Covid: un’analisi basata sui dati di sorveglianza statunitensi ha dimostrato che il numero di arresti cardiaci improvvisi e di morti cardiache improvvise tra gli atleti non è aumentato
Fin dall’inizio della pandemia da Covid-19, le preoccupazioni riguardo ai possibili effetti dell’infezione e della vaccinazione sulla salute cardiaca degli atleti hanno suscitato un acceso dibattito. Tuttavia, un’analisi basata sui dati di sorveglianza statunitensi ha dimostrato che il numero di arresti cardiaci improvvisi (SCA) e di morti cardiache improvvise (SCD) tra gli atleti non ha subito un incremento significativo nel periodo pandemico rispetto agli anni precedenti. Lo studio, pubblicato su JAMA Network Open, sfata quindi l’ipotesi di un aumento del rischio cardiovascolare associato all’infezione da SARS-CoV-2 o alla vaccinazione.
I dati a confronto: nessun incremento del rischio cardiaco
L’analisi, condotta dal team del dottor Jonathan Drezner dell’Università di Washington, ha confrontato i casi di SCA e SCD registrati nel database del National Center for Catastrophic Sports Injury Research (NCCSIR) nei tre anni precedenti la pandemia (2017-2019) e nei primi tre anni del Covid-19 (2020-2022). I risultati hanno mostrato che i numeri erano sostanzialmente sovrapponibili: 203 casi nel periodo pre-pandemia contro 184 durante la pandemia, senza una differenza statisticamente significativa (P=0.33).
Inoltre, il tasso di sopravvivenza complessivo in caso di arresto cardiaco è risultato pari al 50,9%, mentre la percentuale di decessi è passata dal 52,2% pre-pandemia al 45,7% durante la pandemia (P=0.20), segnalando un trend leggermente positivo ma non statisticamente rilevante.
Covid-19, miocardite e arresti cardiaci: un allarme ridimensionato
Durante le fasi iniziali della pandemia, la sospensione delle competizioni sportive era stata motivata, tra le altre ragioni, dal timore di un aumento del rischio cardiovascolare negli atleti. Studi preliminari avevano suggerito un’incidenza di miocardite post-Covid fino al 15% nei giovani sportivi, sollevando preoccupazioni sul possibile aumento degli arresti cardiaci da sforzo. Tuttavia, successive indagini più approfondite hanno ridimensionato tali stime, dimostrando che la prevalenza effettiva della miocardite post-virale era inferiore a quanto inizialmente riportato.
Nel 2021, un ulteriore motivo di preoccupazione era emerso con la segnalazione di una possibile associazione tra vaccini a mRNA e miocardite. Sebbene il legame tra vaccinazione e infiammazione miocardica sia stato confermato, non sono emerse evidenze di un aumento del rischio di morte cardiaca improvvisa nei giovani vaccinati. Lo studio di Drezner ha inoltre sottolineato come alcuni casi di arresto cardiaco diffusi sui social media fossero avvenuti prima della pandemia, ma erroneamente attribuiti al Covid-19 o ai vaccini.
Un caso emblematico, ma non direttamente collegato alla pandemia, è stato quello del giocatore della NFL Damar Hamlin, che nel gennaio 2023 ha subito un arresto cardiaco in diretta televisiva. La diagnosi definitiva è stata commotio cordis, una rara condizione legata a un trauma toracico, senza alcun legame con Covid-19 o vaccinazione.
Sport e sicurezza cardiovascolare: i dati reali
Lo studio ha raccolto un totale di 387 casi di SCA/SCD in giovani atleti di età media 16,5 anni, di cui l’86,3% maschi. Il 70% degli eventi cardiaci si è verificato durante l’attività sportiva, mentre il 9,3% a riposo. In circa il 73,2% dei casi di SCD, è stato possibile identificare la causa tramite autopsia o referti del medico legale. La miocardite è stata confermata in soli tre casi prima della pandemia e in quattro durante il periodo pandemico, confermando che la sua incidenza tra gli atleti è rimasta molto bassa.
Gli autori dello studio hanno riconosciuto alcune limitazioni, tra cui la possibilità di sottostima dei casi a causa della metodologia di raccolta dati. Inoltre, la riduzione del 2,5% nella partecipazione sportiva universitaria tra il 2020 e il 2021 potrebbe aver influenzato i numeri complessivi. Tuttavia, le conclusioni suggeriscono chiaramente che la pandemia non ha comportato un aumento del rischio di arresto cardiaco improvviso tra gli atleti competitivi.

