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Fibrillazione atriale e uso di anticoagulanti orali diretti: un nuovo studio

Fibrillazione atriale: la terapia segue il percorso ABC

Fibrillazione atriale e uso di anticoagulanti orali diretti: con dosaggi off-label meno aderenza terapeutica e più interruzioni

I pazienti con fibrillazione atriale (AF) non valvolare che usano una dose di anticoagulante orale diretto (DOAC) non coerente con l’etichettatura della Food and Drug Administration (FDA) degli Stati Uniti – una pratica ritenuta, in molti casi, correlata ai timori di sanguinamento – hanno meno probabilità di essere aderenti alla terapia. È quanto dimostra uno studio retrospettivo pubblicato su “JAMA Network Open”.

Rispetto a una dose appropriata, l’uso di dosi inappropriate più basse o più alte è stato associato a una ridotta probabilità di aderenza alla terapia e auna maggiore probabilità di interruzione della stessa durante il primo anno di trattamento, secondo i ricercatori guidati da Jennifer Rymer, del Duke Clinical Research Institute di Durham (North Carolina, USA).

L’uso di dosi non raccomandate è risultato particolarmente diffuso tra i pazienti con disfunzione renale e, per ogni diminuzione di 10 unità nella clearance della creatinina, c’è stato un calo del 21% della probabilità della prescrizione di una dose di DOAC appropriata.

I pazienti con malattia renale sono particolarmente a rischio di sanguinamento ed esiti ischemici, osservano Rymer e colleghi. «Quindi è davvero importante cercare di ottenere un dosaggio adeguato in questa popolazione».

Alcuni studi precedenti hanno rilevato che il dosaggio off-labeldi DOAC è associato a esiti clinici peggiori; tra questi studi uno ha evidenziato che l’uso di dosi inappropriate più alte o più basse di DOAC era associato a maggiori rischi, rispettivamente, di mortalità e ospedalizzazione cardiovascolare (CV). Il dosaggio non raccomandato è stato anche correlato a un rischio più elevato di mortalità a 2 anni nel registro GARFIELD-AF.

Nel presente studio, tuttavia, il dosaggio off-label non è stato associato a ictus o a ospedalizzazione correlata a sanguinamento. In ogni caso, «sulla base di tutti gli altri dati disponibili, quando è nota quale dovrebbe essere la dose secondo l’etichettatura della FDA, al paziente dovrebbe essere prescritta quella dose per ridurre il rischio di ictus» aggiungono i ricercatori.

Analisi retrospettiva di dati relativi a circa 87mila pazienti
Nel presente studio, Rymer e colleghi hanno esaminato i dati medici e le prescrizioni dal Symphony Health data set, che contiene informazioni su circa 280 milioni di pazienti e 1,8 milioni di prescrittori negli Stati Uniti.

L’analisi ha incluso 86.919 pazienti (età mediana 74 anni; 50,3% uomini) che avevano avuto almeno due segnalazioni di AF tra il 2015 e il 2017, avevano un punteggio CHA2DS2-VASc =/> 2 e avevano ricevuto una prescrizione per un DOAC.

Complessivamente, l’8,4% dei pazienti aveva ricevuto una dose ridotta di DOAC dopo aver soddisfatto i criteri specificati dall’etichetta e a un altro 12,6% era stato prescritto un sottodosaggio in modo inappropriato. Un altro 5,0% dei pazienti aveva ricevuto una dose off-label in eccesso.

Rispetto ai pazienti che sono stati trattati in modo appropriato, quelli che hanno ricevuto una dose DOAC non raccomandata tendevano a essere più anziani (età mediana 79 vs 73) e ad avere un punteggio CHA2DS2-VASc più elevato (score mediano: 5 vs 4).

La ricezione di una dose off-label più bassa è stata associata a una minore probabilità di aderenza (OR aggiustato 0,88; IC 95% 0,83-0,94) e a maggiori probabilità di interruzione dell’anticoagulazione (OR aggiustato 1,20; IC 95% 1,13-1,28) lungo 1 anno di follow-up rispetto al dosaggio appropriato, con risultati simili osservati per il dosaggio in eccesso. Tuttavia, l’aderenza e la persistenza non hanno avuto un influsso avverso nei pazienti che avevano soddisfatto i criteri del foglietto illustrativo per la riduzione della dose.

I risultati in termini di esiti clinici
Per quanto riguarda il motivo per cui il dosaggio off-label sarebbe associato a una peggiore aderenza e persistenza, Rymer e colleghi ritengono che ciò potrebbe essere un indicatore di altri fattori. Per esempio, i pazienti con più comorbilità, che possono essere i tipi di pazienti di cui i medici si preoccupano quando si tratta di dosare i DOAC, possono assumere molti altri farmaci, il che a sua volta rende difficile attenersi a vari regimi farmacologici.

In termini di esiti clinici, il sottodosaggio off-label non è stato associato a differenze relativamente ai rischi di ospedalizzazione che coinvolgono un sanguinamento (HR aggiustato 0,95; IC 95% 0,84-1,08) o ictus (HR aggiustato 0,99; IC 95% 0,90-1,09) rispetto al dosaggio appropriato.

Da notare, tuttavia, che i pazienti con un’appropriata riduzione della dose hanno comportato un rischio maggiore di ospedalizzazione con sanguinamento rispetto a quelli che hanno ricevuto una dose piena appropriata (HR aggiustato 1,21; IC 95% 1,01-1,44), «suggerendo che i criteri di dose sviluppati distinguono adeguatamente i pazienti che sono a più alto rischio di sanguinamento» osservano gli autori.

Lo studio, aggiungono, «indica che rimangono opportunità per migliorare il dosaggio dei DOAC attraverso iniziative di miglioramento della qualità e potenzialmente attraverso avvisi di ‘best practice’ nella cartella clinica elettronica in grado di rilevare un dosaggio off-label di un DOAC».

L’uso di un approccio maggiormente basato su algoritmi sarà particolarmente importante nei pazienti con disfunzione renale, concludono Rymer e colleghi, «perché questi pazienti sono spesso quelli per i quali ci si preoccupa del loro rischio di sanguinamento mentre non ci si preoccupa abbastanza del loro rischio ischemico».

I punti chiave dello studio

Fonte:
Rymer JA, Chiswell K, Young L, et al. Analysis of Oral Anticoagulant Dosing and Adherence to Therapy Among Patients With Nonvalvular Atrial Fibrillation. JAMA Netw Open, 2023;6:e2317156. doi: 10.1001/jamanetworkopen.2023.17156. leggi

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