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Ipertensione arteriosa refrattaria: focus sulla denervazione renale

Impulsi elettrici per combattere l'ipertensione

La denervazione renale riduce in modo sicuro ed efficace la pressione arteriosa, ma non è indicata in tutti i pazienti con ipertensione

La denervazione renale riduce in modo sicuro ed efficace la pressione arteriosa (PA), ma non è indicata in tutti i pazienti con ipertensione e non dovrebbe essere eseguita in ogni laboratorio di cateterismo, secondo una dichiarazione di consenso – pubblicata online su “EuroIntervention” – del Council on Hypertension dell’European Society of Cardiology (ESC) e dell’European Association of Percutaneous Cardiovascular Interventions (EAPCI).

In aggiunta alle modifiche dello stile di vita e ai farmaci antipertensivi, la procedura può essere presa in considerazione nei pazienti con ipertensione non controllata nonostante il trattamento con almeno tre farmaci, come confermato dalle misurazioni ambulatoriali della PA, scrivono gli autori, coordinati da Emanuele Barbato, della Sapienza Università di Roma e presidente dell’EAPCI.

La denervazione renale, già approvata dalle autorità regolatorie in Europa ma non ancora dalla Food and Drug Administration (FDA) statunitense, può anche essere considerata nei pazienti che non sono in grado o non vogliono assumere farmaci antipertensivi a lungo termine, aggiungono gli estensori del documento.

È importante sottolineare che dovrebbe esserci un processo decisionale condiviso con un paziente ben informato che includa la considerazione del rischio cardiovascolare globale, del danno d’organo mediato dall’ipertensione e/o delle complicanze cardiovascolari, nonché il contributo di un team multidisciplinare per l’ipertensione, prima che la procedura venga eseguita, raccomandano gli autori.

«Non c’è dubbio che il metodo funzioni e abbassi la PA, ma spero che i clinici capiscano che questa non è una cura per l’ipertensione» afferma l’autore senior Felix Mahfoud, dell’Universitätsklinikum des Saarlandes di Homburg (Germania), segretario dell’ESC Council on Hypertension. «Ma oltre allo stile di vita e ai farmaci antipertensivi, in alcuni pazienti, è un approccio appropriato e interessante per abbassare la PA».

Prove di efficacia e sicurezza accumulate negli ultimi 15 anni
Spiegando la necessità della nuova dichiarazione di consenso, Mahfoud e colleghi osservano che le linee guida sull’ipertensione del 2018 dell’ESC e dell’European Society of Hypertension (ESH) contengono una raccomandazione contro l’uso di terapie basate su dispositivi come la denervazione renale per il trattamento di routine fino a quando non fossero state disponibili ulteriori prove relative a sicurezza ed efficacia.

Da allora, diversi studi randomizzati e controllati con sham hanno riportato risultati; di questi studi, la maggior parte ha raggiunto i loro endpoint primari e ha dimostrato che la denervazione renale – con cateteri a radiofrequenza o ultrasuoni – abbassa in modo sicuro la PA. Questi risultati hanno permesso una rinascita della tecnica e, nel 2021, l’ESH ha rilasciato una dichiarazione che pone la denervazione renale come terza opzione principale per il trattamento dell’ipertensione, insieme alla modifica dello stile di vita e alla terapia farmacologica.

Ma in attesa della prossima iterazione completa delle linee guida europee sull’ipertensione, prevista nel 2024, la comunità medica aveva bisogno di informazioni aggiornate per guidare la pratica sull’uso della denervazione renale, una lacuna colmata appunto da questa nuova dichiarazione, affermano Mahfoud e colleghi.

In questo documento, gli autori esaminano tutte le prove accumulate negli ultimi 15 anni su sicurezza e l’efficacia della procedura e forniscono indicazioni su selezione dei pazienti, requisiti per i centri, aspetti procedurali e considerazioni per i futuri disegni degli studi.

