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Carcinoma uroteliale: per avelumab in mantenimento conferme dall’Italia

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Nei pazienti con carcinoma uroteliale localmente avanzato o metastatico, conferme di efficacia per il trattamento con l’anti-PD-L1 avelumab in mantenimento

Nei pazienti con carcinoma uroteliale localmente avanzato o metastatico, il trattamento con l’anti-PD-L1 avelumab in mantenimento, dopo una terapia di prima linea a base di platino, mostra in un contesto di ‘real life’ un’efficacia comparabile a quella osservata nello studio registrativo JAVELIN Bladder 100.

Lo confermano i dati dello studio italiano READY, in cui i pazienti affetti da carcinoma uroteliale sono stati trattati con avelumab in mantenimento nell’ambito di un programma di uso compassionevole, prima dell’ottenimento della rimborsabilità da parte dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa). I risultati dello studio sono presentati di recente al Genitourinary Cancers Symposium dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO-GU).

i dati mostrano che mediana della sopravvivenza globale (OS) non è stata raggiunta, mentre il tasso di OS è risultato del 69,2% (IC al 95% 64,8%-73,7%) a 12 mesi dall’inizio del mantenimento con avelumab. Invece, la mediana della sopravvivenza libera da progressione (PFS) è risultata di 8,1 mesi con un tasso di PFS a 12 mesi del 44,3% (IC al 95% 39,5%-49,1%).

«Nel complesso, questi dati di ‘real life’ consolidano i risultati dello studio JAVELIN Bladder 100 e forniscono un supporto ulteriore al ruolo di avelumab in mantenimento, dopo la chemioterapia di prima linea, come standard di cura per i pazienti con carcinoma uroteliale localmente avanzato o metastatico considerati eleggibili al trattamento», scrivono Lorenzo Antonuzzo, dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi di Firenze, e i suoi colleghi nel poster presentato all’ASCO-GU.

Lo studio JAVELIN Bladder 100
Lo studio JAVELIN Bladder 100 è un trial multicentrico internazionale, randomizzato in aperto, nel quale il mantenimento con avelumab in prima linea, in combinazione con la migliore terapia di supporto, è stato confrontato con sola la migliore terapia di supporto in pazienti con carcinoma uroteliale localmente avanzato trattati con una chemioterapia a base di platino e la cui malattia non era progredita dopo il trattamento.

I dati di follow-up a lungo termine (38 mesi) dello studio JAVELIN Bladder 100 hanno dimostrato che il mantenimento con avelumab combinato con la migliore terapia di supporto si è associato a un’OS mediana di 23,8 mesi, rispetto a 15,0 mesi con la sola terapia di supporto (HR 0,76; IC al 95% 0,631-0,915; P = 0,0036) e a una PFS mediana rispettivamente di 5,5 mesi contro 2,1 mesi (HR 0,54; IC al 95% 0,457-0,645; P < 0,0001).

Sulla base dei risultati dello studio JAVELIN Bladder 100, avelumab è stato approvato in molti Paesi ed è attualmente disponibile come terapia di mantenimento di prima linea nei pazienti con carcinoma uroteliale localmente avanzato o metastatico ed è ora raccomandato come standard di cura nelle linee guida internazionali.

Lo studio ‘real life’ italiano
Lo studio READY è un trial prospettico, non interventistico, a cui hanno partecipato 140 centri italiani e che ha incluso 464 pazienti con carcinoma uroteliale localmente avanzato o metastatico rappresentativi della pratica clinica e con caratteristiche simili a quelle dei pazienti arruolati in precedenti studi clinici.

I partecipanti di 18 anni o più, dovevano presentare un tumore uroteliale localmente avanzato non resecabile o metastatico (stadio IV), nessuna progressione della malattia dopo quattro-sei cicli di chemioterapia a base di platino e aver ricevuto l’ultima dose di chemioterapia da 4 a 10 settimane prima di iniziare il trattamento con avelumab. Inoltre, dovevano avere un performance status ECOG di 0 o 1 e un’adeguata funzionalità midollare, renale ed epatica. Infine, non dovevano essere stati sottoposti a una terapia sistemica adiuvante o neoadiuvante nei 12 mesi precedenti, o a un trattamento con un inibitore dei checkpoint immunitarii o presentare una controindicazione ad avelumab.

I partecipanti sono stati trattati con avelumab alla dose di 800 mg somministrati per via endovenosa ogni 2 settimane.

Nello studio, l’OS è stata definita come il tempo trascorso tra l’inizio del trattamento con avelumab e il decesso per qualsiasi causa, mentre la PFS come il tempo trascorso tra l’inizio del mantenimento con avelumab e la progressione della malattia o il decesso per qualsiasi causa, a seconda dell’evento che si è verificato prima.

Caratteristiche dei pazienti
Complessivamente, sono stati trattati con avelumab 464 pazienti tra il gennaio 2021 e il marzo 2022. La popolazione analizzata era rappresentata per lo più da uomini (78,4%) e da soggetti con malattia metastatica (73,9%) e con un performance status ECOG pari a 0 (69,2%). L’età mediana dei partecipanti era di 70 anni (range inter quartile [IQR]: 63-76). Nel 66,6% dei casi il tumore primario era localizzato nel tratto inferiore, mentre nel 31,9% nel tratto superiore.

Per quanto riguarda la chemioterapia di prima linea effettuata prima del mantenimento con avelumab, circa la metà dei partecipanti (51,9%) era stata trattata con un regime a base di carboplatino e gemcitabina, mentre la restante parte (46,1%) con cisplatino più gemcitabina. Inoltre, poco meno della metà dei pazienti (48,5%) aveva effettuato quattro cicli di chemioterapia, l’11,6% cinque cicli e il 38,2% sei cicli. L’11% dei pazienti aveva ottenuto una risposta completa alla chemioterapia di prima linea, il 57,3% una risposta parziale e il 31,7% uno stabilizzazione della malattia.

Il tempo mediano trascorso dalla fine della chemioterapia all’inizio del mantenimento con avelumab è stato di 8,0 settimane (IQR, 6,0-9,0) in 386 pazienti, mentre per tutti i pazienti la durata mediana della terapia con avelumab è stata di 5,3 mesi (IQR, 2,4-9,1). Al momento del cutoff dei dati, i pazienti in cui si potevano valutare OS e PFS erano 411.

Dati di sicurezza limitati
Durante il trattamento con avelumab hanno sviluppato eventi avversi di grado 3 o 4 33 pazienti (il 7,1%).

Tuttavia, osservano gli autori, l’incidenza degli eventi aversi potrebbe essere stata sottostimata, in quanto questi venivano riferiti a discrezione del medico curante. Inoltre, aggiungono, la durata del follow-up è limitata.

Ciononostante, sottolineano Antonuzzi e i colleghi, i risultati si sono ottenuti in centri rappresentativi della pratica clinica di routine e ed evidenziano la presenza di un beneficio clinico (di avelumab, ndr)  in un gruppo che comprendeva con un’alta percentuale di pazienti con carcinoma uroteliale del tratto superiore o trattati con una chemioterapia a base di carboplatino.

Bibliografia

  1. Antonuzzo, et al. READY: Real-world data from an Italian compassionate use program of avelumab first-line maintenance treatment for locally advanced or metastatic urothelial carcinoma. J Clin Oncol. 41, 2023; 43: (suppl 6):469. doi: 10.1200/JCO.2023.41.6_suppl.469.

https://meetings.asco.org/abstracts-presentations/216757

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