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Rilevato il segnale del dolore cronico nel cervello umano

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Per la prima volta nel cervello umano è stato rilevato il segnale legato al dolore cronico, principalmente a livello della corteccia orbitofrontale: primo passo per nuove cure

Per la prima volta nel cervello umano è stato rilevato il segnale legato al dolore cronico, principalmente a livello della corteccia orbitofrontale, un primo passo nella comprensione dei meccanismi neuronali legati al dolore che potrebbero portare a trattamenti efficaci e che non creano dipendenza. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Nature Neuroscience.

Negli Stati Uniti la prevalenza del dolore cronico è di circa il 21% e interessa circa 51,6 milioni di adulti. Nuovi casi di dolore cronico si verificano più frequentemente dei nuovi casi di diabete, depressione o ipertensione.

Tra i medici e gli scienziati del dolore è oggi ampiamente riconosciuto che il dolore cronico non è solo un’estensione del dolore acuto, ma che si tratta di una condizione separata in cui i normali circuiti cerebrali vengono ricablati per un lungo periodo di tempo, per fornire segnali di dolore anche quando non ci sono danni ai tessuti o altre ovvie fonti di dolore. Ma come il dolore cronico sia rappresentato nel cervello e come tale rappresentazione differisca o si sovrapponga a quella del dolore acuto è ancora in gran parte un mistero.

Segnale del dolore cronico nelle corteccia orbitofrontale
Nello studio, che è stato supportato dalle iniziative BRAIN (Brain Research Through Advancing Innovative Neurotechnologies) e HEAL (Helping to End Addiction Long-term Initiative) del National Institutes of Health, i ricercatori della University of California San Francisco (UCSF) guidati da Prasad Shirvalkar, professore associato di anestesia, neurologia e chirurgia neurologica, hanno impiantato chirurgicamente degli elettrodi mirati alla corteccia cingolata anteriore e alla corteccia orbitofrontale di quattro soggetti, tre dei quali soffrivano di dolore post-ictus e uno di dolore all’arto fantasma.

Ai partecipanti è stato chiesto di valutare il dolore che stavano provando, in termini di intensità e tipologia, oltre che a come il dolore li faceva sentire. Nell’arco di 3-6 mesi i partecipanti hanno riportato i loro livelli di dolore più volte al giorno al loro domicilio mentre gli elettrodi registravano la loro attività cerebrale. Più volte nel corso di una giornata i pazienti hanno attivato un dispositivo di controllo remoto per creare una registrazione cerebrale della durata di 30 secondi.

Utilizzando metodi di apprendimento automatico, i ricercatori hanno predetto con successo i punteggi di gravità del dolore di ciascun individuo in base all’attività della loro corteccia orbitofrontale con un’alta sensibilità.

Le registrazioni hanno mostrato che gli stati di dolore cronico erano per lo più associati a cambiamenti di attività nella corteccia orbitofrontale, a differenza del dolore transitorio o acuto che era associato ai segnali della corteccia cingolata anteriore in due partecipanti. La risonanza magnetica funzionale ha dimostrato che la corteccia cingolata anteriore e le regioni della corteccia orbitofrontale sono attivate durante gli esperimenti sul dolore acuto.

Ogni persona ha mostrato un’attività cerebrale unica. «Il biomarcatore di ogni paziente era in realtà come un’impronta digitale unica» ha detto Shirvalkar. «Penso che questo ci dica qualcosa di molto importante».

In un’analisi separata, volte a confrontare il modo in cui il dolore cronico e il dolore acuto sono rappresentati nel cervello, sono state valutate le modalità di risposta delle corteccia cingolata anteriore e della corteccia orbitofrontale al dolore termico acuto. In due partecipanti, l’attività nella corteccia cingolata anteriore ha predetto le risposte. Questi risultati suggeriscono che i segnali nella corteccia orbitofrontale possono tracciare l’attuale gravità del dolore cronico per le sindromi dolorose neuropatiche, come il dolore centrale post-ictus o il dolore dell’arto fantasma, e che il cervello può elaborare il dolore cronico e acuto in modo diverso nei pazienti con dolore cronico.

«Le reti cerebrali del dolore in tutti i partecipanti probabilmente sono state sottoposte a un ricablaggio per molti anni come risultato della convivenza con il dolore cronico» hanno scritto gli autori. «Tuttavia, il dolore cronico” di fondo “in corso può aver influenzato la percezione del dolore acuto anche nel lato del corpo non interessato».

«Eravamo anche interessati a vedere se queste regioni avessero un ruolo nel modo in cui il cervello elabora il dolore cronico» ha dichiarato Shirvalkar. «In particolare al modo in cui il dolore cambia nel tempo e quali segnali cerebrali potrebbero corrispondere o prevedere alti livelli di dolore cronico».

«Il dolore è una delle esperienze fondamentali che un organismo può provare, ma resta ancora molto da comprendere su come funziona» ha sottolineato. «Sviluppando strumenti migliori per studiare e potenzialmente influenzare le risposte al dolore nel cervello, speriamo di fornire opzioni alle persone che vivono con condizioni di dolore cronico».

Risultati da approfondire con ricerche più ampie
Questo studio potrebbe essere un primo passo verso lo sviluppo di nuovi metodi per il monitoraggio e il trattamento del dolore cronico, ha osservato Walter Koroshetz, direttore del National Institute of Neurological Disorders and Stroke. «Speriamo che questi risultati preliminari possano portare a trattamenti antidolorifici efficaci e che non creano dipendenza».

Nonostante la piccola dimensione del campione, questo studio fornisce la prima evidenza diretta che il dolore acuto e cronico hanno rappresentazioni neurali diverse all’interno del cervello della stessa persona, confermando quanto molti medici e pazienti già sanno, ovvero che i trattamenti che aiutano ad affrontare il dolore acuto, come gli oppioidi, hanno meno probabilità di essere efficaci per il dolore cronico e neuropatico.

Il prossimo passo di questa ricerca, che coinvolgerà più partecipanti, può aiutare a stabilire se diverse condizioni di dolore condividono l’attività della corteccia orbitofrontale rilevata in questo studio o come le firme neuronali possono variare tra persone con diverse condizioni di dolore. Resta anche da capire se segnali simili possono essere registrati in modo non invasivo utilizzando l’elettroencefalografia (EEG).

Referenze

Shirvalkar P et al. First-in-human prediction of chronic pain state using intracranial neural biomarkers. Nat Neurosci (2023).

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