Psoriasi: secondo nuovi studi l’uso precoce e ad alte dose degli anti-IL-23 si conferma una soluzione altamente efficace
Nel trattamento della psoriasi, come riportato al congresso 2025 dell’American Academy of Dermatology (AAD), dei 12 farmaci approvati negli USA gli inibitori dell’interleuchina 23 potrebbero dare i migliori risultati se utilizzati precocemente e a dosi relativamente elevate.
«Molti clinici e ricercatori sulla psoriasi ritengono che gli inibitori dell’interleuchina (IL)-23 siano unici rispetto ad altri farmaci biologici» ha spiegato il relatore Anthony Fernandez, professore associato clinico presso il Dipartimento di Dermatologia, Cleveland Clinic, Cleveland. «In particolare, in base al suo meccanismo, la IL-23 viene da alcuni considerata la citochina principale nel percorso della psoriasi».
Bloccare le cellule della memoria potrebbe portare alla guarigione
Una delle ragioni è che questa citochina viene attivata relativamente a monte nella cascata infiammatoria, quindi il suo blocco impedisce l’espressione di molteplici citochine pro-infiammatorie a valle, come la IL-17A e la IL-22.
Un motivo forse più importante è che la IL-23 sembra essere necessaria per la sopravvivenza delle cellule di memoria TRM17, che conservano a lungo le informazioni responsabili della riattivazione della psoriasi quando viene interrotta la terapia. La loro funzione spiegherebbe perché la psoriasi è una malattia cronica ricorrente e perché di solito si ripresenta nella stessa posizione.
«Le cellule della memoria si accumulano nella pelle dei pazienti psoriasici nel tempo. Sulla base della loro dipendenza dalla IL-23, la teoria secondo cui l’uso precoce di inibitori della IL-23 ad alto dosaggio potrebbe indurre remissioni a lungo termine o addirittura portare alla guarigione è stata recentemente testata in uno studio prospettico di fase II non ancora pubblicato, ma i cui risultati sono coerenti con questa ipotesi» ha osservato Fernandez.
In questo studio non controllato, i pazienti con psoriasi grave (superficie corporea interessata, BSA, superiore al 10%) sono stati trattati con l’anti-IL-23 risankizumab a dosi due e quattro volte maggiori (300 mg o 600 mg) rispetto alla dose standard, somministrate alle settimane 0, 4 e 16. Dopo la terza dose la terapia è stata interrotta. Fino al completamento delle 52 settimane di studio non sono stati prescritti altri farmaci, nemmeno quelli topici.
Accorpando i dati dei due bracci di trattamento, il 60% dei pazienti aveva mantenuto una risposta PASI 90 (riduzione di almeno il 90% rispetto al basale nel punteggio Psoriasis Area and Severity Index) alla settimana 52 senza aver assunto nessun farmaco per la psoriasi dalla settimana 16, e il 40% era completamente guarito.
Fernandez ha osservato che la teoria del beneficio derivante dal blocco delle cellule di memoria TRM17 è stata delineata in un editoriale del 2022 pubblicato sul Journal of Psoriasis and Psoriatic Arthritis da Andrew Blauvelt, dermatologo e presidente dell’Oregon Medical Research Center di Portland, in Oregon. Come previsto dall’autore, un ciclo relativamente breve a dosi elevate di inibitori della IL-23 ha portato a una remissione prolungata, unitamente a una riduzione delle cellule di memoria TRM17.
«L’analisi della pelle lesionata ha effettivamente mostrato una riduzione significativa del numero di cellule T della memoria patogene alla settimana 52 rispetto alla settimana 0» ha riferito Fernandez. «Sulla base di questi risultati ritengo che arriveranno altri studi come questo. Se produrranno risultati simili, potrebbe cambiare la modalità con cui somministriamo gli inibitori della IL-23 ai nostri pazienti».
Potenziale ruolo nel prevenire la progressione verso l’artrite psoriasica?
L’uso precoce degli inibitori della IL-23 in dosi aggressive potrebbe essere motivato anche dal fatto che diversi studi osservazionali con altri biologici hanno suggerito la possibilità di impedire ai pazienti con psoriasi a placche di progredire verso l’artrite psoriasica.
Lo studio in corso di fase IV PAMPA, prospettico, randomizzato, in doppio cieco, sta testando questa ipotesi su pazienti con psoriasi, assegnati in modo casuale a ricevere l’inibitore della IL-23 guselkumab o placebo dopo un periodo di screening iniziale. Gli endpoint co-primari sono le variazioni rispetto al basale nel punteggio muscoloscheletrico ecografico alla settimana 24 e la differenza nella percentuale di pazienti con artrite psoriasica alla settimana 96.
Anche se i dati al momento non sono maturi, se dovessero essere positivi potrebbero cambiare lo stato degli anti-IL-23 rispetto agli altri biologici nei confronti della malattia. Come ha infatti sottolineato Fernandez, le lunghe remissioni e la protezione contro l’artrite psoriasica nei pazienti con psoriasi sono due importanti esigenze insoddisfatte.
Sulla base della sua esperienza personale e di altri dati, Mark Lebwohl, presidente emerito del Dipartimento di Dermatologia presso la Icahn School of Medicine presso il Mount Sinai, New York City ha confermato che il blocco della IL-23 porta di fatto a lunghe remissioni della psoriasi.
«Tuttavia, anche se queste osservazioni convalidano lo sforzo di testare nuove strategie per migliorare le remissioni prolungate con inibitori della IL-23, convalidare il loro ruolo nella prevenzione dell’artrite psoriasica probabilmente si rivelerà più complicato» ha commentato. «Gli studi dimostrano che il blocco della IL-17 è più efficace, di conseguenza molti pazienti con dolori articolari assumono questi farmaci o gli anti-TNF, il che porta a un pregiudizio impegnativo».
Bibliografia
Fernandez AP et al. Biologics and psoriasis: The beat goes on. Presented at: American Academy of Dermatology Annual Meeting; March 7-11, 2025; Orlando.

