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Lupus: identificato in vecchio studio un nuovo biomarcatore

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Lupus: un’analisi che ha rivisitato i dati dello studio di fase 2b BEAT-LUPUS sull’impiego di belimumab dopo rituximab ha identificato un nuovo biomarcatore

Uno studio recentemente pubblicato su The Lancet Rheumatology (1), che ha rivisitato i dati dello studio di fase 2b BEAT-LUPUS sull’impiego di belimumab dopo rituximab nei pazienti con lupus refrattari alla terapia convenzionale, suggerisce che i livelli di anticorpi IgG anti -dsDNA potrebbero essere in grado si predire la risposta alle terapie aventi come bersaglio le cellule B (rituximab e belimumab) in questi pazienti.

Tali risultati dimostrano come sia possibile utilizzare le terapie “a target” per studiare i  meccanismi d’azione e chiarire l’immunopatogenesi di un endotipo di lupus che è specificatamente responder al belimumab dopo rituximab.

Cenni sullo studio BEAT-LUPUS e obiettivi della nuova analisi dati
L’idea di utilizzare belimumab dopo il trattamento con rituximab è venuta a seguito dell’osservazione che la deplezione iniziale delle cellule B indotta da RTX stimola l’attività di Blys (stimolatore delle cellule B) che segnala al midollo osseo la necessità di produrre più cellule B. A sua volta, poi, BEL inibisce Blys, noto anche come fattore di attivazione delle cellule B (BAFF).

Al congresso EULAR del 2019, in uno studio noto come studio Synbiose, era stato dimostrato come l’adozione di un regime di trattamento di combinazione a base di rituximab (RTX) e belimumab (BEL) fosse risultata associata ad una migliore efficacia nel LES in pazienti con malattia severa e refrattaria ai trattamenti in essere.

Nello studio BEAT-LUPUS di fase 2b, presentato al Congresso EULAR 2021 – un trial randomizzato e controllato vs. placebo, in doppio cieco, era stato dimostrato che l’utilizzo di belimumab (anziché di placebo) dopo rituximab nel trattamento dei pazienti con lupus refrattari alla terapia convenzionale non solo era in grado di ridurre in modo significativo, i livelli sierici di anticorpi IgG anti -dsDNA (tratto distintivo del LES), ma di prolungare anche considerevolmente i tempi di insorgenza di recidive severe di malattia.

Alla luce di questi risultati, ci si è posti la domanda se una stratificazione dei pazienti (mediante biomarcatori) potesse rivelarsi utile ai fini della selezione del trattamento più appropriato e del miglioramento degli outcome, data la complessità immunopatologica e clinica di questa patologia, associata con la variabilità della risposta alle terapie “a target”.

Su questi presupposti è stato implementato il nuovo studio, nel corso del quale i ricercatori, utilizzando campioni di pazienti reclutati nello studio BEAT-LUPUS, si sono proposti l’obiettivo di identificare dei biomarcatori di risposta al belimumab posposto a rituximab nell’ottica di un approccio personalizzato alla terapia e di un approfondimento dei meccanismi d’azione che potrebbe portare allo sviluppo di nuove strategie terapeutiche.

Disegno dello studio
Lo studio BEAT-LUPUS (multicentrico, randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, a gruppi paralleli, di fase 2b, condotto nel Regno Unito) aveva reclutato pazienti di età compresa tra 18 e 75 anni refrattari al trattamento convenzionale, con positività al test per gli anticorpi anti-dsDNA almeno una volta nei 5 anni precedenti la randomizzazione al trattamento sequenziale rituximab-belimumab o rituximab-placebo.

Nell’ambito di questa analisi esplorativa, sono stati analizzati anche altri campioni di siero provenienti da due coorti indipendenti di pazienti con LES: una coorte trasversale con malattia renale o mucocutanea attiva (coorte di validazione del coinvolgimento d’organo) e una seconda coorte trattata con il solo belimumab (coorte di solo belimumab).

