Efgartigimod potrebbe avere un ruolo nel trattamento sia della miosite che della sindrome di Sjögren; queste le conclusioni di due studi di fase 2 “proof-of-concept”
Efgartigimod potrebbe avere un ruolo nel trattamento sia della miosite che della sindrome di Sjögren; queste le conclusioni di due studi di fase 2 “proof-of-concept” riportati al congresso EULAR: lo studio ALKIVIA, condotto in pazienti con miosite infiammatoria idiopatica (IMM) e lo studio RHO, condotto in pazienti con malattia di Sjogren primaria.
Informazioni su efgartigimod
Il farmaco, messo a punto da Argenx e già approvato per condizioni come la miastenia gravis e la polineuropatia demielinizzante infiammatoria cronica, è un anticorpo monoclonale frammentato (tecnicamente una porzione Fc modificata di IgG1) progettato per legarsi al recettore neonatale Fc (FcRn). Non è un immunosoppressore classico, ma agisce in modo selettivo su una componente cruciale del sistema immunitario: le immunoglobuline G (IgG).
Il recettore neonatale Fc (FcRn) è una proteina che si trova in molte cellule dell’organismio (soprattutto cellule endoteliali, epiteliali e delle cellule del sistema immunitario) e ha un compito importante: quello di proteggere le IgG dalla degradazione.
Quando le IgG circolanti entrano nella cellula tramite endocitosi, il FcRn le lega e le riporta in circolo, impedendone il degrado nei lisosomi. Questo processo prolunga la loro emivita (fino a circa 21 giorni).
Efgartigimod si lega con alta affinità al recettore FcRn, ma non viene riciclato come una normale IgG. Questo ha due effetti principali:
1) Blocco del riciclo delle IgG normali e degli autoanticorpi
Efgartigimod “occupa” il recettore FcRn e impedisce che IgG normali (incluse quelle autoimmuni, come anti-Ro, anti-AChR, anti-MuSK, ecc.) vengano recuperate e restituite alla circolazione. Il risultato di ciò è che le IgG (sia normali sia patologiche) vengono degradate nei lisosomi.
2) Riduzione dei livelli sierici di IgG
Dopo alcune dosi, i livelli totali di IgG possono ridursi fino al 60-75% rispetto al basale. Questo include anche gli autoanticorpi patogeni coinvolti nelle malattie autoimmuni.
Va comunque rimarcato che efgartigimod non blocca la produzione di IgG da parte dei linfociti B o plasmacellule. Riduce solo i livelli circolanti, rendendo il suo effetto reversibile.
Questo meccanismo consente una riduzione selettiva degli autoanticorpi patogeni, senza compromettere in modo significativo la produzione generale di anticorpi.
Razionale d’impiego di efgartigimod nelle malattie autoimmuni
In molte malattie autoimmuni (come miastenia gravis, miosite, lupus, sindrome di Sjögren, CIDP…), il danno tissutale è causato da autoanticorpi IgG che attaccano le strutture dell’organismo. Efgartigimod riduce questi autoanticorpi, senza compromettere in modo generalizzato il sistema immunitario. Non colpisce IgA, IgM, né l’attività delle cellule T o B, e questo potrebbe ridurre gli effetti collaterali rispetto a immunosoppressori più ampi.
Studio ALKIVIA (pazienti con IMM)
In questo studio sono stati reclutati 89 pazienti adulti con forme di IIM attiva (tra cui dermatomiosite, miosite necrotizzante immuno-mediata, polimiosite o sindrome da antisintetasi), randomizzati a trattamento con efgartigimod e a trattamento con placebo, entrambi in aggiunta alla terapia standard.
L’età media dei pazienti era di 58 anni con l’agente attivo e 55 con il placebo. Circa tre quarti del campione di pazienti era costituito da donne. Circa la metà dei pazienti proveniva dall’Europa, un quarto dal Nord America e quasi tutti gli altri dall’Asia. Più dell’80% assumeva corticosteroidi e quasi altrettanti erano in terapia con immunosoppressori o farmaci antimalarici.
Dopo 24 settimane, i pazienti trattati con efgartigimod hanno mostrato un miglioramento clinico significativamente superiore rispetto al gruppo placebo, in base al Total Improvement Score (TIS) delle linee guida ACR/EULAR 2016.
Nello specifico, Il punteggio medio TIS nel gruppo efgartigimod è risultato pari a 50,45 rispetto a 35,65 nel gruppo placebo (p = 0,0004).
