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Inquinamento e pandemia: i risultati del progetto Pulvirus

Due indagini realizzate in Italia e Turchia durante il lockdown del marzo 2020 mostrano le reazioni indotte dagli stereotipi di genere in condizioni di stress sociale e individuale

Come è cambiato l’inquinamento durante il lockdown: i risultati del progetto Pulvirus nato da alleanza ENEA, Sistema nazionale per la protezione ambientale e ISS

Come sono cambiate durante lockdown le emissioni e le concentrazioni di inquinanti atmosferici e di gas a effetto serra? Qual è stata l’influenza sulla composizione chimica del particolato atmosferico? Esiste una associazione tra particolato atmosferico e bioaerosol attraverso il quale si trasferisce il virus SARS-CoV-2? Sono alcuni degli interrogativi ai quali ha cercato di dare risposte il progetto Pulvirus, nato nella primavera del 2020 in piena crisi pandemica dall’alleanza fra ENEA, Istituto Superiore di Sanità (ISS) e Sistema Nazionale per la Protezione Ambientale (SNPA[1]).

“Il Progetto si è articolato in sei obiettivi principali con la finalità di approfondire il discusso legame fra inquinamento atmosferico e diffusione della pandemia, le interazioni fisico-chimiche-biologiche fra polveri atmosferiche e virus, gli effetti del lockdown sulle concentrazioni atmosferiche degli inquinanti e dei gas serra”, ha sottolineato Gabriele Zanini, responsabile scientifico del progetto Pulvirus per ENEA, nel corso del recente evento organizzato dall’Agenzia per illustrare i risultati dopo due anni di lavoro.

“L’obiettivo generale del Progetto era quello di effettuare un’analisi seria e approfondita su queste tematiche, fondata su protocolli scientifici verificabili, così da fornire a istituzioni e cittadini informazioni attendibili utili per la migliore comprensione dei fenomeni e l’assunzione delle opportune decisioni”, ha dichiarato Alfredo Pini, responsabile scientifico del progetto per il sistema SNPA.

“Dai risultati emerge che nel corso del lockdown a trainare la riduzione delle emissioni inquinanti è stato principalmente il trasporto stradale, con una riduzione di circa il 60% degli ossidi di azoto, del 66% del PM2.5 e dell’87% del monossido di carbonio”, ha spiegato Ilaria D’Elia, ricercatrice ENEA del Laboratorio inquinamento atmosferico.

Il settore industriale ha maggiormente inciso sulla riduzione delle emissioni di ossidi di zolfo (circa 90%) e di composti organici volatili non metanici (circa 80%), mentre il residenziale/terziario ha registrato un incremento delle emissioni di PM2.5, per la maggiore presenza delle persone nelle abitazioni e quindi un maggior utilizzo della biomassa (legna e pellet) per il riscaldamento. Il settore marittimo ha contribuito ad una riduzione delle emissioni di ossidi di azoto di circa l’8% e di ossidi di zolfo di circa il 3%”. “In particolare, gli effetti del calo generalizzato delle emissioni sulle concentrazioni di inquinanti e sulle polveri sottili secondarie sono stati particolarmente complessi. Si sono osservati: un calo evidente di NO2, un aumento di ozono in aree urbane e un calo modesto di polveri sottili a dimostrazione che interventi mirati in un unico settore non necessariamente portano alle riduzioni di concentrazione auspicate, soprattutto per quanto concerne le polveri sottili”, ha aggiunto D’Elia.

Per ottenere un quadro il più approfondito possibile, ENEA ha messo a disposizione i dati del suo  Osservatorio climatico di Lampedusa, che per caratteristiche geografiche è un sito rappresentativo delle condizioni del Mediterraneo centrale. “Nonostante rispetto al 2019 le emissioni annuali di CO2 si siano ridotte dell’8,9% a livello nazionale e del 5,4% a livello globale, l’aumento annuo della concentrazione atmosferica di CO2 di fondo non ha subito variazioni evidenti rispetto al periodo precedente al lockdown”, ha commentato Giandomenico Pace, responsabile del Laboratorio ENEA di Osservazioni e misure per l’ambiente e il clima.

Una questione molto controversa, che fin dagli inizi della pandemia ha suscitato un acceso dibattito nella comunità scientifica, è stata la possibilità che il particolato atmosferico possa agire da carrier in fase aereodispersa, ovvero ‘trasportare’ il virus SARS-CoV-2 in atmosfera. I ricercatori ENEA hanno provato a rispondere a tale domanda sfruttando il supercalcolatore CRESCO 6 per disegnare modelli molecolari e testare le loro interazioni, mediante simulazioni numeriche di dinamica molecolare classica. “Si tratta di un approccio innovativo e di grande interesse scientifico: la strategia adottata in Pulvirus è consistita nella realizzazione di una possibile interfaccia PM-virus, a partire da modelli semplificati di PM2.5 e SARS-CoV-2, che non ha escluso il ruolo del PM come carrier. Ad ogni modo questo primo esperimento numerico non consente di confermare l’esistenza di un legame stabile per tutta la durata dei processi di dispersione e trasformazione del PM in atmosfera e se lo stesso virus rimanga vivo e attivo”, ha concluso Caterina Arcangeli, ricercatrice ENEA del Laboratorio Salute e ambiente.

Per maggiori informazioni:

Per maggiori informazioni e i risultati completi del progetto Pulvirus: https://www.pulvirus.it

Note

[1] Composto da ISPRA e dalle 21 Agenzie Regionali e Provinciali del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (ARPA e APPA)
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