Il principale outcome clinico utilizzato per questa analisi esplorativa è stato quello della risposta clinica principale, definita come una riduzione del punteggio dell’indice British Isles lupus assessment group-2004 (BILAG-2004) di A o B, a un punteggio di C o D, e un punteggio che rimaneva a E in altri domini; una riduzione della dose giornaliera di steroidi a 7,5 mg o inferiore, e un punteggio dell’indice di attività della malattia del lupus eritematoso sistemico modificato 2000 (SLEDAI-2K) pari o inferiore a 2 (senza includere la componente anticorpale anti-dsDNA).

Risultati principali
Dall’analisi dei dati è emerso che il 48% dei pazienti trattati con belimumab e il 35% di quelli trattati con placebo avevano raggiunto l’endpoint sopra indicato della risposta clinica principale ad un anno.

L’analisi basata sull’impiego del machine learning dei profili immunitari e clinici dei partecipanti allo studio trattati con belimumab ha dimostrato che i livelli sierici di IgA2 anti-dsDNA al basale erano in grado di predire in modo significativo la probabilità di raggiungere questo endpoint, con un odds ratio pari a 1,07 per ciascun incremento in unità arbitrarie (AU) della concentrazione di anticorpi anti-DNA a doppia elica.

Un’analisi delle cureve ROC ha mostrato, inoltre, che la concentrazione al basale di questi anticorpi era in grado di predire la risposta clinica principale nei pazienti lupici trattati con belimumab con un’accuratezza dell’88%.
I ricercatori hanno identificato in 10,7 AU il valore di cutoff ottimale per i livelli di anticorpi IgA2 anti-dsDNA (sensibilità pari a 1 e specificità pari a 0,55).

Quando questo valore di cutoff era applicato ad entrambi i gruppi di trattamento dello studio BEAT LUPUS, è emerso che belimumab era associato a tassi significativamente superiori di raggiungimento della risposta clinica principale rispetto a placebo nei pazienti con livelli anticorpali elevati al basale, con una differenza tra gruppi del 48%. Questa differenza perdeva di significatività statistica, riducendosi al 13% senza l’impiego del biomarker in questione.

Le concentrazioni sieriche di anticorpi IgA2 anti-dsDNA sono risultate associate anche a malattia attiva renale, mentre quelle degli anticorpi IgA1 anti-dsDNA e di IFN-α sono risultate associate con l’attività di malattia mucocutanea ma non hanno predetto al risposta alle terapie aventi come bersaglio le cellule B.

I ricercatori, inoltre, hanno studiato anche la presenza di alcuni biomarcatori predittivi di outcome sfavorevole, osservando che i livelli al basale di IL-6 rappresentavano “il più forte predittore sfavorevole” di raggiungimento della risposta clinica principale ad un anno, indipendentemente dal gruppo di trattamento considerato.

Considerazioni conclusive
Nel complesso, “…dai dati dello studio è emerso che le concentrazioni sieriche di anticorpi IgA2 anti-dsDNA rappresentano l’unico biomarcatore predittivo della risposta a belimumab dopo rituximab – scrivono i ricercatori nelle conclusioni del lavoro -. (.,) La concentrazione di anticorpi IgA2 anti-dsDNA nel siero è un biomarcatore tecnicamente semplice da dosare; quindi, potrebbe, essere facilmente introdotta la sua valutazione nella pratica clinica di routine per guidare la selezione dei pazienti e migliorare l’accesso alla terapia combinata con rituximab seguita da belimumab per i pazienti con LES. Gli anticorpi IgA1 anti-dsDNA, invece, potrebbero essere utilizzati per monitorare l’attività della malattia cutanea, mentre gli anticorpi IgA2 anti-dsDNA per monitorare l’attività della malattia renale nel LES. È comunque necessaria un’ulteriore validazione dei risultati fin qui ottenuti in uno studio di dimensioni più ampie”.

Bibliografia

1) Lancet Rheumatol 2022; doi:10.1016/S2665-9913(22)00332-0

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