Brusca frenata per INmune Bio nello sviluppo di XPro (pegipanermin), il suo inibitore sperimentale del Tumor Necrosis Factor come potenziale trattamento per la malattia di Alzheimer
Brusca frenata per INmune Bio nello sviluppo di XPro (pegipanermin), il suo inibitore sperimentale del Tumor Necrosis Factor (TNF), studiato come potenziale trattamento per la malattia di Alzheimer in fase iniziale. La società biotecnologica con sede in Florida ha reso noti i risultati negativi dello studio di Fase II MINDFuL, che non ha raggiunto il suo endpoint primario di efficacia. A seguito della comunicazione, il titolo di INmune Bio ha subito un crollo in borsa, arrivando a perdere fino al 62% nel corso della giornata del 30 giugno 2025.
Lo studio, disegnato per valutare la sicurezza e l’efficacia di XPro rispetto al placebo, ha arruolato 208 pazienti affetti da Alzheimer precoce, randomizzati a ricevere una somministrazione sottocutanea settimanale del farmaco o placebo per un periodo di 24 settimane. L’obiettivo primario consisteva nella variazione del punteggio rispetto al basale sulla scala EMACC (Early/Mild Alzheimer’s Cognitive Composite), uno strumento concepito per rilevare modifiche cognitive nelle fasi iniziali della malattia.
Meccanismo d’azione: un inibitore selettivo del TNF solubile
XPro si differenzia dagli inibitori del TNF di generazione precedente grazie alla sua capacità di neutralizzare selettivamente il TNF solubile, lasciando invece intatto il TNF transmembrana ei suoi recettori, coinvolti in processi immunitari fisiologici. Il TNF solubile è implicato nella risposta infiammatoria sistemica e, secondo diverse evidenze, anche nella neuro infiammazione tipica dell’Alzheimer, contribuendo all’attivazione cronica della microglia e alla progressione della patologia neurodegenerativa.
Risultati deludenti nell’endpoint primario, ma segnali nel sottogruppo infiammatorio
I dati principali dello studio MINDFuL hanno mostrato che XPro non è riuscito a migliorare le prestazioni cognitive rispetto al placebo. La variazione rispetto al basale nella scala EMACC ha addirittura favorito il placebo, con una dimensione dell’effetto di appena 0,05. Anche sull’endpoint secondario chiave rappresentato dalla Clinical Dementia Rating Scale – Sum of Boxes (CDR-SB), le differenze tra XPro e placebo sono risultate trascurabili, con dimensioni dell’effetto rispettivamente di 0,06 e 0,05.
Tuttavia, INmune Bio ha posto l’accento su un’analisi predefinita condotta su un sottogruppo di circa 100 pazienti positivi all’amiloide-beta e con almeno due biomarcatori ematici di infiammazione. In questa popolazione, il farmaco ha mostrato una dimensione dell’effetto di 0,27 sulla scala EMACC, suggerendo un potenziale beneficio clinico in pazienti utilizzati da neuroinfiammazione marcata.
Judith Jaeger , presidente di CognitionMetrics e ideatrice della scala EMACC, ha definito questo risultato una “prova preliminare di efficacia terapeutica” utile per identificare segnali promettenti negli studi di fase iniziale.
Parallelamente, nello stesso sottogruppo è stato osservato un miglioramento di parametri biologici: in particolare, una riduzione dei livelli ematici della proteina tau, considerato il biomarcatore standard di riferimento per la progressione della malattia di Alzheimer.
Sicurezza e tolleranza: reazioni al sito di iniezione predominanti
Sul fronte della sicurezza, XPro ha evidenziato un profilo favorevole in termini di eventi gravi. Lo studio non ha rilevato casi di ARIA (amiloide imaging anomalie), né anomalie di imaging cerebrale indicative di edema o microemorragie, effetti collaterali riscontrati con altri farmaci anti-amiloide approvati di recente.
Tuttavia, una criticità è emersa nella frequenza delle reazioni nel sito di iniezione, riscontrate nel 79,9% dei pazienti trattati con XPro, contro appena il 6% di quelli assegnati al placebo. Non sono stati segnalati decessi correlati al trattamento, né eventi avversi gravi a carico di organi o ricoveri ospedalieri dovuti al farmaco.
Il difficile scenario terapeutico dell’Alzheimer
Il fallimento di XPro sottolinea ancora una volta la complessità dello sviluppo di terapie efficaci per l’Alzheimer, patologia per la quale al momento sono disponibili solo due trattamenti approvati dalla Fda: Leqembi (lecanemab) di Biogen ed Eisai e Kisunla (donanemab) di Eli Lilly. Entrambi agiscono come anticorpi monoclonali diretti contro le forme solubili e aggregate di beta-amiloide, ma la loro diffusione clinica è rallentata dalle criticità legate alla sicurezza e ai costi elevati.
Nonostante l’esito negativo dello studio MINDFuL, INmune Bio ha ribadito la propria fiducia nel potenziale di XPro, puntando a ottenere la designazione di Breakthrough Therapy da parte della FDA. La società prevede un incontro di fine Fase II con le autorità regolatorie statunitensi ed europee entro il quarto trimestre del 2025 per discutere i dati emersi e definire le future strategie di sviluppo.
Secondo il CEO RJ Tesi , la stratificazione dei pazienti sulla base di biomarcatori infiammatori rappresenta un’opportunità per identificare soggetti con una maggiore probabilità di risposta al trattamento, aprendo la strada verso una medicina di precisione anche nel campo delle demenze neurodegenerative.
Se confermati da ulteriori studi, questi segnali preliminari potrebbero contribuire a rafforzare l’ipotesi di un ruolo terapeutico degli inibitori selettivi del TNF solubile nella gestione dei pazienti con Alzheimer precoce e neuroinfiammazione documentata.

