecular Medicine, ha permesso di dimostrare che l’interazione tra monociti e cellule staminali emopoietiche tumorali, che determina la diffusione delle cellule staminali maligne nei pazienti con mielofibrosi, è mediata dalla proteina di membrana CD44.
La mielofibrosi è un tumore che colpisce le cellule staminali del sangue, per la quale non esiste una cura definitiva. La sua caratteristica principale è lo sviluppo di fibrosi a livello del midollo osseo che ne compromettono la funzionalità. La conseguenza di questa condizione è che le cellule staminali tumorali lasciano il midollo osseo, entrano in circolo e colonizzano la milza, determinandone un importante aumento delle dimensioni e compromettendone le condizioni cliniche del paziente: nei casi più gravi chi ne viene colpito deve essere sottoposto all’asportazione della milza stessa.
Fino ad oggi non erano chiari i meccanismi cellulari e molecolari che provocano la popolazione della milza da parte delle cellule maligne e quindi non erano disponibili terapie in grado di inibirne la diffusione anche in altri tessuti del paziente. La ricerca condotta da Unimore è stata coordinata dalla professoressa Rossella Manfredini, responsabile del programma di Genomica e Trascrittomica del Centro di Medicina Rigenerativa “Stefano Ferrari” e del gruppo di ricerca di Analisi Multi-Omica e Funzionale di Cellule Staminali Emopoietiche in Neoplasie Emopoietiche Mieloidi del Dipartimento di Scienze Biomediche Metaboliche e Neuroscienze. «Le attuali terapie disponibili per i pazienti con mielofibrosi ne migliorano la qualità di vita andando ad agire solo sui sintomi – spiega – L’aumento di dimensioni della milza, detto anche splenomegalia, è uno dei sintomi più evidenti e invalidanti ed è ridotta dalla terapia mirata con farmaci che non sono in grado di eliminare la diffusione delle cellule staminali tumorali. La colonizzazione della milza da parte di queste cellule maligne è un processo di disseminazione della malattia che porta alla progressione in una forma più grave della mielofibrosi, pertanto, è di fondamentale importanza individuare terapie capaci di contrastare il fenomeno».
Il risultato è frutto di studi precedenti in cui, come racconta la dottoressa Margherita Mirabile, «nel plasma dei pazienti con mielofibrosi avevamo identificato come principale citochina pro-fibrotica (una classe di mediatori chimici rilasciati dalle cellule del sistema immunitario che promuovono la crescita e la proliferazione del tessuto fibroso, portando alla fibrosi, ndr) la proteina osteopontina. Questa proteina rappresenta anche un fattore capace di stimolare la migrazione di monociti, in grado di organizzare il rimodellamento del microambiente della milza e richiamare le cellule staminali tumorali del sangue. Ci siamo quindi focalizzati sull’identificazione di inibitori dell’osteopontina allo scopo di ridurre nei pazienti l’emopoiesi extramidollare (il processo di produzione delle cellule del sangue che avviene al di fuori del midollo osseo, ndr)».
«Tra le diverse molecole analizzate – spiega il dottor Sebastiano Rontauroli – il recettore di osteopontina CD44 è emerso come il principale mediatore di questo fenomeno. Abbiamo dimostrato che la sua inibizione blocca la migrazione dal midollo osseo dei monociti e delle cellule staminali tumorali del sangue, che possono essere richiamate all’interno della milza dall’osteopontina prodotta dai monociti stessi».

