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Linfoma a cellule T: brentuximab vedotin e gemcitabina efficaci

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Linfoma a cellule T periferico recidivato/refrattario: tassi di risposta promettenti e risposte durature con brentuximab vedotin più gemcitabina

Nei pazienti con linfoma a cellule T periferico recidivante/refrattario, CD30-positivi (CD30+), l’aggiunta del coniugato anticorpo-farmaco (ADC) brentuximab vedotin alla gemcitabina si associa a una buona attività antitumorale, con soddisfacenti tassi di risposta. Lo evidenziano i risultati di uno studio di fase 2 condotto in Francia e in Belgio, lo studio TOTAL, presentato al congresso dell’American Society of Hematology (ASH), a New Orleans.

Infatti, nella popolazione dello studio trattata con questa combinazione (seguita da un mantenimento con brentuximab vedotin) si è osservato un tasso di risposta obiettiva (ORR) del 46,5%, con un tasso di risposta completa del 19,7%.

Inoltre, nei pazienti che hanno risposto al trattamento, la durata della risposta (DOR) ha superato i 15 mesi e un gruppo di pazienti ha ottenuto una remissione duratura, il che suggerisce il valore del mantenimento con brentuximab vedotin.

Come previsto, si sono ottenuti risultati migliori nel sottogruppo di pazienti con linfoma anaplastico a grandi cellule sistemico (ALCL), un tipo di linfoma a cellule T periferico, ma la combinazione è risultata efficace anche negli altri pazienti.

Necessario migliorare i tassi di risposta
Il linfoma a cellule T periferico è un tipo di linfoma non-Hodgkin caratterizzato da una cattiva prognosi e un alto tasso di ricadute. Il tempo mediano dalla diagnosi alla prima ricaduta è di soli 6-7 mesi e la sopravvivenza dei pazienti ricaduti o refrattari non supera i 6 mesi.

Brentuximab vedotin è attualmente approvato in monoterapia per i pazienti con ALCL ricaduto/refrattario e in associazione con la chemioterapia (ciclofosfamide, doxorubicina e prednisone) come terapia di prima linea per questi pazienti. Tuttavia, non ci sono molti dati relativi a pazienti con altri tipi di linfoma a cellule T periferico.

Gli autori dello studio, coordinati da Olivier Tournilhac, dell’Università di Clermont-Ferrand, in Francia, hanno quindi progettato lo studio TOTAL, nel quale hanno provato a combinare brentuximab vedotin con la gemcitabina, con l’obiettivo di migliorare gli outcome, in una popolazione di pazienti con linfoma a cellule T periferico con diverse istologie.

Lo studio TOTAL
Lo studio TOTAL (NCT03496779) è un trial di fase 2 cha ha arruolato fra l’aprile 2018 e l’ ottobre 2019 71 pazienti con linfoma a cellule T periferico confermato CD30+ (con un’espressione di CD30 ≥ 5%), con malattia misurabile, già trattati con non più di tre precedenti terapie (esclusi brentuximab vedotin e gemcitabina), e con un performance status ECOG < 3.

I partecipanti sono stati sottoposti a una terapia di induzione per quattro cicli di 28 giorni ciascuno con gemcitabina 1000 mg/m² somministrata il giorno 1 e il giorno 15 più brentuximab vedotin 1,8 mg/kg il giorno 8, seguiti, nei pazienti che ottenevano una risposta completa o parziale e non erano idonei per il trapianto di cellule staminali emopoietiche, da una terapia di mantenimento con un massimo di 12 cicli (di 21 giorni ciascuno) di brentuximab vedotin 1,8 mg/kg.

L’endpoint primario era l’ORR valutato mediante i criteri di Lugano (basati sull’impiego della Tac), mentre fra gli endpoint secondari vi erano valutare il mantenimento con brentuximab vedotin e l’impatto sia dell’espressione di CD30 sia del CD30 solubile (sCD30) sulla risposta e sulla sopravvivenza.

Le caratteristiche dei pazienti
L’età mediana dei partecipanti era di 66 anni (range: 20-79).

Per quanto riguarda l’istologia, il 47,9% dei pazienti aveva un linfoma a cellule T periferico con fenotipo T-follicular helper (TFH), il 12,7% un linfoma a cellule T periferico non altrimenti specificato, il 19,7% un ALCL ALK-negativo, il 7% un ALCL ALK-positivo e i pazienti rimanenti avevano altri tipi di linfoma.

La stragrande maggioranza dei pazienti (91,6%) era in stadio III-IV e il 77,5% aveva un performance status ECOG pari a 0 o 1.

Inoltre, l’80,3% dei pazienti aveva effettuato una sola linea di terapia in precedenza, il 15,5% ne aveva effettuate due e il 4,2% tre. Infine , il 39,4% era risultato refrattario all’ultima terapia effettuata prima dello studio.

Risultati di risposta e sopravvivenza
Nell’analisi intent-to-treat, 33 pazienti (il 46,5%) hanno risposto al trattamento di induzione con brentuximab vedotin e gemcitabina, di cui 14 (19,7%) in modo completo e 19 (il 26,8%) in modo parziale.

