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Lotta al Covid: quale futuro per gli anticorpi monoclonali

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Gli anticorpi monoclonali hanno tendenzialmente perso di efficacia contro il Covid con l’arrivo delle sottovarianti di Omicron ma alcuni risultano ancora protettivi

Gli anticorpi monoclonali hanno tendenzialmente perso di efficacia contro il virus Sars-Cov-2 con l’arrivo delle sottovarianti di Omicron ma alcuni di questi farmaci, come sotrovimab, risultano ancora attivi e protettivi.

Si ritiene che la capacità infettiva del Sars-Cov2 dipenda dalla proteina spike, precisamente dalla zona di binding, RBD (receptor binding domain) ed RBM (receptor binding motif) che mediano il riconoscimento dell’ACE (dove è situato il recettore ACE2); da questa porta il virus può penetrare nella cellula ospite attraverso l’interazione tra RBM e ACE2.
Per tale motivo questa zona è il target di vari anticorpi monoclonali.

L’RBM è una zona altamente mutevole ma diversi studi ritengono che anche accumulando un ampio numero di mutazioni non viene pregiudicato il riconoscimento dell’ACE2.

“In realtà quest’ultima frase non è del tutto vera, perché non tutte le mutazioni si comportano allo stesso modo senza pregiudicare il riconoscimento” sottolinea il prof. Carlo Federico Perno, Direttore Microbiologia e Diagnostica di Immunologia IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, durante la sua presentazione al congresso.

Quando consideriamo gli anticorpi monoclonali, pensiamo alla capacità di neutralizzazione. “Questo credo sia un grave problema perché le funzioni degli anticorpi monoclonali sono molteplici e misurate; quindi, a mio parere è altamente criticabile la struttura anglosassone per definire l’efficacia o meno degli anticorpi monoclonali sulla base dell’effetto neutralizzante in vitro e senza considerare altri aspetti fondamentali come funzioni prettamente immunologiche: 1) citotossicità dipendente dal complemento; 2) citotossicità cellulare dipendente dagli anticorpi; 3) fagocitosi dipendente dagli anticorpi” aggiunge Perno.

Nella prima funzione il complemento (C1q) alla regione Fc del complesso antigene-anticorpo da via alla classica cascata che termina con la morte cellulare. Nella seconda funzione, FcyRIII si lega al complesso antigene-anticorpo iniziando un pathway di segnali che porta al rilascio di granzima e perforina che uccidono la cellula infettata. Infine, nella terza funzione i macrofagi FcyRs riconoscono il complesso antigene-anticorpo scatenando un pathway di segnali che porta alla fagocitosi della cellula infettata.

“C’è anche una quarta funzione, le proteine virali hanno un effetto pro-infiammatorio e dannoso di per sé; i monoclonali non neutralizzano solo le particelle ma neutralizzano anche il virus e questo non è misurato. Quindi c’è un effetto proattivo dei monoclonali che è importantissimo dal punto di vista clinico ma che in vitro non viene misurato” sottolinea Perno.

Molti monoclonali oggi sono “morti” perché non rispondono più al virus. La variante omicron e le sue sottovarianti devono essere considerate come un nuovo virus rispetto a Sars-Cov-2; “infatti quest’ultimo possiamo raffigurarcelo come un albero e Omicron è una nuova radice che parte dal basso” precisa Perno.
Quindi, gli anticorpi monoclonali che sono ancora attivi sono quelli nuovi e che esplicano la loro efficacia nella zona che non è collegata all’ RBD; gli anticorpi che riconoscono epitopi conservati nelle varianti di Sars-Cov-2 forniscono una protezione contro l’evoluzione virale.

Dati 2022 di Cox et al pubblicati su Nature Reviews Microbiology hanno fatto il punto sull’attuale situazione di efficacia neutralizzante degli anticorpi monoclonali evidenziando che effettivamente molti di essi oggi non sono più efficaci in vitro, ma la conclusione biologica non può diventare automaticamente clinica.
“Un lavoro successivo, importante e ben costruito, apparso su Cell (Hoffman et al 2022) sottolinea che la neutralizzazione non è l’espressione clinica dell’attività degli anticorpi monoclonali e che esiste una importante diversità anche a livello di perdita di risposta a seconda del monoclonale; quindi generalizzare diventa pericoloso” aggiunge Perno.

