Site icon Corriere Nazionale

Long-COVID: per 1 su 4 le limitazioni di attività non migliorano nel tempo

eg.5.1 metformina sequele neurologiche anticorpi neutralizzanti sintomi gimbe dolore cronico omicron 2 varianti long-covid pandemia tonga coronavirus sindrome long covid

Circa un quarto degli adulti che soffrono di long-COVID riferiscono limitazioni di attività che non migliorano nel tempo secondo una nuova indagine

Sulla base dei dati provenienti da un campione nazionale di soggetti non ospedalizzati, circa un quarto degli adulti che soffrono di long-COVID riferiscono limitazioni di attività che non migliorano nel tempo, secondo quanto emerso in uno studio pubblicato nel Morbidity and Mortality Weekly Report (MMWR).

I sintomi del long-Covid, una condizione medica che si verifica a seguito dell’infezione, includono complicanze respiratorie, neurologiche, cardiovascolari o di altro tipo che possono durare settimane, mesi o anni dopo l’infezione.

Le stime attuali della sua incidenza negli Stati Uniti vanno dal 7,5% al 41%, secondo l’autore Nicole Ford e colleghi dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC). «Il long-Covid ha mostrato un effetto significativo sulla qualità della vita, sullo stato funzionale e sulla capacità di lavorare dei pazienti, ma non è stato esaminato in particolare l’impatto sulla limitazione delle attività» hanno scritto.

Nello studio dei CDC i ricercatori hanno esaminato i dati dei sondaggi condotti tra l’1 e il 13 giugno 2022 e tra il 7 e il 19 giugno 2023, provenienti dal censimento Household Pulse Survey (HPS) del Bureau, un’indagine nazionale trasversale progettata per misurare gli effetti sociali ed economici del Covid-19 sulle famiglie statunitensi. Le indagini sono state condotte in cicli di 2 settimane e, a partire da giugno 2022, sono state aggiunte domande sul long-Covid e sul suo impatto limitante sulle attività.

Nel complesso la prevalenza del long-Covid è diminuita dal 7,5% al 6,0% negli adulti statunitensi con almeno 18 anni, tuttavia, dopo la stratificazione per età, il calo è risultato significativo solo nelle persone con più di 60 anni. Dall’analisi è emerso che un adulto su 10 con una storia di Covid-19 ha riportato long-Covid alla fine del periodo di studio.

Tra gli intervistati con long-Covid, il 26,4% di quelli coinvolti dal sondaggio tra il 7 e il 19 giugno 2023 ha riportato limitazioni significative dell’attività, che sono rimaste invariate nel tempo, senza un modello chiaro tra i gruppi di età, hanno affermato i ricercatori.

La prevalenza è risultata più elevata nelle persone di media età adulta (30-39 anni, 40-49 anni e 50-59 anni) e più bassa negli adulti più giovani (18-29 anni) e negli anziani (almeno 60 anni).

Studi precedenti hanno dimostrato che le limitazioni dell’attività derivanti dal long-Covid possono influenzare significativamente la qualità della vita e lo stato funzionale, nonché la capacità di lavorare o prendersi cura degli altri. Un recente studio nel Regno Unito ha rilevato che i punteggi della qualità della vita tra i pazienti con long-Covid erano simili a quelli dei malati di cancro avanzato e che oltre la metà dei pazienti con long-Covid riportava un deterioramento funzionale moderatamente grave. «L’impatto economico e sociale più ampio del long-Covid potrebbe essere di vasta portata se gli adulti in età lavorativa non fossero in grado di mantenere un impiego o prendersi cura dei bambini o dei genitori anziani» hanno osservato i ricercatori.

Nonostante alcune limitazioni dello studio, i risultati suggeriscono la necessità di un’attenzione continua agli sforzi di prevenzione del Covid-19, compreso non solo il mantenimento del livello di vaccinazione raccomandata, ma anche la pianificazione della gestione dei sintomi e delle esigenze dei servizi sanitari dei pazienti affetti da long-Covid.

Attenzione ai sintomi che possono essere indicativi di long-Covid
«Medici e pazienti stanno ancora cercando di comprendere il long-Covid e le sue implicazioni per la salute delle persone che ne sono colpite» ha affermato Noel Deep, direttore medico e medico presso l’ospedale Aspirus Langlade di Antigo, non coinvolto nello studio. «Lo studio mostra una prevalenza di long-Covid in circa l’11% dei pazienti, un numero significativo, ed è stato utile anche per illustrare una riduzione dell’incidenza delle persone affette da sintomi prolungati negli Stati Uniti e in altri paesi».

Nonostante una persistente prevalenza dei sintomi di long-Covid in generale, ha trovato incoraggianti i risultati secondo i quali gli anziani, che tendono ad avere altre condizioni di salute di base che potrebbero esporli a un rischio maggiore di esiti avversi per la salute, hanno riportato meno casi di sintomi di long-Covid rispetto ai giovani adulti. Tuttavia, ha osservato che l’elevata incidenza di sintomi nei 30-40enni può influenzare la loro situazione economica così come la loro capacità di prendersi cura dei parenti anziani e dei bambini che potrebbero essere a loro carico.

Diversi fattori possono influenzare la valutazione e la gestione dei pazienti con sintomi di long-Covid negli ambulatori di assistenza primaria, ha continuato. Innanzitutto ci sono i limiti di tempo per una valutazione e un test dettagliati, in secondo luogo i medici di base devono essere consapevoli dei diversi sintomi che possono essere indicativi di long-Covid, come affaticamento, sintomi neurocognitivi come confusione mentale o disturbi della memoria, sintomi respiratori e sintomi cardiovascolari, oltre che olfattivi e gustativi, che possono essere confusi dalle condizioni di salute di base, specialmente negli anziani.

«Le raccomandazioni e le linee guida sulla valutazione e la gestione dei pazienti con long-Covid si stanno evolvendo e questo dovrebbe aiutare i medici e altri professionisti in futuro» ha concluso. «Nel frattempo, avere un alto indice di sospetto, prestare attenzione ai sintomi descritti dal paziente e raccogliere un’anamnesi corretta relativa alla precedente infezione da Covid-19 dovrebbe aiutare a superare alcune di queste sfide».

Exit mobile version