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Con il progetto “Celavie” il vivaio a impatto zero autosufficiente e trasportabile

celavie

I risultati ottenuti con la Cellula della vita, innovativo vivaio tecnologico e trasportabile realizzato a Palermo e a Sfax dal partenariato protagonista del progetto Celavie

Cicli biologici multipli, da tre a otto all’anno a seconda delle specie vegetali, media di attecchimento pari all’86% e una resa produttiva da 1,5 a tre volte più alta rispetto alle normali coltivazioni in campo aperto. Tutto senza uso di fertilizzanti, pesticidi o altre componenti chimiche, senza emissioni inquinanti, con risparmio d’acqua dal 90% in su ed energia autoprodotta da fonti rinnovabili, in un sistema fuori suolo a circuito chiuso dotato di autonomo microclima e quindi adattabile a qualsiasi contesto ambientale.

Cifre che fotografano, a fine sperimentazione, i risultati ottenuti con la Cellula della vita, innovativo vivaio tecnologico e trasportabile realizzato a Palermo e a Sfax dal partenariato protagonista del progetto Celavie (acronimo di “CEllule technologique de LA VIE”), co-finanziato dall’Unione Europea attraverso il Programma ENI di cooperazione transfrontaliera Italia-Tunisia 2014-2020, di cui il Dipartimento Programmazione della Presidenza della Regione Siciliana è autorità di gestione.

I risultati del progetto sono stati presentati a Palermo, nel corso di una conferenza ospitata all’Università Lumsa, alla presenza di tutti i partner del progetto: Consorzio regionale per la ricerca applicata e la sperimentazione (CORERAS, ente capofila), Université de Sfax, Cnr con gli Istituti Ias, Ibbr e ISMed, Green Future srl, Union tunisienne de l’agriculture et de la pêche (UTAP), Association de la continuité des générations (AGC) e, come partner associati, GAL Elimos, Ente di sviluppo agricolo (ESA), Association pour la conservation de la biodiversité dans le golfe de Gabès e Union régionale de l’agriculture et de la pêche.

Gli aspetti scientifici della sperimentazione, per la Cellula installata a Palermo, sono stati illustrati da Angela Cuttitta, ricercatrice del Cnr-Ibbr e responsabile scientifico del progetto, e dal coordinatore tecnico Salvatore Di Cristofalo (Cnr-Ibbr).  La Cellula della vita è una “capsula” di sei metri per tre, alta due metri e mezzo, nella quale è racchiuso un impianto acquaponico, cioè una comunità biologica in scala ridotta che alla coltura vegetale fuori terra (idroponica) unisce l’allevamento di animali acquatici: nel prototipo questa metodologia è stata integrata con le dotazioni tecnologiche necessarie per garantire autosufficienza energetica, autonomia climatica, gestione e monitoraggio dei cicli biologici (anche a distanza).

Per un anno e mezzo, dopo le fasi di progettazione e costruzione, i test hanno riguardato alcune essenze vegetali nei letti di coltura disposti verticalmente su più livelli, principalmente pomodoro, basilico, lattuga, peperoncino e sedano, e contemporaneamente, nelle vasche sottostanti, specie d’acqua dolce come granchi di fiume, carpe e gambusie. Più in dettaglio, considerati i vari fattori tra cui densità d’impianto, rateo di radicamento, tempi di germinazione e durata delle colture, il gruppo di lavoro ha potuto calcolare per la lattuga (8 cicli/anno) una resa produttiva 3 volte superiore a quella di una coltivazione in pieno campo, per basilico e sedano (entrambi 7 cicli/anno) una resa 2 volte superiore, per le piante di pomodoro (4 cicli/anno) e peperoncino (3 cicli/anno) una resa pari a 1,5 volte quella della normale coltivazione su suolo. Positivi anche i riscontri sull’ambientamento degli animali acquatici. Per la gambusia, ad esempio, sono stati ottenuti eventi riproduttivi su base mensile, con una densità riproduttiva di 35 unità per litro e il raggiungimento della misura commerciale minima entro 45 giorni dalla nascita.

