La supplementazione di vitamina D rappresenta un presidio fondamentale nella gestione dell’osteoporosi, ma l’obesità complica sensibilmente il raggiungimento dei livelli sierici ottimali
La supplementazione di vitamina D rappresenta un presidio fondamentale nella gestione dell’osteoporosi, contribuendo a mantenere la solidità ossea e a ridurre il rischio di cadute. Tuttavia, la presenza di obesità complica sensibilmente il raggiungimento dei livelli sierici ottimali di questa vitamina liposolubile. A sottolinearlo è Bess Dawson-Hughes, del Jean Mayer USDA Human Nutrition Research Center on Aging presso la Tufts University di Boston, intervenuta all’ultimo congresso annuale dell’American Association of Clinical Endocrinology (AACE).
Diversi fattori concorrono a spiegare i valori cronicamente bassi di 25-idrossivitamina D nei soggetti con obesità: un apporto alimentare spesso insufficiente, una minore esposizione solare, un’attività ridotta dell’enzima 25-idrossilasi epatica – essenziale per la conversione della vitamina D nella sua forma attiva – e alterazioni del microbiota intestinale, che sembrano influenzarne l’assorbimento. Secondo le linee guida cliniche 2024 dell’Endocrine Society, questa condizione merita attenzione, considerando che un BMI elevato, pur associandosi paradossalmente a una maggiore densità minerale ossea, non protegge dalle fratture. Anzi, studi recenti indicano che nelle donne in post-menopausa con obesità il rischio di frattura alla caviglia è superiore del 50% e quello al femore del 70% rispetto ai soggetti normopeso.
Supplementazione: dosaggi più elevati nei pazienti con obesità
Le attuali raccomandazioni dell’AACE per il trattamento dell’osteoporosi suggeriscono di mantenere concentrazioni sieriche di 25-idrossivitamina D ≥30 ng/mL, mediante supplementazione quotidiana con 1.000-2.000 UI di colecalciferolo (vitamina D3), se necessario. Tuttavia, questo dosaggio potrebbe risultare insufficiente nei soggetti obesi.
Come osservato da Dawson-Hughes, a parità di dose somministrata, i pazienti con obesità raggiungono livelli sierici inferiori rispetto ai normopeso. La motivazione risiede nel fatto che, essendo liposolubile, la vitamina D tende ad accumularsi nel tessuto adiposo, sottraendosi al circolo ematico e limitandone così la disponibilità sistemica. Alcuni autori propongono di aumentare il dosaggio di due o tre volte nei pazienti obesi e di circa 1,5 volte negli individui in sovrappeso, rispetto ai soggetti normopeso.
Una piccola sperimentazione su 25 partecipanti ha suggerito che, per ottenere gli stessi livelli plasmatici di 25-idrossivitamina D, le persone con obesità necessitano di un apporto superiore del 40% rispetto ai normopeso. È stato anche proposto un algoritmo di calcolo del dosaggio basato sul peso corporeo, che potrebbe migliorare la precisione della supplementazione. È bene ricordare, però, che le stesse linee guida AACE raccomandano cautela con i dosaggi molto elevati (ad esempio 50.000 UI), riservandoli a circostanze cliniche particolari.
Tempi più lunghi per raggiungere l’equilibrio
Oltre a richiedere dosi maggiori, i pazienti obesi impiegano più tempo per raggiungere uno stato di equilibrio sierico dopo l’avvio della supplementazione. La farmacocinetica del colecalciferolo prevede un’emivita di poco superiore alle due settimane, per cui il tempo teorico per raggiungere il plateau plasmatico si aggira sui 2,5-3 mesi. Tuttavia, nei soggetti obesi questo periodo sembra significativamente prolungato.
L’osservazione emerge dall’analisi stratificata per BMI dello studio STOP IT, che ha coinvolto uomini e donne over 65 trattati per tre anni con 700 UI di vitamina D3 e 500 mg di citrato malato di calcio. In questo contesto, mentre i soggetti normopeso raggiungevano un plateau dei livelli di 25-idrossivitamina D entro 6 mesi, nei partecipanti obesi i valori continuavano a salire fino a 12 mesi, restando comunque inferiori in ogni fase del follow-up.
Alla luce di questi dati, Dawson-Hughes ha sottolineato l’importanza di non modificare prematuramente il dosaggio sulla base di controlli ematochimici a 3 mesi dall’inizio della terapia, per evitare il rischio di un sovradosaggio successivo. Dosi eccessive di vitamina D, infatti, oltre a non offrire beneficio aggiuntivo, possono paradossalmente aumentare il rischio di cadute e fratture, come documentato in letteratura.
Prospettive future: raccomandazioni su misura
I dati attuali suggeriscono la necessità di definire raccomandazioni specifiche per la supplementazione di vitamina D nelle persone con sovrappeso e obesità. L’obiettivo sarebbe quello di personalizzare dosaggio e tempistiche di monitoraggio sulla base del BMI, adottando eventualmente schemi terapeutici differenti per garantire il raggiungimento e il mantenimento dei livelli sierici desiderati senza eccedere.
Secondo Dawson-Hughes, sarà importante in futuro disporre di una definizione più precisa dei tempi di risposta ematica alla supplementazione nei diversi gruppi di peso corporeo. Questo approccio permetterebbe di affinare la strategia terapeutica in un ambito clinico in cui il rischio di sottotrattamento o sovradosaggio resta concreto e poco esplorato.
Bibliografia
Endocrine Society. Vitamin D: 2024 Clinical Practice Guidelines. https://www.endocrine.org/clinical-practice-guidelines/vitamin-d-for-prevention-of-disease
Dawson-Hughes B, et al. The effect of obesity on vitamin D status and supplementation response. Presentato al congresso AACE 2025.
Camacho PM, Petak SM, Binkley N, et al. American Association of Clinical Endocrinologists/American College of Endocrinology Clinical Practice Guidelines for the Diagnosis and Treatment of Postmenopausal Osteoporosis—2020 Update. Endocr Pract. 2020 May;26(Suppl 1):1-46. leggi
Dawson-Hughes B, Harris SS, Krall EA, Dallal GE. Effect of Calcium and Vitamin D Supplementation on Bone Density in Men and Women 65 Years of Age or Older. N Engl J Med. 1997 Sep 4;337(10):670-6. doi: 10.1056/NEJM199709043371003. leg

