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Insufficienza cardiaca: malattia renale non influenza empagliflozin

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La malattia renale non influenza i benefici di empagliflozin, inibitore SGLT2, sui principali eventi dello scompenso cardiaco

La malattia renale non influenza i benefici di empagliflozin, inibitore SGLT2, sui principali eventi dello scompenso cardiaco (HF), anche in pazienti ad alto rischio renale, secondo una nuova analisi dello studio EMPEROR-Pooled pubblicata sul “Journal of American College of Cardiology”.

«Nei pazienti con indicazione, gli inibitori SGLT2 devono essere utilizzati all’inizio del processo patologico per modificare il rischio cardiorenale e migliorare i risultati a lungo termine« affermano gli autori, guidati da Javed Butler,  presidente del Baylor Scott and White Research Institute e vicepresidente senior dello stesso istituto di Dallas, professore emerito di Medicina presso l’Università del Mississippi a Oxford e componente oggi del comitato editoriale.

«Questa strategia può essere messa in atto ovunque il paziente abbia un punto di contatto» specificano. «Sia nell’ambito delle cure primarie che in quelle specialistiche cardiologiche, endocrinologiche o nefrologiche».

Analisi di EMPEROR-Pooled (da EMPEROR-Reduced più EMPEROR-Preserved)
Butler e colleghi hanno analizzato i dati di 9.718 partecipanti all’analisi EMPEROR-Pooled utilizzando i dati combinati dei singoli pazienti inclusi negli studi EMPEROR-Reduced ed EMPEROR-Preserved (età media, 70 anni; 63% uomini).

EMPEROR-Preserved è stato condotto dal 27 marzo 2017 al 26 aprile 2021; EMPEROR-Reduced è stato condotto dal 6 aprile 2017 al 28 maggio 2020.

Valutazione per categorie KDIGO e  eGFR e UAUCR
Per questa analisi post hoc, i ricercatori hanno stratificato i partecipanti per categorie di risultati globali di miglioramento delle malattie renali (KDIGO), in base al tasso di filtrazione glomerulare stimato (eGFR) e al rapporto albumina-creatinina urinaria (UACR). Le categorie sono state definite come a rischio basso, moderato, alto e molto alto, pari rispettivamente al 32%, 29,1%, 21,9% e 17% dei partecipanti.

Nel braccio placebo, rispetto alle categorie a basso rischio, i partecipanti a rischio più elevato hanno evidenziato un tasso più lento di declino dell’eGFR, ma un rischio più elevato per un evento renale composito.

Empagliflozin ha ridotto il rischio di morte cardiovascolare (CV) o ricoveri per HF in modo simile in tutte le categorie KDIGO, con un HR di 0,81 per i partecipanti a basso rischio (IC 95%, 0,66-1,01), 0,63 per i partecipanti a rischio moderato (IC 95%, 0,52-0,76), 0,82 per i partecipanti ad alto rischio (IC 95%, 0,68-0,98) e 0,84 per i partecipanti ad alto rischio (IC 95%, 0,71-1,01; P come trend =0,3).

«Empagliflozin ha ridotto il tasso di declino dell’eGFR sia che fosse stimato in termini di pendenza cronica, pendenza totale o pendenza non confusa» scrivono i ricercatori. Se confrontato con la pendenza non confusa, l’entità dell’effetto sulla pendenza cronica era maggiore e l’effetto sulla pendenza totale era minore.

Nello studio EMPEROR-Reduced, i partecipanti a più basso rischio avevano ottenuto il maggiore effetto di empagliflozin sulla pendenza dell’eGFR; tuttavia, i ricercatori non hanno osservato questo effetto tra i partecipanti a EMPEROR-Preserved.

I quattro concetti importanti da ricordare
«Ciò sta indicare diversi messaggi importanti» rilevano Butler a coautori.

Butler ha detto infine che è necessaria più ricerca per comprendere meglio la sicurezza e il beneficio degli inibitori SGLT2 nelle persone con diabete di tipo 1 e diabete di tipo 2 a basso rischio, così come nei pazienti nel post-infarto miocardico (post-IM) e in dialisi.

Incoraggiato l’uso di inibitori SGLT2 anche nella CKD grave
I risultati di Butler e colleghi, insieme ai dati di EMPA-Kidney, dimostrano la sicurezza degli inibitori SGLT2 in contesti con valori ridotti di eGFR e incoraggiano il loro uso, anche nella malattia renale cronica grave (CKD), scrivono in un editoriale correlato Søren L. Kristensen, del dipartimento di Cardiologia presso l’ospedale universitario di Copenhagen (Danimarca) e colleghi.

«Empagliflozin è stato recentemente proposto come trattamento per i pazienti in dialisi cronica, con diabete di tipo 1 e per le malattie CV. Sono inoltre in corso ampi studi nel post-IM e si potrebbe ulteriormente ipotizzare che l’inibizione SGLT2 debba essere valutata in condizioni più rare come l’ipertensione arteriosa polmonare e in pazienti con trapianto di cuore» ricordano Kristensen e colleghi.

«È difficile non essere entusiasti dell’uso e dei benefici in modo coerente dagli inibitori SGLT2 e lo studio di Butler e colleghi aggiunge nozioni alla nostra comprensione e indirizza il processo decisionale al momento del trattamenti di pazienti con HF e CKD» concludono.

I “take-home messages”, in sintesi

Fonti:
Butler J, Packer M, Siddiqi TJ, et al. Efficacy of Empagliflozin in Patients With Heart Failure Across Kidney Risk Categories. J Am Coll Cardiol. 2023;81:1902-14. doi: 10.1016/j.jacc.2023.03.390. leggi

Kristensen SL, Jensen J, Schou M. SGLT2 Inhibitors in Patients With Heart Failure and Chronic Kidney Disease: Jigsaw Falling Into Place. J Am Coll Cardiol. 2023;81:1915-7. doi: 10.1016/j.jacc.2023.03.389. leggi

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