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Insufficienza cardiaca e carenza di ferro: bene l’integrazione endovenosa

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L’integrazione di ferro per via endovenosa a lungo termine nei pazienti con insufficienza cardiaca e carenza di ferro è risultata sicura e ha ridotto il rischio di ricoveri

L’integrazione di ferro per via endovenosa (IV) a lungo termine nei pazienti con insufficienza cardiaca (HF) e carenza di ferro è risultata sicura e ha ridotto il rischio di ricoveri ricorrenti per HF e morte cardiovascolare (CV) rispetto alle cure usuali. È quanto emerso dallo studio IRONMAN (Effectiveness of Intravenous iron treatment vs. standard care in patients with heart failure and iron deficiency), presentato a Chicago nel corso delle Sessioni Scientifiche dell’American Heart Association (AHA) e pubblicato contemporaneamente online su “The Lancet”.

Un quadro clinico frequente
«La carenza di ferro è molto comune nei pazienti con HF. Circa il 30-50% dei pazienti ambulatoriali è carente di ferro e, focalizzandosi sui pazienti con HF scompensata che sono ricoverati in ospedale, la quota è di circa il 75%» ha detto Paul R. Kalra, consulente cardiologo e specialista in HF presso il Portsmouth Hospitals University National Health Service Trust e docente senior onorario presso l’Università di Glasgow nel Regno Unito.

La carenza di ferro nei pazienti con HF è associata a ridotta qualità della vita, scarsa capacità di esercizio e maggiore rischio di ricovero o morte. «Il trattamento della carenza marziale con infusione IV di carbossimaltosio ferrico ha dimostrato di essere in grado di migliorare la qualità della vita e la capacità di esercizio fino a 24 settimane per i pazienti con HF e ridotta frazione di eiezione (HFrEF)» ha affermato Kalra.

«Nonostante parecchi grande successi terapeutici nei recenti decenni, molte persone con HF hanno ancora sintomi che limitano la loro vita quotidiana e i tassi di ricoveri ospedalieri e di mortalità rimangono alti» ha però sottolineato.

«Vi è quindi urgente necessità di nuove cure che siano sicure e convenienti» ha aggiunto. «L’ipotesi per lo studio IRONMAN era appunto quella di valutare un diverso prodotto di ferro IV utilizzando derisomaltosio ferrico».

Metodi ed endpoint dello studio IRONMAN
Lo studio ha confrontato gli effetti dell’integrazione IV di ferro con derisomaltosio ferrico (400 μg/L) e la cura usuale (che non comprende il trattamento con ferro IV) in pazienti con HFrEF (45%) e carenza di ferro, che è stata definita come bassa saturazione della transferrina (< 20%) o ferritina inferiore a 100 μg/L.

Un totale di 1.137 pazienti reclutati in 70 siti del Regno Unito sono stati assegnati in modo casuale a ricevere l’integrazione di ferro IV o le cure usuali. L’età media dei partecipanti era di 73 anni e il 74% erano maschi.

Dopo la somministrazione IV di ferro inziale, è stato effettuato un ridosaggio alla settimana 4, al mese 4 e successivamente ogni 4 mesi se la ferritina era continuamente inferiore a 100 μg/L o la saturazione della transferrina rimaneva al di sotto del 25%. Il follow-up mediano è stato di 2,7 anni. L’esito primario erano i ricoveri ricorrenti per HF e i decessi CV. L’esito primario di sicurezza erano i decessi e i ricoveri ospedalieri dovuti a infezione.

Un totale di 336 eventi dell’endpoint primario si sono verificati nel gruppo derisomaltosio ferrico e 411 nel gruppo di cura usuale, per un tasso di eventi di 22,4 per 100 pazienti-anno rispetto a 27,5 per 100 pazienti-anno (RR = 0,82; 95% CI, 0,66, 1,02; P= 0,07).

Benefici significativi rispetto alla cura standard
I risultati hanno evidenziato che, rispetto alla sola cura standard, la somministrazione di ferro IV a lungo termine avevo vantaggi significativi per le persone con HF e carenza di ferro. Sul periodo medio di follow-up di due anni e mezzo, l’analisi complessiva indica che :

Più in dettaglio, tra i principali risultati secondari, i ricercatori hanno riportato una migliore qualità della vita a 4 mesi valutata mediante Minnesota Living With Heart Failure Questionnaire nel gruppo ferro IV rispetto alle cure usuali (P = 0,05). La differenza nella qualità della vita non era più significativa a 20 mesi (P = 0,23). I ricercatori non hanno inoltre riportato alcuna differenza nei decessi o nell’ospedalizzazione a causa di infezione tra i due gruppi.

