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Scompenso cardiaco: nessun legame con i PCSK9i

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Gli agenti inibitori di PCSK9 – PCSK9i – non sembrano promuovere lo scompenso cardiaco secondo un nuovo studio

Appaiono rassicuranti i risultati di un nuovo studio genetico caso-controllo – pubblicato online su “JAMA Cardiology” – in quanto non trovano alcuna associazione tra indicatori (proxy) genetici per l’inibizione farmacologica di PCSK9, da un lato, e, dall’altro, per insufficienza cardiaca o rimodellamento cardiaco avverso in una grande coorte basata sulla popolazione. In altre parole, gli agenti inibitori di PCSK9 (PCSK9i) non sembrano promuovere lo scompenso cardiaco.

L’inibizione farmacologica di PCSK9, ora una strategia consolidata per abbassare i livelli di colesterolo LDL, è considerata un grande successo in medicina. Eppure, nonostante i potenti PCSK9i indicati nel trattamento della dislipidemia abbiano evidenziato un profilo di sicurezza complessivamente favorevole, sono emersi timori basati su studi preclinici e un piccolo studio clinico circa l’eventualità che questi farmaci possano promuovere cambiamenti strutturali e funzionali cardiaci.

Ma l’attuale studio osservazionale, molto più ampio, può aiutare ad alleviare tali preoccupazioni. «Sulla base di questi risultati, non crediamo che l’inibizione parziale o completa di PCSK9 possa avere effetti avversi sul cuore. Questi dati sono quindi molto rassicuranti per la sicurezza dei farmaci PCSK9i» scrivono gli autori dello studio, diretti da Linea C. Trudsø, del Laboratorio di Cardiologia Molecolare dell’Univeristà di Copenhagen, Rigshospitalet (Danimarca).

Sebbene diversi studi di grandi dimensioni abbiano mostrato riduzioni del rischio di eventi cardiovascolari nei pazienti trattati con PCSK9i, un recente studio su topi knockout PCSK9 (che non producono la proteina PCSK9) ha rilevato che i topi hanno sviluppato ipertrofia ventricolare sinistra e metabolismo lipidico cardiaco anormale. Un altro studio clinico ha mostrato un aumento della massa ventricolare sinistra in una piccola coorte di 12 individui portatori della mutazione R46L nel gene PCSK9 (che porta a bassi livelli di PCSK9), un dato che può essere utilizzato come proxy per l’inibizione di PCSK9. L’attuale studio condotto sulla UK Biobank è molto più ampio, tuttavia, il che offre risultati molto più significativi, secondo i ricercatori.

Indagate mutazioni missenso e loss-of-function del gene PCSK9
L’attuale studio caso-controllo nidificato tratto dal database UK Biobank si è concentrato su un sottogruppo di partecipanti di cui erano disponibili sia la risonanza magnetica cardiaca (CMR) che i dati genetici. La loro analisi ha incluso 1.237 individui con la mutazione R46L nel gene PCSK9 e altri 40 con una mutazione PCSK9 con perdita di funzione (loss-of-function).

L’R46L è una mutazione missenso, presente in circa il 4-5% della popolazione, ed è associata a una moderata riduzione del colesterolo LDL rispetto alla popolazione generale, spiegano i ricercatori. Ma la mutazione con perdita di funzione abolisce completamente l’espressione del gene PCSK9, e quindi la sintesi di proteina PCSK9, portando alla produzione di livelli di LDL molto più bassi rispetto a quelli osservati nella popolazione generale.

«I geni con perdita di funzione sono molto più rari, ma offrono molte più informazioni quando si studia l’effetto dell’intensa inibizione a lungo termine di PCSK9» osservano Trudsø e colleghi.

Nessuna associazione con alterazioni strutturali alla RM cardiaca
Le scansioni cardiache di individui con mutazioni PCSK9 nel database sono state confrontate con quelle di individui di controllo che non avevano tali mutazioni; le persone sono state abbinate per età, sesso, centro di valutazione e ascendenza genetica. Non sono state osservate associazioni tra le mutazioni di PCSK9 e i segni CMR di ipertrofia ventricolare sinistra, massa ventricolare sinistra, frazione di eiezione ventricolare sinistra. Né le mutazioni erano associate allo sviluppo di insufficienza cardiaca al follow-up a lungo termine.

«I risultati di questo studio caso-controllo suggeriscono che non vi è alcuna associazione tra le varianti genetiche PCSK9 – che rappresentano la riduzione permanente di PCSK9 – e l’alterazione della struttura cardiaca, della funzione cardiaca o insufficienza cardiaca negli esseri umani» riportano gli autori dello studio. «Fondamentalmente, questo studio afferma che gli inibitori PCSK9 sono sicuri».

Dati rassicuranti dopo alcuni trend emersi nell’ODYSSEY Outcomes
Vari studi di fase 3 non hanno suggerito effetti dell’inibizione di PCSK9 sui segni ECG o sull’ospedalizzazione per insufficienza cardiaca, osserva il rapporto. Ma un’analisi post-hoc dello studio di fase 3 ODYSSEY Outcomes, pubblicata all’inizio di quest’anno e che mostra un effetto neutro complessivo dei farmaci sui ricoveri per insufficienza cardiaca, ha visto una tendenza diversa nell’analisi per sottogruppo.

Tra i pazienti trattati con inibitori PCSK9, riportano Trudsø e colleghi, i ricoveri per insufficienza cardiaca sono stati numericamente ridotti nei pazienti inizialmente senza insufficienza cardiaca, ma numericamente più alti in quelli con insufficienza cardiaca al basale.

«Questi effetti non erano statisticamente significativi ed è molto difficile trarre conclusioni da questi dati. Ma alcuni lo hanno interpretato come una red flag sull’uso dei PCSK9i in pazienti con insufficienza cardiaca» spiegano i ricercatori. «I risultati del nostro studio sono rassicuranti in questo senso».

Gli individui nel presente studio avevano un’età compresa tra 40 e 69 anni al basale e avrebbero avuto queste mutazioni sin dalla nascita, fanno notare gli studiosi, «quindi questo è uno studio sugli effetti di bassi livelli di PCSK9 in un tempo di follow-up molto lungo».

Bibliografia:
Trudsø LC, Ghouse J, Ahlberg G, Bundgaard H, Olesen MS. Association of PCSK9 Loss-of-Function Variants With Risk of Heart Failure. JAMA Cardiol. 2022 Dec 21. doi: 10.1001/jamacardio.2022.4798. [Epub ahead of print] leggi

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