Malattie immuno-mediate: i farmaci biosimilari stanno diventando motivo di incertezza per migliaia di pazienti ma anche per coloro, i medici, che devono curarli
Un allarme che non viene solo dai pazienti ma che è condiviso anche dalla comunità scientifica. “Le malattie immuno-mediate– sottolinea la dottoressa Daniela Marotto, presidente di Crei, il Collegio dei reumatologi italiani- sono patologie che, per la loro severità e complessità gestionale sul piano terapeutico, impongono delle attenzioni del tutto particolari in materia di continuità terapeutica e di compliance del paziente, oltre che di equità di accesso alle cure”.
“I biosimilari- aggiunge- hanno rappresentato sin da subito una grande risorsa per i pazienti e per il Ssn al contempo, in quanto hanno permesso di trattare un numero sempre maggiore di pazienti assicurando il controllo delle spese. Ci auguriamo che l’aspetto economico-finanziario non diventi mai il solo e unico parametro di riferimento per il loro impiego”.
Le malattie immuno-mediate o autoimmuni possono interessare organi molto diversi tra loro. Per quanto riguarda le patologie reumatologiche, le più importanti sono l’artrite reumatoide, il lupus, la sclerodermia, le connettiviti e le vasculiti. L’apparato digerente è invece sede di malattie infiammatorie croniche intestinali quali la malattia di Crohn e la colite ulcerosa. Infine, per quanto riguarda la cute, vanno ricordate la psoriasi nelle sue diverse forme e manifestazioni. Una popolazione di pazienti che complessivamente in Italia ammonta oltre 3 milioni.
“Anzitutto il perseguimento assoluto del massimo risparmio possibile genera frequentemente e in corso di terapia il passaggio, improvviso, ripetuto e spesso automatico, da un prodotto ad un altro- osserva la dottoressa Silvia Ostuzzi, dell’Associazione Lombarda malati reumatici– e questo accade prescindendo dal legittimo diritto del paziente ad avere informazioni sulle sue cure e la continuità terapeutica anche in termini di modalità di somministrazione del farmaco, oltre a non tenere in alcun conto il diritto alla libertà prescrittiva del medico che dovrebbe essere l’unico vero dominus nella gestione di queste complesse patologie”.
Ma sono anche altri i motivi che hanno indotto società scientifiche e mondo advocacy a dar vita alla Coalizione per l’Equità di Accesso alle Cure per le malattie immuno-mediate, un tavolo di lavoro che intende portare questi temi all’attenzione delle istituzioni nazionali e regionali, sollecitando risposte e scelte adeguate di politica sanitaria.
Ne fanno parte, con Amici, Apiafco, l’Associazione psoriasici italiani amici della Fondazione Corazza, Anmar, l’Associazione dei malati reumatici con tutte le proprie emanazioni territoriali, Apmarr, l’Associazione persone con malattie reumatiche e rare, Adoi, l’Associazione dermatologi ospedalieri italiani, e Crei. Tutti questi organismi hanno riassunto in un manifesto sociale, presentato in Senato nel corso del convegno sul tema Malattie immuno-mediate: garantire continuità terapeutica e libertà prescrittiva.
Il documento riassume le istanze più urgenti, oltre a evidenziare i preoccupanti condizionamenti per un equo e adeguato accesso alle cure, sottolineando la richiesta che sia restituito ai farmaci biosimilari il fondamentale duplice ruolo originario di strumento di sostenibilità e di facilitatore per l’accesso alle cure.
Nell’occasione, i diversi organismi che hanno dato vita alla Coalizione hanno anche sottoscritto un documento programmatico contenente una call to action con l’impegno di sviluppare un lavoro comune in più direzioni:
Istituire tavoli di confronto con i diversi stakeholder nei quali elaborare indicazioni e raccomandazioni condivise per il soddisfacimento dei bisogni dei pazienti.
“Accade infatti che l‘abbassamento delle basi d’asta nelle gare d’acquisto stia erodendo sempre più lo spazio della concorrenza tra imprese – informa il professor Patrizio Armeni, docente di Practice di Government, Health and Not for Profit, presso SDA Bocconi School of Management – e ciò potrebbe produrre l’effetto di far uscire diverse aziende produttrici dal mercato, limitando così l’offerta di farmaci e creando i presupposti per posizioni contrattuali potenzialmente più condizionanti le scelte dei gestori dei servizi sanitari”. “Ad esempio – prosegue Armeni – queste aziende potrebbero decidere di non partecipare a gare nelle quali il prezzo base non venisse considerato soddisfacente”.