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Malattia di Huntington: lo stop allo studio su tominersen non è così negativo

Malattia di Huntington: allo studio una nuova strategia per contrastare la proteina che causa la patologia rara. Promettenti i primi test preclinici

Malattia di Huntington, l’interruzione di uno studio con tominersen, oligonucleotide antisenso, porta elementi utili per reimpostare la ricerca futura

Lo studio GENERATION HD1 (GENHD1), condotto con il farmaco antisenso sperimentale tominersen ad alte dosi per il trattamento della malattia di Huntington, nonostante sia stato interrotto anticipatamente per evidente inferiorità rispetto al gruppo placebo, ha fornito – secondo quanto riportato dai ricercatori sul “New England Journal of Medicine” – utili approfondimenti sulla stadiazione della patologia neurodegenerativa, ponendo nuove basi per la progettazione di futuri studi clinici.

Lo studio di fase III ha coinvolto 791 pazienti con malattia di Huntington manifesta i quali hanno ricevuto tominersen intratecale alla dose di 120 mg ogni 8 settimane oppure ogni 16 settimane, o placebo. Sulla base di una valutazione globale del rapporto rischi-benefici da parte di un comitato indipendente di monitoraggio dei dati, nel marzo 2021, come accennato, la sperimentazione clinica è stata interrotta.

Più in dettaglio, un’analisi post hoc ha mostrato che, alla settimana 69, la variazione media rispetto al basale di uno degli endpoint primari di efficacia era significativamente peggiore nel gruppo tominersen ogni 8 settimane rispetto al placebo, specifica la coautrice Sarah Tabrizi, dell’University College London (UK).

GENERATION HD1 è stato il primo studio di fase 3 di un oligonucleotide antisenso in portatori adulti di malattia di Huntington, sottolinea Tabrizi. L’obiettivo era quello di dare seguito, rafforzandole, a ricerche precedenti che avevano dimostrato come tominersen (precedentemente denominato IONIS-HTTRx) fosse sicuro ed efficace nell’abbassare i livelli della proteina huntingtina (HTT) nel liquido cerebrospinale (CSF).

«Dopo i precedenti risultati dello studio di fase Ib/IIa, c’erano grandi speranze per questo studio nella comunità dei clinici e dei ricercatori che si occupano della malattia di Huntington, così come per coloro che studiano disturbi neurodegenerativi simili» afferma Tabrizi. «Pertanto l’interruzione prematura della somministrazione al 17° mese su raccomandazione del comitato indipendente di monitoraggio dei dati è stata letteralmente devastante».

«Sebbene lo studio sia stato interrotto in anticipo quando era diventato evidente che i partecipanti al gruppo ad alto dosaggio mostravano esiti peggiori rispetto al placebo in termini di misure cliniche, l’analisi post hoc ha indicato che un piccolo sottogruppo di pazienti più giovani con minor carico di malattia e che riceveva il farmaco con minore frequenza aveva avuto una risposta positiva di esposizione al farmaco rispetto alle stesse misure cliniche, suggerendo» sottolinea la neurologa «che forse il farmaco debba essere somministrato precocemente nel decorso della malattia, ossia a pazienti più giovani, per poter determinare un beneficio».

Questa ipotesi è attualmente al vaglio nello studio di dose-finding di tominersen GENERATION HD2, condotto appunto in una coorte di partecipanti più giovani in una fase precoce della malattia, segnala Tabrizi.

Se i sintomi sono già presenti, l’avvio di un trattamento è tardivo
La malattia di Huntington è una patologia neurodegenerativa ereditaria che porta alla morte circa 20 anni dopo l’insorgenza dei sintomi. I portatori del gene HTT mutato con più di 40 ripetizioni citosina-adenina-guanina (CAG) sviluppano inevitabilmente la malattia. Questa prevedibilità può aprire una finestra terapeutica per intervenire riducendo i livelli sierici di huntingtina mutata prima che compaiano i sintomi.

I risultati dello studio GENERATION HD1 hanno suggerito che un trattamento avviato anni dopo l’insorgenza dei sintomi motori potrebbe essere tardiva per fare la differenza nel processo neurodegenerativo sottostante, osserva Tabrizi.

«L’interruzione anticipata di GENHD1 ha offerto le basi per lo sviluppo di un nuovo sistema di stadiazione della malattia di Huntington, ovvero l’Huntington’s Disease Integrated Staging System (HD-ISS)» specifica la ricercatrice. «Tale sistema, simile a quelli utilizzati in oncologia, identifica nella malattia di Huntington quattro stadi che coprono l’intero spettro della patologia e trasformerà lo sviluppo di interventi terapeutici nelle primissime fasi della malattia, prima di qualsiasi segno clinico evidente, fornendo le migliori possibilità di rallentare sostanzialmente la progressione della malattia».

Biomarker di sicurezza: l’aumento di catene leggere del neurofilamento nel liquor
I dati di GENERATION HD1 hanno anche mostrato che una maggiore esposizione al farmaco ha portato a neuroinfiammazione, ad ampliamento dei ventricoli cerebrali e al rilascio di catene leggere del neurofilamento (NfL).«Come risultato dello studio, l’aumento di NfL nel liquido cerebrospinale è visto come un biomarcatore di sicurezza nei futuri studi terapeutici sugli oligonucleotidi antisenso per la malattia di Huntington e altri disturbi neurodegenerativi» spiega Tabrizi.

L’endpoint primario di GENERATION HD1 era la variazione rispetto al basale dei punteggi della “composite Unified Huntington’s Disease Rating Scale” (cUHDRS) o della “Total Functional Capacity (TFC) scale” alla settimana 101. I punteggi della cUHDRS vanno da -8 a 25 e quelli della scala TFC da 0 a 13; in entrambi i casi, i punteggi più alti indicano un miglioramento.

Un’analisi specifica ha mostrato che la variazione media rispetto al basale sulla cUHDRS alla settimana 69 era significativamente peggiore con tominersen ogni 8 settimane rispetto al placebo (-0,54 punti, P aggiustato = 0,001), ma la variazione media rispetto al basale nel punteggio sulla scala TFC non differiva in modo significativo (-0,40 punti, P aggiustato =0,09), hanno detto Tabrizi e co-autori. Nel gruppo tominersen ogni 16 settimane, le variazioni medie rispetto al basale dei punteggi cUHDRS e TFC non variavano significativamente rispetto al placebo.

Le variazioni dei livelli di HTT mutata nel liquido cerebrospinale sono risultate coerenti con le riduzioni dose- dipendenti del regime e con i concomitanti aumenti del volume ventricolare. Alla settimana 21, è emerso un aumento transitorio dei livelli di NfL nel CSF nel gruppo tominersen ogni 8 settimane.

L’aumento dei livelli di leucociti e di proteine totali nel CSF in alcuni partecipanti ha suggerito una componente infiammatoria, osservano i ricercatori. Inoltre, si sono verificati più eventi avversi nel gruppo tominersen ogni 8 settimane rispetto sia al placebo che al gruppo tominersen ogni 16 settimane.

Fonte:
McColgan P, Thobhani A, Boak L, et al. Tominersen in Adults with Manifest Huntington’s Disease. N Engl J Med. 2023;389(23):2203-2205. doi: 10.1056/NEJMc2300400. leggi

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