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In libreria “Le avventure di Pat Hobby” di Francis Scott Fitzgerald

libri scrittori maria luisa alberico

A distanza di 14 anni dall’ultima pubblicazione tornano in libreria i racconti dissacranti di Fitzgerald sul mondo di Hollywood

Rappezzatore di sceneggiature sbagliate. Uomo di dubbia moralità. Scroccone. Cinico. Alcolista. Scrittore di didascalie ai tempi del cinema muto. Antieroe caduto dalla cresta dell’onda sul bancone di un bar. Pat Hobby nasce tra il 1939 e il 1940 quando Fitzgerald lavora come sceneggiatore per Hollywood.

Questi racconti esilaranti e tragici usciranno sulla rivista «Esquire», mettendo in scena il secondo atto della vita di un americano. Pat ha quarantanove anni: nei suoi giorni migliori ha guadagnato duemila dollari alla settimana, ha avuto tre mogli (che hanno scelto saggiamente di rinunciare agli alimenti) e una villa con piscina. Il nostro uomo, nei cui tratti non stentiamo a riconoscere l’autore del Grande Gatsby, vuole rimettersi in piedi, ma la vita non è d’accordo. Perdere è una questione di gerarchia. E ogni volta che perde, Pat scivola più in basso. Dei suoi tanti naufragi questo è l’ultimo.

L’ultima parola di Fitzgerald sull’industria di Hollywood – e su sé stesso.

Francis Scott Fitzgerald (1896-1940) è un giovane promettente quando lascia gli studi alla Princeton University, si arruola nell’esercito e viene spedito in un campo di addestramento a Montgomery, Alabama. Nel 1920 pubblica il suo primo romanzo, Di qua dal paradiso, e sposa Zelda Sayre: vivranno insieme a New York, a Parigi, sulla Costa Azzurra. Tra le sue opere: Il grande Gatsby (1925) e Tenera è la notte (1934). Nel 1937 si ritira a Hollywood dove sopravvive scrivendo copioni cinematografici. Muore a quarantaquattro anni per un attacco cardiaco, lasciando incompiuto L’amore dell’ultimo milionario (1941), il suo vero capolavoro secondo molti.

“In un vecchio film di Chaplin si vede un tram pieno zeppo di gente: a un certo punto l’ingresso di un uomo dal fondo ne spinge fuori un altro sul davanti. Un’immagine del genere venne in mente a Pat nei giorni successivi ogni volta che pensava a Orson Welles. Welles era dentro. Hobby era fuori. Mai prima di allora gli studios erano rimasti chiusi per Pat e, sebbene Welles si trovasse in un’altra parte del complesso, sembrava che il suo grosso corpaccione, premendo con forza chissà da dove, avesse spinto Pat fuori dai cancelli. «E ora dove si va?» si disse Pat. Aveva lavorato in altri studios, ma non erano i suoi. Nei suoi non si era mai sentito fuori posto: negli ultimi difficili tempi aveva mangiato con gli attrezzisti nei teatri di posa – mezza aragosta fredda durante una scena di La divina Miss Carstairs –, aveva spesso dormito sui set e l’inverno scorso aveva usato un cappotto Chesterfield del reparto costumi. Orson Welles non aveva nessun diritto di sbatterlo fuori. Orson Welles apparteneva alla cricca degli snobboni di New York.”

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