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Romsozumab efficace per donne in post-menopausa con osteoporosi e diabete di tipo 2

La terapia ormonale sostitutiva con estrogeni potrebbe rappresentare un potenziale trattamento preventivo per la capsulite adesiva nelle donne in menopausa

Osteoporosi in pazienti diabetiche in post-menopausa, romosozumab migliora robustezza ossea in misura maggiore di alendronato da solo

In donne in post-menopausa con osteoporosi (OP) e diabete di tipo 2 (T2D), 12 mesi di trattamento con romosozumab seguiti da 24 mesi di alendronato: 1) hanno migliorato significativamente la densità minerale ossea areale della colonna lombare (LS aBMD) e la Total Body Soft Tissue Thickness (TBSTT) (indipendentemente dal grasso addominale); 2) hanno indotto un miglioramento dei parametri succitati in misura maggiore rispetto a 36 mesi di solo alendronato.

Queste le conclusioni di un’analisi post-hoc dello studio ARCH, pubblicata su JCEM, che suggerisce come questi cambiamenti potrebbero riflettere un miglioramento di entità maggiore della robustezza ossea osservato con romosozumab rispetto all’alendronato nei pazienti con T2D.

Razionale e obiettivo dello studio
Il diabete di tipo 2 (T2D) è notoriamente associato ad un ridotto turnover osseo, una minore resistenza ossea e ad un aumento del rischio di fratture, nonostante una densità minerale ossea areale (aBMD) relativamente preservata.
Studi basati sulla tomografia computerizzata quantitativa periferica ad alta risoluzione hanno dimostrato che, nei pazienti con T2D, il volume e la microarchitettura dell’osso trabecolare sono generalmente conservati, mentre la porosità corticale può risultare aumentata, soprattutto in presenza di complicanze microvascolari.

Il Trabecular Bone Score (TBS), un parametro derivato da scansioni DXA (assorbimetria a raggi X a doppia energia) della colonna lombare, è una misura indiretta della microarchitettura ossea trabecolare.  Alcuni studi hanno evidenziato una riduzione del TBS nei pazienti con diabete mellito, correlata ad un aumento del rischio di fratture indipendentemente dall’aBMD dell’anca. Tuttavia, il TBS può essere influenzato negativamente dalla presenza di grasso addominale, il che potrebbe spiegare i valori inferiori nei pazienti con T2D rispetto agli individui senza diabete o con livelli normali di glucosio. Inoltre, variazioni di TBS nel tempo sono state attribuite principalmente a cambiamenti nello spessore tissutale e nel peso corporeo.

Recentemente, è stato sviluppato un algoritmo aggiornato per il calcolo del TBS, denominato TBSTT (TBS corretto per lo spessore tissutale), che tiene conto dello spessore dei tessuti molli nella regione lombare, misurato direttamente tramite DXA. Uno studio di coorte ha evidenziato valori di TBSTT più elevati nei pazienti con T2D rispetto ai soggetti senza diabete.

Fino ad oggi, non esistono studi di intervento specifici con l’obiettivo primario di valutare la riduzione del rischio di fratture nei pazienti con T2D e fragilità ossea. Tuttavia, analisi post hoc di trial clinici randomizzati che hanno confrontato farmaci anti-riassorbitivi con placebo (principalmente in donne in post-menopausa con osteoporosi) hanno mostrato riduzioni simili del rischio di fratture vertebrali e non vertebrali nei sottogruppi di pazienti con e senza diabete.

Dato che la fragilità ossea nel diabete è dovuta non solo ad una mineralizzazione alterata ma anche a cambiamenti nella microarchitettura ossea, i farmaci osteo-anabolici rappresentano un’opzione terapeutica promettente. Il trattamento con romosozumab, un farmaco osteo-anabolico, ha dimostrato di aumentare la aBMD e ridurre il rischio di fratture rispetto a placebo o alendronato in donne in postmenopausa con osteoporosi. Nello studio ARCH (Active-Controlled Fracture Study in Postmenopausal Women With Osteoporosis at High Risk), un trattamento di 12 mesi con iniezioni sottocutanee mensili di romosozumab seguito da 24 mesi di alendronato ha portato a miglioramenti significativi della massa e della resistenza ossea, con una riduzione del rischio di fratture superiore rispetto al solo alendronato. Inoltre, un’analisi di sottogruppo dello studio ARCH ha evidenziato un miglioramento significativo di TBSTT e TBSBMI con romosozumab rispetto ad alendronato da solo.