«Nei pazienti con HF, carenza di ferro e ridotta frazione di eiezione, nella coorte principale ci sono stati meno ricoveri per HF e morti CV e il ferro IV è stato ben tollerato senza problemi di sicurezza» ha ribadito Kalra durante la presentazione.

L’influsso determinato dalla pandemia di COVID-19
A causa della pandemia di COVID-19, i tassi di reclutamento e di eventi sono stati inferiori al previsto. Kalra ha detto che, con il progredire dello studio, meno pazienti hanno partecipato alle visite di follow-up di persona e ricevuto dosi aggiuntive di ferro IV se necessarie. «Questo ha influenzato lo studio ed è probabile che abbia ridotto l’entità del beneficio visto con il ferro IV» ha specificato Kalra.

Sebbene il 98% dei partecipanti abbia ricevuto almeno un’iniezione, solo circa la metà ne ha ricevuta una seconda. Tra i pazienti assegnati alle cure abituali, il 17% ha ricevuto una o più dosi di ferro IV.

Per rendere conto di questi fattori, i ricercatori hanno condotto un’analisi di sensibilità prespecificata che includeva tutti i pazienti randomizzati fino al 31 marzo 2020, con una data di censura fissata al 30 settembre 2020. Nell’analisi COVID-19, l’integrazione di ferro IV è rimasta significativamente associata a un minor numero di eventi dell’esito primario fino a 1 anno rispetto alla cura abituale (210 eventi [22,3 per 100 pazienti-anno] vs. 280 eventi [29,3 per 100 pazienti-anno]; RR = 0,76; IC 95%, 0,58-1; P= 0,047).

«In uno studio che è stato marcatamente influenzato dal COVID-19, con un sottodosaggio per vari periodi di tempo e con 1 persona su 6 nel braccio di cura abituale che ha ricevuto ferro IV, quando si osserva l’analisi di sensibilità COVID-19 i benefici del ferro IV sono rimasti statisticamente significativi, con una riduzione del rischio del 24%» ha aggiunto.

Che cosa emerge di nuovo da questa ricerca?
«Credo che le implicazioni di questo studio si basino sugli altri dati che abbiamo a disposizione, ovvero che correggere la carenza di ferro può aiutare a migliorare il benessere dei pazienti e in particolare ridurre il rischio di ospedalizzazione in una vasta gamma di pazienti. Inoltre, abbiamo esami del sangue semplici e prontamente disponibili con i quali identificare i pazienti» ha detto Kalra.

«Questi risultati dimostrano che il dosaggio ripetuto con ferro IV è un’opzione di trattamento benefica, sicura e ben tollerata che può migliorare il benessere degli adulti con HF e carenza di ferro entro pochi mesi» ha sottolineato Kalra. «Questo studia si basa sull’evidenza che il ferro IV può portare beneficio a un’ampia gamma di persone con HF, comprese quelle che sono ricoverate in ospedale, dimesse di recente o che sono visitate in ambulatorio».

Ricerche aggiuntive sono necessarie per confermare che il trattamento con ferro IV possa o meno ridurre anche la mortalità nelle persone con malattia cardiaca e per aiutare a identificare marcatori addizionali di deficit di ferro per migliorare l’accuratezza diagnostica. Mentre lo studio condotto non ha confrontato specificamente il ferro IV con quello orale, una precedente ricerca ha suggerito che il ferro orale possa non essere efficace per le persone con HF.

Vi erano alcune limitazioni. «Lo studio era non in cieco causa del colore scuro del ferro IV – rispetto a un placebo salino chiaro – e per la difficoltà di tenere in cieco pazienti e personale per uno studio di più lunga durata» ha affermato Kalra. «Per ridurre il rischio di bias, gli investigatori che hanno rivisto e validato gli esiti dello studio non erano al corrente di quale trattamento fosse stato assegnato a ciascun paziente».

In ogni caso, questo studio fornisce «rassicurazioni sulla sicurezza a lungo termine del derisomaltosio ferrico IV» in questa popolazione, ha concluso Kalra.

Bibliografia:
Kalra PR, Cleland JGF, Petrie MC, et al. Intravenous ferric derisomaltose in patients with heart failure and iron deficiency in the UK (IRONMAN): an investigator-initiated, prospective, randomised, open-label, blinded-endpoint trial. 2022 Nov 5. doi:10.1016/S0140-6736(22)02083-9. [Epub ahead of print] Link

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