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Un legame tra esplosioni termonucleari di raggi X su stelle di neutroni e getti emessi

Lampi di raggi gamma: il ruolo chiave dei protoni

Lampi di raggi X improvvisi e luminosi, emessi dalla superficie delle stelle di neutroni in accrescimento, fanno brillare i loro getti immettendo gas extra al loro interno

Un team internazionale di ricercatori guidato dall’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) ha scoperto l’esistenza di una connessione tra le esplosioni termonucleari di raggi X che si verificano sulla superficie delle stelle di neutroni in accrescimento e i potenti getti emessi da queste sorgenti. I ricercatori hanno inoltre misurato per la prima volta, in maniera diretta, la velocità di un getto, migliorando la nostra comprensione sul loro meccanismo di lancio. I risultati sono stati appena pubblicati sulla rivista Nature.

Le stelle di neutroni sono i resti di stelle massicce che hanno concluso la loro evoluzione con un’esplosione di supernova. Caratterizzati dall’avere un’enorme massa compressa in un volume molto piccolo – motivo per cui vengono anche chiamati ‘oggetti compatti’ – questi corpi celesti possono trascorrere tutta la loro esistenza in solitudine, ma possono anche fare coppia, nelle cosiddette binarie a raggi X (X-ray binaries, in inglese). Si tratta di sistemi astrofisici in cui una stella di neutroni (o un buco nero) attrae a sé materia dalla malcapitata stella compagna, utilizzandola a proprio vantaggio per aumentare di massa in un processo noto come accrescimento.

Una delle conseguenze di questo processo è l’accumulo di grandi quantità di materia sulla superficie della stella di neutroni. Con il progredire dell’accumulo, questa materia può raggiungere valori di temperatura e densità tali innescare potenti esplosioni termonucleari simili a quelle prodotte dalle bombe a idrogeno: improvvisi e luminosi lampi di luce X, di durata compresa tra i 10 e i 100 secondi, denominati burst di tipo I, il segno tangibile di un pasto abbondante in corso.

Nonostante la loro avidità, non tutta la materia in accrescimento viene però inghiottita dalla stella di neutroni: una parte viene infatti espulsa nello spazio sotto forma di potenti deflussi di materia collimati, osservabili anche nella banda radio dello spettro elettromagnetico: i cosiddetti getti.

Lanciati da tutti i sistemi binari con stella di neutroni o buco nero, questi getti sono studiati fin dagli anni ’70. Tuttavia, ci sono ancora molte domande aperte sul loro conto. Come vengono effettivamente lanciati? Qual è la relazione che lega il processo di accrescimento di un oggetto compatto e l’emissione di questi getti? E ancora, quanto velocemente vengono lanciati?

Ora, grazie a una articolata campagna di osservazioni in banda radio e X, un team internazionale guidato da ricercatori dell’Inaf, in collaborazione con scienziati dell’Agenzia spaziale europea (Esa), dell’Università di Amsterdam e della Texas Tech University, non solo ha scoperto che esiste una stretta connessione tra le esplosioni termonucleari e i getti, ma, per la prima volta, ha misurato la velocità di questi getti, parametro fondamentale per la comprensione del loro meccanismo di lancio.

«Gli oggetti compatti in accrescimento (buchi neri e stelle di neutroni) sono onnipresenti nell’universo», dice Thomas Russell, ricercatore all’Inaf di Palermo con una Inaf Astrophysics Fellowship (Iaf), e primo autore dello studio. «Questi oggetti non sono semplici aspirapolvere unidirezionali. Parte della materia in ingresso viene infatti sparata fuori sotto forma di deflussi di materia ed energia veloci e focalizzati, chiamati getti. Questi getti possono propagarsi verso l’esterno a velocità prossime a quella della luce, rilasciando enormi quantità di energia nell’ambiente circostante che possono condizionare la formazione stellare. Tuttavia, nonostante la loro importanza, attualmente non sappiamo come questi getti vengano lanciati. Il nostro studio fornisce uno strumento completamente nuovo per rispondere a questa importante domanda  rimasta finora senza risposta».