La Cellula può essere configurata in modo flessibile per varie e specifiche esigenze produttive: la produzione “fuori suolo” a impatto zero rappresenta, fra l’altro, un’utile alternativa per quei terreni la cui fertilità è minacciata dai cambiamenti climatici, dalle attività umane tra cui l’agricoltura intensiva e da altri fattori, così come per piccole comunità in zone difficili da rifornire, e ancora in situazioni di estrema emergenza, per esempio paesi isolati per frane o terremoti, o per finalità umanitarie -per esempio come supporto alimentare nei campi profughi- e didattiche.

“Con innovazioni di prodotto e di metodo per minimizzare l’impatto ambientale dei processi produttivi, “Celavie” tratteggia un nuovo modello che, nel lungo periodo, potrà influenzare l’orientamento della produzione agricola andando incontro alle necessità alimentari delle popolazioni e, di riflesso, indirizzando le politiche economiche interne. L’utilità finale sta anche nel testare prassi di ricerca tra imprese e istituzioni delle due sponde del Mediterraneo e nel creare le premesse per futuri consorzi misti. Per questa ragione Celavie è, quindi, una sperimentazione di carattere socio-economico oltre che scientifica”, ha affermato Gianfranco Badami, presidente del Coreras.

“I risultati della sperimentazione mostrano che la Cellula è una felice intuizione, e ce lo dicono sia le performance delle essenze orticole, con le specie a foglia che hanno raggiunto le dimensioni per il consumo o la commercializzazione, sia l’ambientamento degli animali acquatici, che si sono riprodotti. È un prototipo ancora suscettibile di sviluppo, con ipotesi di lavoro tra cui quella su una maggiore trasparenza dell’involucro, ma la Cellula offre già così importanti prospettive. Il vertical farming in ambiente protetto consente di produrre per metro quadrato più di quanto si produca in campo sulla stessa superficie, e ciò senza uso di prodotti che invece sono impiegati nelle coltivazioni tradizionali su suolo o in serra. La Cellula può essere una tecnologia integrativa su cui fare leva per mantenere i livelli produttivi riportando a un uso non intensivo terreni ormai sempre più aridi. Questo è un problema che investe progressivamente la Sicilia, dove ormai è raro che la quota di sostanza organica nel suolo raggiunga il 2%, mentre quella ottimale sarebbe del 4%. Vale, in generale, per vaste aree del pianeta dove tante persone soffrono la fame”, ha aggiunto Dario Costanzo, coordinatore del progetto Celavie.

“Celavie” esplora lo scenario futuro di una popolazione mondiale vicina ai 9 miliardi di persone entro il 2050 con una disponibilità di suoli fertili sempre più ridotta, condizione che imporrà il passaggio da sistemi produttivi intensivi a tecniche conservative in grado di ottimizzare l’uso delle risorse per rendere i processi produttivi efficienti e sostenibili. L’acquaponica è considerata tra le soluzioni più promettenti. In questo sistema fuori suolo, l’acqua di scarico delle vasche di allevamento va a irrigare speciali letti di crescita privi di terra e concime, con dentro soltanto inerti su cui le piantine attecchiscono. Determinanti le popolazioni batteriche presenti nei letti di crescita, che trasformano le sostanze di rifiuto del metabolismo animale in nutrienti, poi assorbiti dalle radici dei vegetali. Ciò rende possibili le produzioni con una quantità fissa di acqua (sono da reintegrare soltanto le piccole quote evaporate). Non occorrono pesticidi o prodotti analoghi. Ne conseguono importanti vantaggi ecologici ma anche ridotti costi di produzione.

La Cellula della vita combina la metodologia dell’acquaponica con un sofisticato apparato tecnologico per la gestione dei cicli biologici. In basso nella capsula prefabbricata si trovano le vasche per gli organismi acquatici, sopra sta la fattoria verticale dove speciali luci a led simulano i fotoperiodi per la crescita delle piantine, mimando di fatto le stagioni. L’elettronica tiene sotto osservazione tutti i valori: quelli vitali delle colture, quelli energetici di produzione e consumo, la temperatura e l’umidità interne, il livello dell’acqua, la sua acidità e conducibilità, l’ossigeno disciolto e l’ossiriduzione. Misura inoltre i parametri microclimatici esterni per verificare l’interazione con l’ambiente, dato che la Cellula nasce per essere “impermeabile” al contesto e per funzionare in ogni luogo e configurazione, anche con più moduli affiancati e adattando la tipologia e la quantità delle produzioni ai bisogni da soddisfare.

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