Inoltre, una percentuale maggiore di pazienti sottoposti a trattamento attivo ha raggiunto soglie di miglioramento clinico considerate lievi, moderate o importanti. Le percentuali di pazienti che hanno raggiunto le risposte TIS 20/40/60 con efgartigimod o placebo alla settimana 24 sono state le seguenti (differenze tutte significative):
– TIS 20: 91,5% vs 73,8%
– TIS 40: 78,7% vs 47,6%
– TIS 60: 34,0% vs 9,5%
Anche i tempi mediani per il TIS ≥20/40 hanno favorito fortemente efgartigimod. Per il TIS ≥20, i tempi sono stati di 30 giorni con il farmaco attivo e di 72 giorni con il placebo; per il TIS ≥40, le cifre corrispondenti sono state di 113 giorni e “non stimabili”, poiché meno della metà dei pazienti con placebo ha raggiunto quel livello di miglioramento in 24 settimane.
Anche la safety è risultata paragonabile: circa l’87% dei pazienti trattati ha sperimentato almeno un evento avverso, in linea con l’88% osservato nel gruppo di controllo.
Gli eventi più comuni erano legati alla somministrazione sottocutanea (come arrossamento o dolore al sito di iniezione). Due decessi si sono verificati nel gruppo efgartigimod, ma non sono stati ritenuti correlati al farmaco: uno era dovuto ad un incidente stradale, l’altro ad una cirrosi epatica preesistente.
Studio RHO (pazienti con sindrome di Sjogren)
Per quanto riguarda la sindrome di Sjögren, lo studio RHO ha coinvolto 34 pazienti adulti, dei quali 23 erano stati randomizzati a trattamento con efgartigimod e 11 a trattamento con placebo, con un regime di somministrazione endovenosa settimanale di 10 mg/kg.
L’endpoint principale del trial era rappresentato dal raggiungimento di una risposta clinica in almeno tre dei cinque domini previsti dal criterio CRESS (Composite of Relevant Endpoints for Sjögren’s Syndrome) un endpoint composito sviluppato per misurare in modo più sensibile e clinicamente rilevante la risposta terapeutica nella sindrome di Sjögren.
I cinque domini CRESS sono i seguenti
– riduzione del punteggio ESSDAI di attività di malattia , sistema nervoso, ecc.)
– flusso salivare stimolato (un aumento del flusso indica miglioramento della funzione esocrina
– Schirmer test (valuta la produzione lacrimale)
– VAS fatigue
– VAS dryness
Dopo 24 settimane, il 45,5% dei pazienti trattati con efgartigimod ha raggiunto l’obiettivo, rispetto all’11,1% del gruppo placebo.
La risposta clinica è stata raggiunta anche in base ad un’altra misura denominata STAR, acronimo di Sjögren’s Tool for Assessing Response: in questo caso il 54,5% dei pazienti del gruppo in trattamento attivo ha soddisfatto i criteri di risposta, rispetto al 33,3% dei pazienti del gruppo placebo. Lo studio, inoltre, ha mostrato riduzioni significative dei livelli sierici di IgG (–58%
) e degli autoanticorpi anti-Ro52 (–64%) già a partire dalla quarta settimana di trattamento.
Al contrario, nel gruppo placebo gli IgG sono rimasti stabili e gli anti-Ro52 sono aumentati di circa il 40%.
Miglioramenti si sono registrati anche relativamente ai livelli di fattore reumatoide e del componente C1q del complemento, solo nel gruppo efgartigimod.
Passando alla safety, eventi avversi sono stati riportati nell’87% dei pazienti trattati con efgartigimod rispetto al 64% di quelli del gruppo di controllo.
Nessuno di questi eventi ha raggiunto un livello di gravità pari o superiore a 3, nè sono stati registrati decessi. Tra gli effetti collaterali più comuni vi sono stati cefalea, nasofaringite, influenza e infezioni urinarie, più frequenti nel gruppo attivo.
I commenti agli studi
Sebbene i risultati di entrambi i trial siano considerati promettenti, i ricercatori – tra cui Hector Chinoy (Università di Manchester) e Isabelle Peene (Università di Ghent) – hanno sottolineato che saranno necessari dati più robusti, in particolare dai trial di fase 3 attualmente in corso, per confermare l’efficacia e la sicurezza del farmaco in queste indicazioni.
Nel complesso, efgartigimod mostra un potenziale concreto nel trattamento di due malattie reumatiche ad oggi prive di terapie mirate realmente efficaci. Tuttavia, serviranno ulteriori conferme prima che il farmaco possa essere integrato nelle strategie terapeutiche standard.
Bibliografia
1) Chinoy H et al. Efficacy and safety of efgartigimod ph20 sc in adult participants with active idiopathic inflammatory myopathy: phase 2 results from the ALKIVIA study. OP0002; EULAR 2025
2) Peene I et al. Treatment of primary Sjögren’s disease by blocking FcRn: clinical and translational data from RHO, a phase 2 randomized, placebo controlled, double-blind, proof-of-concept study with efgartigimod. OP0041; EULAR 2025