Le stelle di neutroni oggetto dello studio sono quelle dei sistemi binari a raggi X 4U 1728-34 e 4U 1636-536, che mostrano entrambe frequenti esplosioni di raggi X di tipo I. Per ognuna delle due sorgenti, i ricercatori hanno condotto una campagna di osservazioni simultanee nell’X e nel radio. Le osservazioni in banda X, che tracciano il flusso di accrescimento della stella di neutroni, sono state condotte utilizzando il satellite Integral dell’Esa. Il monitoraggio in banda radio, che permette di studiare l’emissione dei getti, è stato condotto invece con l’Australia Telescope Compact Array (Atca), una schiera di sei antenne radio situate presso l’Osservatorio Paul Wild, in Australia, gestite dall’Agenzia scientifica nazionale australiana (Csiro).

L’obiettivo dei ricercatori era di individuare eventuali cambiamenti nell’emissione radio in seguito al verificarsi dei burst X di tipo I. E li hanno trovati: incrementi della luminosità radio, detti flare, sono stati osservati entro pochi minuti dopo ogni singola esplosione termonucleare.

Mettendo insieme tutti i pezzi del puzzle, la loro conclusione è che l’evoluzione dei getti è strettamente correlata a queste esplosioni.

«Grazie alla capacità di Integral di osservare ininterrottamente un oggetto celeste per circa tre giorni, abbiamo catturato quattordici burst X emessi da 4U 1728-34, che ci hanno permesso di determinare per la prima volta il loro impatto sull’evoluzione dei getti radio», sottolinea Erik Kuulkers,  già project scientist della missione Integral presso l’Esa e co-autore dello studio. «Non sapevamo davvero cosa aspettarci. Inizialmente pensavamo che il ruolo di queste esplosioni sui getti fosse minimo. Tuttavia, le nostre osservazioni mostrano un impatto drammatico, in cui i burst potenziano la luminosità dei getti pompando ulteriore materia al loro interno».

Nello studio, i ricercatori sono riusciti anche a misurare la velocità dei getti del sistema binario 4U 1728-34 attraverso osservazioni a due diverse frequenze radio: a 5,5 e 9 gigahertz (GHz). Le frequenze più elevate provengono da regioni del getto più vicine alla stella di neutroni, mentre quelle più basse provengono da regioni più lontane.

«Poiché abbiamo le misure precise dei tempi di arrivo sia dei burst X che dei brillamenti radio, possiamo misurare la velocità con cui il materiale extra ha percorso il getto fino al punto in cui si sono verificati i flare», spiega Melania Del Santo, ricercatrice all’Inaf di Palermo e coautrice della pubblicazione. «Nel caso di 4U 1728-34 questa velocità risulta pari a 0,38 c, ovvero a un terzo della velocità della luce, corrispondente a circa 114mila chilometri al secondo. Si tratta di una velocità elevata, ma notevolmente inferiore rispetto a quella dei getti nei sistemi binari con buco nero, il cui valore stimato può essere anche superiore a 0,9 c».

La scoperta che i burst di raggi X di tipo I influenzano l’evoluzione dei getti e la determinazione della velocità di questi deflussi offre un modo completamente nuovo e robusto per comprendere quale sia il loro meccanismo di lancio, attualmente non ancora ben compreso. Ulteriori studi permetteranno di capire se il meccanismo di lancio sia basato sulla rotazione della stella di neutroni o sulla rotazione del suo disco di accrescimento.

«Ora che disponiamo di un metodo robusto per misurare la velocità dei getti, possiamo eseguire questo esperimento in sistemi binari in cui le stelle di neutroni hanno velocità di rotazione, masse e campi magnetici diversi», conclude Russell. «Con più di 120 stelle di neutroni nella nostra galassia che sappiamo produrre esplosioni di raggi X di tipo I, saremo in grado di determinare il meccanismo che guida il lancio di questi getti, confrontando la loro velocità con le proprietà del sistema binario».

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