Nasce The Next Frontier, una serie di cortometraggi prodotta da BBC StoryWorks e promossa dalla Biotechnology Innovation Organization (BIO), la più grande organizzazione al mondo che promuove le biotecnologie
In un’epoca in cui l’umanità è chiamata ad affrontare sfide sanitarie, ambientali e sociali sempre più complesse, la biotecnologia si configura come una delle leve più promettenti per costruire soluzioni durature, inclusive e orientate al futuro. È su questa premessa che nasce The Next Frontier, una serie di cortometraggi prodotta da BBC StoryWorks e promossa dalla Biotechnology Innovation Organization (BIO), la più grande organizzazione al mondo che promuove le biotecnologie, con l’obiettivo di raccontare come la scienza biotecnologica possa incidere concretamente sulla vita delle persone e del pianeta.
La serie, composta da 13 episodi di 5-7 minuti, dà voce a scienziati, innovatori, aziende e pazienti impegnati nei settori più avanzati della biotecnologia. Tra i temi affrontati, trovano spazio questioni di grande rilevanza globale come le malattie rare, l’accesso equo agli antibiotici, la salute animale e la medicina personalizzata. Il filo conduttore di ogni episodio è la speranza, come sottolineato dallo stesso CEO di BIO, John F. Crowley: “Questa serie non solo racconta storie di biotecnologia, ma trasmette una delle emozioni umane più potenti: la speranza. È proprio la speranza che ci permette di credere, e quindi di agire.”
Ogni cortometraggio è sponsorizzato da realtà attive nel campo biotech, tra cui Chiesi Global Rare Diseases, Viatris, Idorsia, Obsidian Therapeutics, Arcturus e altre aziende impegnate nello sviluppo di soluzioni terapeutiche avanzate.
La storia che ha dato origine a una rivoluzione terapeutica
A inaugurare la serie è la toccante vicenda personale di John F. Crowley, imprenditore e oggi CEO di BIO, la cui vita è stata stravolta dalla diagnosi di una malattia genetica rara in due dei suoi tre figli. La storia, narrata nel primo episodio, mostra come la determinazione personale possa trasformarsi in motore di innovazione scientifica.
Tutto ha inizio con la nascita di Megan, che intorno all’anno di età non raggiunge i consueti traguardi dello sviluppo motorio. Dopo numerosi esami, arriva una diagnosi devastante: malattia di Pompe, una rara patologia causata dalla carenza dell’enzima GAA (alfa-glucosidasi acida), fondamentale per la degradazione del glicogeno nei lisosomi. Il mancato smaltimento del glicogeno provoca gravi danni ai muscoli scheletrici e cardiaci, portando a insufficienza cardiaca e morte precoce. A peggiorare la situazione, pochi giorni prima della diagnosi era nato il secondogenito, Patrick, anch’egli ad alto rischio di essere affetto dalla stessa malattia.
Di fronte a un futuro senza speranza, John e la moglie Aileen attraversano le fasi del lutto, ma ben presto trasformano il dolore in azione. Pur non avendo una formazione scientifica, John decide di dedicarsi completamente alla ricerca, studiando pubblicazioni, incontrando esperti e esplorando ogni possibile soluzione terapeutica. La lentezza dei canali tradizionali della ricerca lo spinge a fondare nel 1998 Novazyme Pharmaceuticals, una start-up biotech con l’obiettivo di sviluppare una terapia enzimatica sostitutiva (ERT) per la malattia di Pompe.
L’iniziativa di Crowley attira presto l’interesse del settore e nel 2000 l’azienda viene acquisita da Genzyme, leader nelle malattie rare. Da lì in poi, la ricerca accelera fino all’approvazione, nel 2006, della terapia alglucosidasi alfa (nome commerciale: Myozyme / Lumizyme) da parte della Fda. Megan e Patrick sono tra i primi pazienti a riceverla, ottenendo un arresto nella progressione della malattia e una prospettiva di vita radicalmente migliorata.
La vicenda è diventata nota anche al grande pubblico grazie al film Extraordinary Measures (2010), ispirato alla storia della famiglia Crowley. Ma l’impegno di John non si è fermato lì. Nel 2003 divenne presidente fondatore e amministratore delegato di Orexigen Therapeutics. Nel 2004 entrò a far parte del Consiglio di amministrazione di Amicus Therapeutics, con sede a Cranbury, nel New Jersey, e nel gennaio 2005 fu nominato presidente e amministratore delegato dell’azienda.
Dopo aver salvato i suoi figli, ha continuato a lavorare per la comunità delle malattie rare, diventando un riferimento nel settore biotech e un portavoce appassionato dell’innovazione centrata sul paziente. Alla guida di BIO, promuove un’industria orientata non solo alla sicurezza ed efficacia, ma anche alla rapidità di accesso alle terapie.
Epidermolisi bollosa: una quotidianità tra dolore e speranza
Tra i cortometraggi più intensi della serie, Living Between Pain and Hope – realizzato con il contributo di Chiesi Global Rare Diseases – dà voce a chi convive con l’epidermolisi bollosa (EB), una delle patologie genetiche della pelle più invalidanti. Protagonisti del racconto sono Abrar, scrittrice trentenne dell’Arabia Saudita, e Michael, coach digitale di 31 anni originario di Udine, che condividono le difficoltà quotidiane legate alla malattia, tra dolore fisico, isolamento sociale e sfide emotive, ma anche la loro incrollabile resilienza.
L’epidermolisi bollosa comprende un gruppo eterogeneo di malattie causate da mutazioni genetiche nei geni responsabili della produzione di proteine strutturali fondamentali per l’adesione tra gli strati della pelle, come collagene VII e laminina-332. La mancanza o il malfunzionamento di queste proteine provoca fragilità cutanea estrema, formazione di bolle, ulcerazioni e, nei casi più gravi, complicanze sistemiche come carcinoma squamocellulare, infezioni croniche, malnutrizione e morte precoce.
Il cortometraggio non si rivolge solo al grande pubblico, ma intende anche sensibilizzare operatori sanitari, regolatori e decisori politici, offrendo uno spaccato realistico della vita con EB e sottolineando l’urgenza di investire in terapie innovative.
“La nostra dedizione alla comunità delle malattie rare è assoluta”, afferma Stuart Siedman, Vicepresidente Global Patient Advocacy in Chiesi. “Condividere queste storie significa creare consapevolezza e catalizzare cambiamento. Il nostro impegno consiste nell’ascoltare, rappresentare e sostenere la voce dei pazienti.”
La narrazione come strumento per accelerare il progresso
Living Between Pain and Hope è stato proiettato in anteprima alla BIO International Convention di Boston, generando un ampio interesse e stimolando una riflessione collettiva sul ruolo del racconto come leva per l’innovazione. Durante il panel di presentazione, intitolato The Next Frontier: How Stories Can Unlock the Power of Biotech, Lucia Contofalska, PharmD e Patient Advocacy Manager di Chiesi, ha evidenziato l’importanza di dare spazio alle voci dei pazienti per guidare lo sviluppo di soluzioni più mirate, umane ed efficaci.
In un momento storico segnato da urgenze globali – dal cambiamento climatico alle disuguaglianze sanitarie – la biotecnologia può offrire strumenti concreti di trasformazione. Ma senza ascoltare le esperienze reali di chi convive ogni giorno con la malattia, il progresso rischia di restare astratto.
In questo senso, The Next Frontier rappresenta molto più di una serie: è un invito all’ascolto, alla comprensione e all’azione. Una testimonianza del fatto che dietro ogni innovazione biotecnologica ci sono volti, storie, emozioni. E soprattutto, c’è la speranza.

