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Dimetilfumarato efficace per manifestazione sintomatica di sclerosi multipla

Nei pazienti con sclerosi multipla trattati con tolebrutinib nuovi studi hanno rilevato benefici clinici e radiologici fino a tre anni

Il dimetilfumarato ha ridotto il rischio di prima manifestazione sintomatica di sclerosi multipla nelle persone con sindrome radiologicamente isolata

Il dimetilfumarato (DMF) ha ridotto il rischio di prima manifestazione sintomatica di sclerosi multipla (SM) nelle persone con sindrome radiologicamente isolata (RIS), in base ai dati dello studio ARISE, i cui risultati sono stati presentati ad Amsterdam, nel corso dell’edizione 2022 dell’ European Committee for Treatment and Research in Multiple Sclerosis (ECTRIMS).

In effetti, il rischio di un primo evento clinico demielinizzante nell’arco di 96 settimane è stato ridotto sia nei modelli non aggiustati (HR 0,18, IC 95% 0,05-0,63,P=0,007) che aggiustati (HR 0,07, IC 95% 0,01-0,45,P=0,005) grazie al trattamento con DMF, ha riferito Darin Okuda, della University of Texas Southwestern Medical Center di Dallas.

«Questo è il primo studio clinico che ha davvero dimostrato il beneficio di una determinata terapia modificante la malattia (DMT) nel prevenire un primo evento clinico acuto nelle persone con RIS» ha sottolineato Okuda.

I risultati supportano il beneficio di un intervento precoce nello spettro della malattia SM, ha osservato Okuda. «In futuro, vorremmo vedere eseguiti ulteriori studi per valutare l’impatto sulle misure di esito della disabilità dopo il trattamento per un periodo di tempo significativo» ha aggiunto.

La RIS rappresenta la fase preclinica rilevabile più precoce della SM. «Tali individui possiedono anomalie incidentali, altamente indicative della SM, ma mancano di sintomi tipici e i risultati strutturali differiscono notevolmente da quelli osservati nella malattia della sostanza bianca non specifica» ha osservato Okuda.

Studio eseguito in 12 centri statunitensi
Lo studio ha reclutato persone con RIS da marzo 2016 a ottobre 2019 in 12 centri statunitensi, randomizzando 87 partecipanti a DMF (44 persone) o placebo (43 persone).

«Abbiamo impiegato due comitati indipendenti per questo studio» ha dichiarato Okuda. «Entrambi hanno valutato i dati clinici e di imaging mediante consenso di aggiudicazione e, se lo screening avesse avuto successo, i pazienti sarebbero stati randomizzati a uno a uno a ricevere DMF in conformità con l’RCP approvato dalla FDA oppure placebo».

Le valutazioni cliniche formali sono state acquisite alle settimane 0, 48, 96 e al momento di un primo evento clinico. Le scansioni MRI sono state eseguite alle settimane 0 e 96. «Dieci degli 87 individui non hanno completato tutte le 96 settimane poiché lo studio è stato interrotto prematuramente dallo sponsor a causa del lento ritmo di reclutamento» ha sottolineato Okuda.

Meno lesioni iperintense in T2 nuove o di recente ingrandimento
Al basale, l’età media era 43,6 anni nel gruppo in trattamento e 44,8 nel gruppo placebo. Entrambi i gruppi erano costituiti per il 70% da donne e al basale i punteggi dell’Expanded Disability Status Scale (EDSS) erano pari a 1 su una scala da 0 a 10. Quasi il 90% dei partecipanti era caucasico. Nel gruppo DMF, sei persone su 38 presentavano lesioni che aumentano il gadolinio al basale; nel gruppo placebo, erano due su 28 persone.

Aggiustando per il numero di lesioni che aumentano il gadolinio al basale, ci sono state meno lesioni iperintense pesate in T2 nuove o di recente ingrandimento nel gruppo DMF rispetto al placebo (HR 0,20, IC 95% 0,04-0,94,P=0,042).

L’aumento del gadolinio era presente in un solo partecipante alla settimana 96. Reazioni avverse più moderate sono emerse nel gruppo DMF (32%) rispetto al placebo (21%), ma gli eventi gravi sono stati simili (5% vs. 9%, rispettivamente). «Non abbiamo visto nulla di notevole per quanto riguarda le reazioni avverse» ha osservato Okuda.

Mancata acquisizione dell’imaging del midollo spinale, limite della ricerca
In una discussione dopo la presentazione, Mark Freedman, dell’Università di Ottawa in Canada, ha chiesto quale percentuale di partecipanti avesse lesioni del midollo cervicale e se quei pazienti fossero più inclini alla conversione in SM.

«Sfortunatamente, a causa delle restrizioni nei finanziamenti, non siamo stati in grado di acquisire l’imaging del midollo spinale in modo ben organizzato e uniforme» ha detto Okuda.

«Non abbiamo esaminato i nostri dati in questo modo perché non tutti avevano effettivamente l’imaging del midollo spinale» ha aggiunto. «Riconosciamo che questo è un potenziale limite per il nostro studio, in quanto potrebbe esserci stato uno squilibrio tra i gruppi in termini di lesioni del midollo spinale».

Fonte:
Okuda DT, et al “Multi-center, randomized, double-blinded assessment of dimethyl fumarate in extending the time to a first clinical demyelinating event in radiologically isolated syndrome (ARISE)” ECTRIMS 2022; Abstract O179.

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