Nel complesso, le prove degli studi dimostrano che la denervazione renale riduce significativamente la PA ed è sicura, con tassi di complicanze coerenti con le procedure che coinvolgono l’accesso arterioso transfemorale e con tassi di stenosi dell’arteria renale de novo e di peggioramento della funzionalità renale che ci si possono attendere in una popolazione ipertesa. Negli studi, tuttavia, è stata arruolata una gamma di pazienti così ampia che si è ritenuto necessario cercare di identificare quelli che sarebbero stati i candidati migliori per la procedura, spiegano Mahfoud e coautori.

Inserendo alcuni parametri in base ai tipi di pazienti che possono essere trattati, gli autori indicano quelli con ipertensione non controllata confermata in trattamento con almeno tre farmaci, tra cui un diuretico, e con una filtrazione glomerulare stimata (eGFR) =/> 40 ml/min/1,73 m2. «Si consiglia vivamente di escludere le cause secondarie di ipertensione prima di prendere in considerazione la denervazione renale» scrivono.

Raccomandazioni su team multidisciplinari e tipo di formazione
Le decisioni sulla denervazione renale dovrebbero essere guidate da un team multidisciplinare che includa esperti in ipertensione e interventi cardiovascolari percutanei. Questi team, specificano gli autori, in alcuni centri potrebbero anche includere cardiologi clinici, angiologi e nefrologi.

La dichiarazione espone anche raccomandazioni riguardanti il tipo di formazione che dovrebbe essere effettuata prima di iniziare un programma di denervazione renale e fornisce indicazioni sull’imaging pre-procedurale, sulla preparazione del paziente oltre a considerazioni procedurali.

La procedura dovrebbe essere fatta in «centri di eccellenza» scrivono Mahfoud e colleghi. «Crediamo che questo metodo non dovrebbe essere effettuato in ogni laboratorio di cateterismo, perché non riguarda solo la procedura, ma anche la selezione dei pazienti e l’esclusione delle cause secondarie di ipertensione. C’è bisogno di centri addestrati negli interventi sulle arterie renali e, sebbene la procedura sembri essere molto sicura, è importante poter gestire le potenziali complicanze in modo appropriato».

Questioni ancora aperte
Sebbene la denervazione renale abbia dimostrato di ridurre la PA, ci sono alcune aree di ricerca che richiedono maggiore approfondimento, affermano gli autori. Per prima cosa, non tutti i pazienti rispondono all’intervento, e non ci sono stati molti progressi nel trovare modi per identificare tale gruppo, cosa che permetterebbe di stilare raccomandazioni più precise sui pazienti che non dovrebbe essere trattati con questa procedura.

Inoltre, ci si potrebbe chiedere se ci sia ancora bisogno di un ampio studio statisticamente potenziato in termini di esiti clinici al fine di dimostrare che la denervazione renale non solo abbassi la PA, ma riduca anche altri endpoint rilevanti come l’ictus. Tale sperimentazione sarebbe impegnativa perché richiederebbe circa 20.000 pazienti, spiegano Mahfoud e coautori. «Ma potenzialmente non è neanche necessaria» aggiungono «perché la PA è un indice surrogato molto forte» per morbilità e mortalità.

Infine, oltre all’ipertensione, la denervazione renale viene valutata per condizioni come la fibrillazione atriale, l’insufficienza cardiaca e la tachicardia ventricolare. Si stima che i risultati di questi studi inizieranno a essere disponibili nei prossimi 2 o 3 anni, concludono gli autori.

Bibliografia:
Barbato E, Azizi M, Schmieder RE, et al. Renal denervation in the management of hypertension in adults. A clinical consensus statement of the ESC Council on Hypertension and the European Association of Percutaneous Cardiovascular Interventions (EAPCI). EuroIntervention. 2023 Feb 15. doi: 10.4244/EIJ-D-22-00723. [Epub ahead of print] leggi

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