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Leucemia mieloide acuta: ivosidenib con CPX-351 promettente

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Studio ha analizzato l’efficacia e la sicurezza della combinazione di ivosidenib con CPX-351 in pazienti con leucemia mieloide acuta

Lo studio di fase 2 NCT04493164, presentato durante l’ASH Annual Meeting 2024, ha analizzato l’efficacia e la sicurezza della combinazione di ivosidenib con CPX-351 in pazienti con leucemia mieloide acuta (AML) IDH1-mutata e sindrome mielodisplastica (MDS) ad alto rischio. I risultati preliminari hanno mostrato una risposta globale (ORR) del 100% nei pazienti con nuova diagnosi e del 43% in quelli con malattia recidivata/refrattaria, con una significativa riduzione della frequenza allelica della mutazione IDH1.

Ivosidenib è un inibitore orale selettivo di IDH1, che agisce bloccando la produzione di 2-idrossiglutarato, un metabolita oncogenico coinvolto nella trasformazione neoplastica delle cellule ematopoietiche. CPX-351, invece, è una formulazione liposomiale di daunorubicina e citarabina in rapporto sinergico 1:5, sviluppata per migliorare l’efficacia e ridurre la tossicità rispetto alla chemioterapia convenzionale. La combinazione di questi due farmaci mira a sfruttare un duplice meccanismo d’azione: da un lato, la correzione della via metabolica aberrante indotta dalla mutazione IDH1, dall’altro, l’efficacia consolidata della chemioterapia mirata contro le cellule leucemiche.

Risultati dello studio clinico
Lo studio ha incluso due coorti di pazienti: la prima composta da pazienti con nuova diagnosi (Arm A, n=4) e la seconda con pazienti affetti da AML recidivata/refrattaria o MDS ad alto rischio (Arm B, n=7). Al cutoff dei dati (10 luglio 2024), tutti i pazienti della coorte A hanno raggiunto la negativizzazione della malattia residua misurabile (uMRD) con citometria a flusso ad alta sensibilità. Nella coorte B, il 43% dei pazienti ha ottenuto una risposta, con tre pazienti che hanno raggiunto l’uMRD.

L’analisi della sopravvivenza ha evidenziato una durata mediana della risposta (DOR) di 16,3 mesi e una sopravvivenza globale (OS) mediana di 29,3 mesi per i pazienti con nuova diagnosi, mentre nei pazienti con malattia recidivata/refrattaria la OS mediana è stata di 12 mesi. Un ulteriore aspetto rilevante riguarda la riduzione della frequenza allelica della mutazione IDH1, osservata nel 67% dei pazienti, suggerendo un impatto significativo della combinazione terapeutica sulla cinetica della malattia.

Inoltre, quattro pazienti hanno proseguito il percorso terapeutico con il trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche (HSCT), confermando che la combinazione di ivosidenib e CPX-351 può rappresentare una strategia ponte efficace verso procedure curative.

Sicurezza e tollerabilità
Il profilo di sicurezza della combinazione ivosidenib-CPX-351 si è rivelato accettabile. Gli eventi avversi più comuni sono stati rash cutaneo (50% nei pazienti di Arm A, 29% in Arm B), trombocitopenia (29% in Arm B) e alterazioni all’ECG (25% in Arm A, 14% in Arm B). Non sono stati segnalati casi di sindrome da differenziazione, una complicanza tipica del trattamento con inibitori di IDH1.

Sono state osservate due tossicità dose-limitanti, entrambe rappresentate da trombocitopenia di grado 4, che si sono risolte senza necessità di interruzione della terapia. La ripresa della conta ematica dopo la fase di induzione ha richiesto un tempo mediano di 39 giorni. L’assenza di eventi avversi fatali e la gestione efficace degli effetti collaterali indicano che il regime terapeutico potrebbe essere ben tollerato anche in un contesto clinico più ampio.

Implicazioni cliniche e prospettive future
L’efficacia osservata con la combinazione ivosidenib-CPX-351 nei pazienti con AML IDH1-mutata potrebbe portare a un ampliamento delle attuali indicazioni terapeutiche. Ivosidenib è già approvato dalla FDA in combinazione con azacitidina per la AML IDH1-mutata di nuova diagnosi e come monoterapia per il trattamento della MDS IDH1-mutata recidivata/refrattaria. CPX-351 è già stato validato in precedenti studi per la AML secondaria, dimostrando una sopravvivenza superiore rispetto alla chemioterapia convenzionale.

L’integrazione di questi due agenti terapeutici potrebbe ridefinire l’approccio al trattamento delle neoplasie mieloidi IDH1-mutate, migliorando le prospettive per pazienti che finora avevano opzioni limitate. Saranno necessari ulteriori studi con un follow-up più lungo per confermare la durabilità della risposta e valutare il ruolo della combinazione nel lungo termine, inclusa la possibilità di ridurre la necessità del trapianto di cellule staminali nei pazienti più giovani.

Bibliografia
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