Dei 33 pazienti che hanno risposto alla terapia di induzione, 27 hanno iniziato il mantenimento con il solo brentuximab vedotin, così come pure un paziente non responder, e il numero mediano di cicli di terapia di mantenimento con l’ADC è risultato pari a 9 (range: 1-12).

Dopo un follow-up mediano di 32,6 mesi (range: 0,5-45), la mediana di sopravvivenza libera da progressione (PFS) è risultata di 4,5 mesi (IC al 95% 3,5-10) e la mediana di sopravvivenza globale (OS) pari a 12,9 mesi (IC al 95% 9-29,6). «Questi valori di PFS e OS sono più lunghi rispetto a quelli riportati in altri studi, di tipo retrospettivo», ha sottolineato Tournilhac.

Fra i 33 pazienti che hanno risposto all’induzione con brentuximab vedotin e gemcitabina, la durata della risposta (DOR) è risultata di 15,8 mesi (IC al 95% 10,4-NA).

Nell’analisi univariata, l’ORR è risultato influenzato negativamente da livelli elevati di LDH (P = 0,008) e si è evidenziata un ‘associazione negativa fra PFS e OS, da un alto, e uno stato di refrattarietà della malattia al momento dello screening (P = 0,031 e P = 0,007) e un’istologia diversa dall’ALCL (P = 0,049 e P = 0,041), dall’altro.

Livelli basali di sCD30 correlati con gli outcome
Al fine di identificare biomarcatori utili per prevedere quali pazienti potrebbero beneficiare maggiormente della terapia basata su brentuximab vedotin, al di là del sottotipo ALCL, Tournilhac e i colleghi hanno provato a eseguire varie analisi per valutare l’impatto sugli outcome del trattamento sia dell’espressione di CD30 sulle cellule tumorali sia dei livelli di sCD30. L’espressione di CD30 è stata studiata su campioni tumorali raccolti al momento dello screening (55,5%) o (se non disponibili) della diagnosi (39,7%) o della precedente recidiva (4,8%).

Nei pazienti con ALCL, l’espressione del CD30 (misurata mediante immunoistochimica, IHC) è risultata elevata (92,5% di cellule tumorali positive) e anche il livello di sCD30 (misurato mediante ELISA) in questi pazienti è risultato elevato (88,2%) e superiore rispetto ai pazienti con un linfoma con istologia diversa, nei quali i livelli di sCD30 sono risultati da 7 a 10 volte più bassi.

Nell’intera popolazione valutata, l’autore ha spiegato che l’espressione di CD30 all’IHC (con un cut-off del 10%) non è risultata predittiva della PFS, mentre i livelli di sCD30 basali hanno mostrato un significato prognostico in relazione a questo endpoint.

Tournilhac e i colleghi hanno quindi ristretto l’analisi al gruppo di pazienti con linfomi diversi dall’ALCL, nei quali hanno riscontrato un impatto elevato di livelli basali di sCD30 >120 ng/ml sulla PFS, ma anche su altri endpoint (ORR, DOR e OS), mentre l’espressione di CD30 sulle cellule tumorali, di nuovo, non sembra aver influenzato i risultati.

«In linea con quanto riportato in precedenza, non abbiamo riscontrato un chiaro impatto dell’espressione di CD30 sulle cellule tumorali, tuttavia i livelli sierici basali di sCD30 all’inizio del trattamento sono risultati fortemente correlati sia con la risposta sia con i parametri di sopravvivenza, specialmente nei pazienti con linfomi diversi dall’ALCL», ha detto Tournilhac. «Pertanto, i livelli sierici basali sCD30 sembrano essere un biomarker predittivo promettente dell’efficacia di brentuximab vedotin», ha aggiunto.

I dati di sicurezza
Parlando della sicurezza del trattamento, l’autore ha affermato che «La combinazione di brentuximab vedotin e gemcitabina seguita dal mantenimento con il solo brentuximab vedotin è stata generalmente ben tollerata e il tasso di neuropatia periferica riportato è risultato in linea con quello atteso».

Almeno un evento avverso di ≥3 è stato registrato nell’81,7% dei pazienti durante il trattamento di induzione con i due farmaci (principalmente neutropenia, 54,9%, anemia, 21,1%, e trombocitopenia, 14,1%) e nel 39,3% durante il mantenimento (principalmente la neutropenia, 21,4%).

Complessivamente è stata registrata una neuropatia periferica nel 12,7% dei pazienti durante l’induzione e nel 50% durante il mantenimento. In toale, ha riferito Tournilhac, si sono registrati 23 casi di neuropatia periferica, ma la maggior parte è stata di grado lieve (1/2) e nel 67,5% dei casi il problema si è risolto.

I pazienti che hanno dovuto interrompere il trattamento a causa di eventi avversi sono stati il 12,7% (9 su 71) durante l’’induzione e il 28,6% (8 su 28) durante il mantenimento.

Bibliografia
O. Tournilhac, et al. Addition of Brentuximab Vedotin to Gemcitabine in Relapsed or Refractory T-Cell Lymphoma: Final Analysis of a Lysa Multicenter, Phase II Study. “the TOTAL Trial”. ASH 2022; abstract 956. Link

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