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Malattia coronarica stabile: benefici da inibitori di PCSK9 e statine

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Malattia coronarica stabile: ventisei settimane di terapia con inibitori di PCSK9 in aggiunta alle statine massimamente tollerate aumentano i marcatori di stabilità di placca

Ventisei settimane di terapia con inibitori di PCSK9 in aggiunta alle statine massimamente tollerate aumentano i marcatori di stabilità di placca in pazienti con malattia coronarica stabile e potrebbero, in futuro, fornire indizi su come identificare coloro che potrebbero trarre maggiore beneficio dall’intensificazione dei farmaci ipolipemizzanti assunti e quali agenti potrebbero essere più adatti allo scopo. Sono questi i risultati dello studio YELLOW III, presentati a New Orleans, nel corso del meeting annuale dell’American College of Cardiology/World Congress of Cardiology (ACC/WCC 2023).

Evolocumab in add-on ha prodotto un aumento «significativo e sostanziale» dello spessore minimo del cappuccio fibroso della placca (FCT) alla tomografia a coerenza ottica (OCT) e una riduzione dell’indice di carico lipidico del nucleo (LCBI) alla spettroscopia nel vicino infrarosso (NIRS) nelle lesioni angiograficamente non ostruttive, ha detto il ricercatore capo Annapoorna S. Kini, del Mount Sinai Hospital di New York.

Studi precedenti hanno stabilito la capacità dell’inibizione di PCSK9 di ridurre il rischio cardiovascolare (CV) residuo nei pazienti trattati con statine, ha osservato Kini. Sia le linee guida europee sulla dislipidemia del 2019 che le linee guida sul colesterolo dell’ACC/American Heart Association (AHA) del 2018 raccomandano l’uso di inibitori di PCSK9 in pazienti con coronaropatia (CAD) stabile se non si ottiene un sufficiente abbassamento delle LDL alle dosi massime tollerate di statine ed ezetimibe.

Lo studio GLAGOV ha dimostrato riduzioni del volume percentuale di ateroma all’ecografia intravascolare (IVUS) in pazienti CAD stabili, mentre gli studi HUYGENS e PACMAN-AMI hanno mostrato, in pazienti con infarto miocardico acuto, rispettivamente ispessimento delle placche fibrose all’OCT e  un calo della LCBI massima (maxLCBI4millimetri) alla NIRS.

Il precedente studio YELLOW II di Kini e colleghi, sempre nella CAD stabile, ha utilizzato la stessa gamma di modalità di imaging per dimostrare che la terapia con statine ad alta intensità aiuta a sostenere la morfologia della placca vulnerabile.

Imaging multimodale in pazienti stabili con lesioni non ostruttive
Per il presente studio, i ricercatori di YELLOW III si sono rivolti a evolocumab in pazienti già in terapia massimale con statine, cercando sia segni di stabilizzazione della placca che marcatori genetici dell’attività farmacologica nelle cellule mononucleate del sangue periferico (PBMC).

Lo studio ha esaminato più di 300 pazienti sottoposti a intervento coronarico percutaneo (PCI) e ha anche riscontrato un’ulteriore lesione non colpevole (‘culprit’) e non ostruttiva (stenosi del 30-50%). Dopo l’imaging OCT e NIRS/IVUS della lesione secondaria eseguito dopo intervento coronarico percutaneo (PCI) dei vasi culprit, 137 pazienti sono stati identificati come affetti da placche ricche di lipidi nonostante terapia con statine di intensità moderata o elevata; 110 pazienti hanno infine completato le 26 settimane di terapia con inibitori di PCSK9.

Il colesterolo totale, il colesterolo LDL e il rapporto colesterolo totale/HDL sono tutti diminuiti durante le 26 settimane di terapia con evolocumab, mentre il calo dei trigliceridi non è stato statisticamente significativo e i guadagni in termini di colesterolo HDL sono stati nominali.

In linea con queste riduzioni di LDL, tuttavia, entrambi i parametri OCT e NIRS – gli endpoint primari dello studio – sono cambiati significativamente dal basale a 26 settimane. All’OCT, l’FCT è aumentato da 70,9 μm a 97,7 μm e il maxLCBI4millimetri  NIRS è sceso da 306,8 a 213,1 (P < 0,001, in entrambi i casi).

Questi risultati primari sono stati corroborati da una serie di endpoint di imaging secondari su OCT e IVUS, incluso un calo del volume totale dell’ateroma. Nel complesso, ha osservato Kini, la prevalenza di fibroateroma a cappuccio sottile vulnerabile ad alto rischio è scesa dal 48% al 13%; lo spessore del cappuccio fibroso è aumentato nell’80% dei pazienti.

«Questo è il primo studio di imaging multimodale in pazienti stabili con lesioni non ostruttive e livelli più bassi di LDL-C al basale, rispetto agli studi precedenti, e supporta ulteriormente l’abbassamento lipidico aggressivo nella popolazione dei pazienti» ha concluso Kini.

Obiettivo: identificare biomarcatori predittivi di riposta al trattamento
Un obiettivo chiave della serie di studi YELLOW è la caratterizzazione genotipica della risposta del paziente alle statine e agli inibitori di PCSK9: entrambi i farmaci sono associati a miglioramenti nella stabilizzazione della placca, in misura diversa, ma non solo funzionano in modo diverso in pazienti diversi: alcuni pazienti non ne traggono alcun beneficio.

La speranza è che la componente genetica della serie di studi YELLOW, utilizzando modelli di ‘deep learning’ derivati da geni differenzialmente espressi nelle PBMC, porti all’identificazione di test di biomarcatori in grado di prevedere chi possa trarre il massimo beneficio dai diversi approcci all’abbassamento dei lipidi.

«I dati trascrittomici delle PBMC ci permetteranno di creare modelli predittivi per rilevare i soggetti che dimostrano la maggiore risposta per quanto riguarda la morfologia della placca alla terapia di inibizione di PCSK9» ha sottolineato Kini.

I messaggi-chiave
Kini ha riconosciuto che la maggior parte dei cardiologi non ha esperienza con l’imaging intravascolare avanzato utilizzato in YELLOW III, né con la genomica trascrizionale nella pratica quotidiana.

Per ora, ha sottolineato, i messaggi-chiave dovrebbero essere che l’intensificazione dell’abbassamento LDL è importante e ha effetti misurabili sulle placche coronariche che probabilmente riducono eventi secondari. Un altro messaggio chiave è che le conoscenze raccolte in studi come questo aiuteranno i medici a personalizzare le terapie per i loro pazienti.

Il primo passo, ha affermato, dovrebbe essere la modifica dello stile di vita – esercizio fisico e dieta – seguita dall’inizio e dall’intensificazione delle statine. Le persone trattate con statine con più fattori di rischio sarebbero quelle in cui un biomarcatore potrebbe alla fine essere utile per decidere se un inibitore di PCSK9, o alcuni degli altri farmaci emergenti, possa aiutare a ridurre le LDL e le placche più stabili.

Fonte:
Kini AS. Effect of evolocumab on coronary plaque characteristics in stable coronary artery disease: a multimodality imaging study (the YELLOW III study). Presented at: ACC/WCC 2023. New Orleans, LA.

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