Su questi presupposti, è stata condotta un’analisi post hoc sulle scansioni DXA lombari di un sottogruppo di pazienti con T2D dallo studio ARCH, che ha messo a confronto l’effetto di 12 mesi di trattamento con romosozumab seguiti da 24 mesi di alendronato rispetto a 36 mesi di solo alendronato sulla aBMD lombare e sul TBSTT.

Disegno dello studio e risultati principali
Questa analisi post hoc ha incluso donne dello studio ARCH con T2D al basale e scansioni DXA LS al basale e a ≥1 visita post-basale (romosozumab-alendronato, n = 165; alendronato-alendronato, n = 195).  Sia l’aBMD che il TBS (determinato da un algoritmo TBS aggiustato per lo spessore tissutale aggiornato [TBSTT]) sono stati valutati su scansioni DXA LS al basale e a ≥1 visita post-basale (mesi 12, 24 e 36).

Su queste pazienti dello studio ARCH con T2D, i ricercatori hanno valutato l’effetto di romosozumab (210 mg mensili) per 12 mesi seguito da alendronato (70 mg settimanali) per 24 mesi vs alendronato da solo (70 mg settimanali) per 36 mesi su LS aBMD e TBS.

Dai risultati dell’analisi è emerso che romosozumab ha portato a guadagni significativamente maggiori di LS aBMD e di TBSTT al mese 12 rispetto ad alendronato. Non solo: i maggiori guadagni ottenuti con romosozumab sono stati mantenuti dopo il passaggio as alendronato e si sono confermati statisticamente  significativi ai mesi 24 e 36 rispetto al solo alendronato.

Da ultimo, le variazioni percentuali di TBSTT sono risultate debolmente correlate con le variazioni percentuali di LS aBMD dal basale al mese 36 (romosozumab-alendronato, R2 = 0,1493; alendronato-alendronato, R2 = 0,0429).

Punti di forza e debolezza dell’analisi
Nel commentare i risultati, i ricercatori hanno riconosciuto, tra i punti di forza dello studio, l’aver utilizzato i dati provenienti da uno studio clinico randomizzato con valutazioni standardizzate per la densità minerale ossea areale (aBMD) e i parametri ossei.
Inoltre, le caratteristiche di base dei pazienti e le variazioni della aBMD lombare nei 36 mesi di trattamento nei due gruppi erano simili a quelle riportate nell’intera popolazione dello studio ARCH.

Da ultimo, L’impiego dell’algoritmo aggiornato TBSTT ha ridotto gli artefatti associati alla presenza di tessuti molli regionali rispetto al precedente TBS, che era influenzato da dimensioni corporee e composizione.

Tra i punti di debolezza principali dello studio e ammessi dagli stessi autori si segnalano, invece, il fatto che i dati inclusi in questa analisi post hoc provenivano principalmente da pazienti con diabete di tipo 2 (T2D), la forma più comune di diabete, in cui la aBMD non riesce a intercettare il rischio di fratture. Inoltre, l’obesità centrale è frequente nel T2D, il che rende i risultati ottenuti difficilmente generalizzabili.

Si segnala, inoltre, la presenza di fattori di confondimento tra i gruppi di trattamento, come le terapie per l’iperglicemia che potrebbero aver influenzato i risultati scheletrici. Da ultimo, le dimensioni ridotte del campione non permettono un’analisi dei benefici sulla riduzione delle fratture, né questa analisi post-hoc ha valutato il rischio di frattura o il dolore osseo come outcome dello studio.

Bibliografia
Ferrari S et al. Romosozumab Improves Tissue Thickness-Adjusted Trabecular Bone Score in Women With Osteoporosis and Diabetes. J Clin Endocrinol Metab. 2025 Jan 24:dgae862. doi: 10.1210/clinem/dgae862. Epub ahead of print. PMID: 39854280.
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