Site icon Corriere Nazionale

Sclerosi multipla: arrivano nuovi dati sull’uso di ozanimod

frexalimab cladibrina ozanimod natalizumab volume cerebrale sclerosi multipla restrizione calorica cladribina

Sclerosi multipla, arrivano nuovi dati sull’uso di ozanimod: sicuro a lungo termine, efficace in tutte le fasce d’età

L’uso a lungo termine di ozanimod per la sclerosi multipla (SM) è risultato efficace e ben tollerato in più gruppi di età, anche se il rischio di alcune infezioni e altri eventi avversi emergenti dal trattamento (TEAE) è aumentato con l’età. È quanto emerge da una ricerca presentata alla riunione annuale del Consortium of Multiple Sclerosis Center (CSMC 2023), ad Aurora (Colorado).

Lo studio di fase 3 DAYBREAK aveva già dimostrato la sicurezza di ozanimod e la Food and Drug Administration (FDA) aveva approvato il farmaco orale come terapia modificante la malattia (DMT) per le forme recidivanti di SM nel 2020.

«Nello studio DAYBREAK, abbiamo già dimostrato che la malattia clinica e radiologica era piuttosto bassa nei pazienti che hanno ricevuto la dose più alta di ozanimod, e coloro che sono passati dalla dose più bassa di interferone a questo trattamento attivo hanno anche avuto diminuzioni nel tasso annualizzato di recidiva e nella conta delle lesioni RM» ha detto Sarah Morrow, professoressa associata di Neurologia presso la Western University di London, Ontario (Canada).

Morrow ha presentato i dati per conto dell’autore senior Bruce Cree, professore di Neurologia e Direttore della Ricerca Clinica presso l’University of California, San Francisco, Multiple Sclerosis Center e degli altri autori. «Ciò che invece non era noto era se ci fosse una differenza di efficacia in base all’età, e sappiamo che l’attività della malattia può differire in base all’età nelle persone con SM recidivante».

Ozanimod agisce modulando la risposta immunitaria interagendo con i ricettori della Sfingosina 1-Fosfato. In particolare, agisce sugli isotipi, 1 e 5, i più implicati nella modulazione della risposta immunitaria e nella riparazione del danno mielinico.

Analisi dei risultati del trial DAYBREAK e di uno studio di estensione in aperto
L’analisi dei dati di DAYBREAK e di uno studio di estensione in aperto ha rivelato che le infezioni respiratorie erano più comuni nei pazienti di età inferiore ai 35 anni e le infezioni del tratto urinario, le vertigini e i sintomi depressivi emergenti dal trattamento erano diventati comuni nei pazienti di età pari o superiore a 50 anni.

«Le infezioni gravi non variavano in base all’età e ci sono stati troppo pochi eventi gravi per identificare eventuali trend legati all’età da parte di specifici TEAE» ha riferito Morrow. Durante l’estensione in aperto dello studio, non sono emersi nuovi eventi avversi, «confermando il profilo di sicurezza di ozanimod riportato negli studi originari [parent trials] SUNBEAM e RADIANCE».

Gli studi originari di fase 3 hanno confrontato 30 mcg una volta alla settimana di interferone beta-1a intramuscolare con 0,92 mg di ozanimod orale una volta al giorno e 0,46 mg di ozanimod orale una volta al giorno.

Nell’estensione in aperto di DAYBREAK, 2.256 partecipanti sono stati sottoposti a un aumento della dose nell’arco di 1 settimana fino a quando tutti hanno raggiunto 0,92 mg di ozanimod, dove sono rimasti per circa 5 anni di follow-up. I ricercatori hanno quindi analizzato i TEAE, gli eventi avversi gravi e i TEAE che portavano all’interruzione del trattamento in quattro categorie di età: 18-25, 26-35, 36-49 e 50 anni e oltre.

Le infezioni respiratorie si sono verificate più spesso nelle persone di età compresa tra 18-25 anni (10,9%) e 26-35 (6,1%) rispetto a quelle di età nella fascia 36-49 (5,8%) e negli over 50 (3,4%). Tuttavia, le infezioni del tratto urinario si sono verificate maggiormente in quelli di età pari o superiore a 50 anni (9,2%), rispetto al 6,6% di quelli di età compresa tra 36-49 anni, al 4,3% di quelli tra 26 e 35 anni e al 4,6% di quelli tra 18 e 25 anni.