Sempre nel 2022 su Cell Host and Microbe, Gruell et al evidenziano che la maggior parte degli anticorpi monoclonali sono inattivi contro le sottovarianti di Omicron; sullo stesso filone sempre su Cell lo scorso dicembre un lavoro di Qlan Wang et al analizza le sottovarianti XBB.1 e BA.2 suggerendo che nei loro confronti si è instaurata una resistenza 63 volte maggiore alla neutralizzazione sierica rispetto alla variante precedente e di 49 volte rispetto alla BA4/5. “Qui però viene completamente dimenticato il concetto di Pk e di dose-efficacia perché se io ho una concentrazione del farmaco 100 volte superiore alla dose efficace e perdo 63 volte di efficacia, continuo a rimanere nel range di efficacia” spiega Perno.

“Questi sono concetti che nell’HIV sono chiarissimi ma per il Sars-Cov-2 non abbiamo avuto lo stesso tempo dell’HIV” aggiunge Perno.
Poco tempo fa l’NIH ha dichiarato che oggi è improbabile che i monoclonali siano attivi in quanto esiste una marcata riduzione della loro attività in vitro e per tale motivo non vanno più usati.

Analizzando i dati di studi recenti, post CROI 2023, questi mostrano che l’attività in vitro degli anticorpi monoclonali contro XBB.1 non è persa in tutti i casi. Inoltre, misurando anche altri parametri, non solo la neutralizzazione, ma ad esempio il fold change (IC50) questo risulta essere nel range logaritmico del 10 con l’anticorpo monoclonale sotrovimab, in alcuni casi anche 100 e queste concentrazioni sono raggiungibili in vivo.

Anche analizzando il binding di sotrovimab al Sars-Cov-2, questo risulta molto simile a quanto accade col ceppo originario e anche l’ADCC (AUC=area sotto la curva) risulta alta; “quest’ultimo parametro è diventato uno degli elementi portanti e fondamentali della risposta immunitaria dell’ospite contro il virus uccidendo le cellule infettate” sottolinea Perno.

Un lavoro successivo sempre su sotrovimab di Bruel T et al (MedRxv 2023) evidenzia come questo anticorpo monoclonale ha anche una buona attività in vitro contro B.Q.1.1 e XBB 1.5 e che quindi è ancora una buona un’opzione terapeutica.

Oltre a questa efficacia neutralizzante, Nature aggiunge in un lavoro recente, anche l’efficacia dipendente da Fc e precisando che il titolo degli anticorpi neutralizzanti è meno efficace ma gli anticorpi che mediano dalle IgG non sono diminuiti.
Quindi, sotrovimab è tra gli anticorpi monoclonali che ancora funzionano; questo farmaco attiva in modo efficiente l’ADCC ed è efficace contro tutti i ceppi ad oggi conosciuti di Sars-Cov-2.

Sotrovimab può reclutare i macrofagi e le cellule NK indirizzandole a uccidere le cellule infette ma ha anche un’azione di protezione verso le cellule non infette, mostrata in vitro.

Oggi si sta sempre più pensando a una terapia di combinazione.
Nuovi dati, alcuni provenienti anche dall’Italia, mostrano come una terapia di combinazione triplice con due antivirali ed un anticorpo monoclonale è superiore in termini di efficacia al trattamento con farmaci singoli. La ricerca va avanti e stanno arrivando anche nuovi anticorpi monoclonali con meccanismi d’azione nuovi, quindi, bisogna da subito ripensare concettualmente a ciò che abbiamo fatto finora perché gli anticorpi monoclonali nel Covid hanno una storia ma anche un futuro.

In conclusione, al di là dell’efficacia in vitro bisogna ragionare in maniera più complessa considerando la reale efficacia clinica in cui i fattori da considerare sono la pK, la neutralizzazione, il binding, l’attivazione dell’ADCC. Per tale motivo rimane cruciale il dato in vivo per definire l’attività dell’anticorpo.

Perno C.F. Rational criteria for evaluating mABS efficacy: beyond in vitro data. ICAR 2023

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