La coda della scultura del Leone alato di Martalar è stata ripetutamente vandalizzata e alla fine si è spezzata. Colpa anche di comportamenti sbagliati e selfie sciocchi. Ira di Zaia
“Quello che è accaduto a Tarzo è un gesto vile che ferisce non solo un’opera d’arte, ma l’anima stessa del nostro popolo. Il Leone alato di Martalar non è un semplice simbolo: è la rappresentazione della nostra storia millenaria, della nostra identità, della fierezza e della dignità dei Veneti. Chi ha osato colpirlo non ha colpito un pezzo di legno, ma ha inferto un’offesa a tutti noi, alle nostre radici, ai nostri valori. Non posso liquidare questo gesto come una semplice bravata: non si tratta soltanto di un danno a una scultura, ma di un’offesa a un simbolo che rappresenta il cuore della nostra identità veneta”. Il presidente del Veneto Luca Zaia commenta così quanto accaduto a Fratta di Tarzo (Treviso), dove l’ultima opera di Land art dello scultore Marco Martalar, il leone alato appunto, creato con tralci di vite e il legno degli alberi abbattuti dalla tempesta Vaia, è stato vandalizzato ripetutamente, fino a spezzargli la coda.
“IGNORANZA E MANCANZA DI RISPETTO”
Il leone più grande al mondo, simbolo di resilienza, rinascita e identità veneta, era stato inaugurato lo scorso 6 agosto, in occasione del sesto anniversario dell’iscrizione delle Colline del Prosecco nel registro Unesco dei patrimoni dell’Umanità. “Chi ha compiuto questo atto non ha solo dimostrato ignoranza e mancanza di rispetto: ha ferito la nostra identità, oltraggiando ciò che per noi è sacro- dichiara Zaia- questo episodio deve essere un richiamo per tutti noi: dobbiamo custodire e difendere i nostri simboli, perché rappresentano ciò che siamo e ciò che vogliamo trasmettere alle nuove generazioni”.
“BASTA SELFIE SCIOCCHI O METTEREMO TELECAMERE”
Il Leone sarà riparato, “tornerà a mostrare tutta la sua forza e continuerà a guardare dall’alto la nostra terra, come sempre ha fatto nella storia. In lui c’è l’anima del Veneto: la resilienza dopo la distruzione, la bellezza che nasce dalla fatica, la memoria che si scolpisce nella materia viva. Un messaggio che arriva forte e chiaro: anche dalle ferite più dure possono germogliare arte, identità, speranza”. Ma “a tutti i meschini che si appendono al Leone per un selfie o una bravata– conclude Zaia- dico che è ora di imparare il rispetto, quello verso un simbolo identitario oltre che verso un’opera d’arte. Non vorremmo arrivare a dover installare una videosorveglianza anche in un luogo come questo: sarebbe davvero un fallimento, prima di tutto culturale”.
FONTE: AGENZIA DI STAMPA DIRE (WWW.DIRE.IT)