L’ipercolesterolemia si è verificata significativamente meno spesso nei soggetti tra 18-25 di età (1,4%) e tra 26-35 (2%) rispetto a quelli tra 36-49 (5%) e negli over 50 (8%), e l’ipertensione ha mostrato un andamento simile: 2% nel gruppo più giovane, 4,7% in quelli di età compresa tra 26-35, 12,8% in quelli tra 36 e 49 anni e 16,7% nelle persone di età pari o superiore a 50 anni.

Altri TEAE che si sono verificati più spesso nei pazienti più anziani includevano depressione/sintomi depressivi, vertigini, mal di schiena, dolori articolari, osteoartrosi e alti livelli di gamma-glutamil transferasi (GGT). Anche i disturbi cardiaci e vascolari complessivi e i tumori maligni erano più comuni con l’aumentare dell’età dei partecipanti.

Qualche elemento di preoccupazione
L’aumento del rischio di tumori maligni per età ha preoccupato Shailee Shah, assistente di Neuroimmunologia e Neurologia presso il Vanderbilt University Medical Center, Nashville, Tennessee, che non è stato coinvolto nella ricerca. Questo aumento del rischio «non è stato ampliato molto in questo studio o rispetto alle stime della popolazione, in quanto questa potrebbe in definitiva essere una delle maggiori preoccupazioni con l’uso a lungo termine di questo farmaco» ha detto Shah.

Shah ha inoltre osservato che «i pazienti più anziani possono essere a più alto rischio di infezioni e molteplici fattori di rischio cardiovascolare, e quindi se i pazienti hanno già una comorbilità, si potrebbe essere meno inclini a usare questo agente e probabilmente ancor meno negli individui più anziani».

Shah ha aggiunto che questi farmaci sono spesso raccomandati alle persone tra i 20 ei 30 anni al momento della diagnosi. «Se a un paziente viene somministrato questo farmaco e lo tollera e lo trova efficace, potremmo continuare a prescriverlo indefinitamente, quindi sarà importante osservare come il profilo di rischio dei giovani pazienti in trattamento con questo farmaco cambi nel tempo» ha specificato.

Diminuzione complessiva dell’attività infiammatoria di malattia
Le infezioni gravi si sono verificate a tassi relativamente simili in tutte le fasce d’età. L’incidenza di qualsiasi evento avverso grave è stata di 27 per 1.000 persone all’anno nel gruppo più giovane rispetto a 24 eventi nel gruppo 26-35, 35 nel gruppo 36-49 e 62 per 1.000 persone all’anno in quelli con 50 anni e più.

«I pazienti nel gruppo over 50 avevano un tasso di recidiva annualizzato aggiustato numericamente più basso e meno lesioni ipercaptanti il gadolinio e lesioni T2 nuove o in espansione per scansione e avevano generalmente maggiori probabilità di essere liberi da lesioni che gadolinio-captanti o lesioni T2 nuove o in espansione rispetto al gruppo di età più giovane» ha riferito Morrow «ma riteniamo che ciò sia più in linea con la storia naturale della malattia»

«Nel complesso, ozanimod, indipendentemente dalla fascia di età, ha mostrato una diminuzione dell’attività di malattia in termini infiammatori, sulla base del tasso di recidiva annualizzato e delle lesioni ipercaptanti il gadolinio e delle lesioni T2».

I partecipanti più anziani erano sostanzialmente più propensi a ritirarsi dallo studio a causa di eventi avversi. In effetti, si sono ritirati dallo studio a causa di eventi avversi da un lato l’8% del gruppo più giovane e il 7,6% dei partecipanti di età compresa tra 26 e 35 anni, dall’altro il 24,5% delle persone di età compresa tra 36 e 49 anni e il 18,5% di quelli di età pari o superiore a 50 anni.

Shah ha detto che era rassicurante che non fossero emersi nuovi segnali di sicurezza, «ma sulla base di questi dati, si potrebbe essere preoccupati che il rischio a lungo termine di malattie cardiovascolari potesse causare eventi avversi più gravi per un periodo di tempo più lungo e di questo si dovrà tenere conto in quanto vediamo sempre più persone in terapia con questo farmaco».

Fonte: Consortium of Multiple Sclerosis Center (CSMC 2023), Aurora, Colorado (USA).

Exit mobile version