In prima serata su Rai 5 dai popoli italici al Regno d’Italia per “Wild Italy 8” e a seguire storie tra Lago Maggiore e Svizzera in “Le valli del Luinese”
Con il Neolitico, circa 6.000 anni prima di Cristo, le popolazioni italiche svilupparono le prime forme di allevamento e di agricoltura. Lo racconta la seconda puntata della serie “Wild Italy 8”, in onda domenica 11 agosto alle 21.15 su Rai 5.Gli Etruschi, in particolare, si dimostrarono un popolo ingegnoso riuscendo a vivere in armonia con la natura, pur iniziando le prime opere di trasformazione ambientale, come le bonifiche dei terreni palustri. Roma, invece, esercitò una forte pressione sull’ambiente forestale per rifornirsi di legname per scopi edilizi, per l’arsenale navale e bellico, per il riscaldamento degli impianti termali.
La deforestazione venne adottata anche per controllare i nuclei italici che ancora resistevano alla dominazione romana, con una tecnica che sembrava quasi anticipare le devastazioni ambientali finalizzate a mettere in difficoltà e ad annientare le sacche di resistenza. Questa prima imponente opera di deforestazione fu favorita dalla realizzazione di un reticolo di strade. È anche un’epoca di grandi opere infrastrutturali, come gli acquedotti, e di bonifiche, con la nascita della cascata delle Marmore per bonificare la piana di Rieti.
Gli scambi con i paesi del Mediterraneo portarono all’introduzione di specie animali e vegetali del Nord Africa e del Vicino Oriente, come l’istrice nella penisola, e forse i cervi in Sardegna. Nel pieno del suo splendore, l’Impero romano aveva fatto dell’Italia un territorio profondamente trasformato e colonizzato. Ma con la sua decadenza e caduta, ci furono profondissime ripercussioni anche sulla biodiversità del territorio.
Non più mantenuti e custoditi, gli ambienti colonizzati dai romani, soggetti a invasioni di popoli provenienti dall’Est europeo e dall’Asia, tornarono ad accogliere imponenti foreste e paludi. Minacciate dalle incursioni piratesche sulle coste, molte popolazioni cercarono scampo nell’interno, colonizzando ambienti rupestri che furono poi abitati da eremiti e nuclei di religiosi per una epoca lunghissima, ma dove intanto per secoli si tornò a vivere quasi come nell’età della pietra. Furono tempi “bui”, ma che portarono la natura a recuperare amplissimi spazi, rispetto alle perdite subite durante la colonizzazione romana. Ma la parentesi durò poco. La conquista del territorio ripartì per non fermarsi più e divenne una vera e propria corsa favorita dallo sviluppo di soluzioni ingegnose per il controllo dei fiumi, per la bonifica dei terreni paludosi. Si arriverà, nel XIX secolo, ad abbattere le foreste di querce di gran parte dell’Italia per fornire traversine per la rete ferroviaria giovane Regno d’Italia e per alimentare i forni delle crescenti imprese industriali. Si avvicinava l’epoca dell’estinzione di alcuni animali.
A seguire, le valli del Luinese – Val Dumentina, Val Veddasca e Val Travaglia – si trovano a nord del nord Italia, proprio sopra Varese. Si protendono tra il lago Maggiore e il confine con la Svizzera, e sullo sfondo le montagne che segnano il confine le fanno da cornice. Lo racconta il doc “Le valli del Luinese” di Claudia Seghetti, in onda domenica 11 agosto alle 22.10 su Rai 5.
È un territorio che già nell’800 fino alla metà del 900 ha conosciuto una cospicua crescita economica grazie a un importante sviluppo industriale che poi, nel tempo, è andato sempre più scemando lasciando questo territorio vuoto. Sembra un luogo nascosto, lontano da ogni disturbo, immerso nei boschi. Il Gran Tour e la stazione internazionale di Luino lo resero un passaggio internazionale non indifferente, il lago Maggiore ha ammaliato parecchi autori da tutta Europa e ispirato un’importante letteratura di viaggio. Nella seconda metà del 900, si parla di personalità nate e cresciute da queste parti, la triade era Dario Fo, Piero Chiara, Vittorio Sereni.
Tornando ad oggi, lasciando il lago e attraversando le valli verso la montagna, si incontra un’atmosfera tranquilla, ci si immerge in un’abbondante vegetazione che cresce spontanea, selvaggia. Nei paesini delle valli gli autoctoni sono pochi, ci sono i milanesi che hanno deciso di lasciare il capoluogo per una vita più tranquilla e i famosi frontalieri che ogni mattina vanno in Svizzera a lavorare per guadagni più cospicui. Il confine non è più motivo di contrasti, ma anzi al contrario è ormai divenuto un fedele alleato, artefice di un’importante apertura internazionale.