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Dermatomiosite: immunoglobuline per via endovenosa efficaci

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Nuovo studio promuove l’uso di immunoglobuline per via endovenosa per il trattamento degli adulti con dermatomiosite

Con l’uso di immunoglobuline per via endovenosa per il trattamento degli adulti con dermatomiosite, una percentuale significativamente più elevata di pazienti rispetto al placebo ha ottenuto un miglioramento almeno minimo dell’attività della malattia nel primo studio di fase III condotto sulla terapia con emoderivati, ​​pubblicato sul New England Journal of Medicine.

Per il trattamento della dermatomiosite la terapia di prima linea prevede generalmente l’impiego di glucocorticoidi, seguiti da vari immunosoppressori. Le immunoglobuline per via endovenosa (IVIg) sono composte da concentrati di IgG purificate da plasma umano e vengono prescritte fuori indicazione come terapia di seconda o terza linea per la dermatomiosite, di solito insieme a farmaci immunosoppressori. Nelle linee guida europee sono state raccomandate come trattamento risparmiatore di glucocorticoidi per i pazienti affetti dalla condizione.

«Lo studio supporta l’efficacia delle IVIg nel trattamento dei segni e dei sintomi dei pazienti con dermatomiosite, almeno a breve termine» ha affermato David Fiorentino, professore di dermatologia presso lo Stanford Health Care in California, non coinvolto nello studio. «La terapia con IVIg sembra essere efficace per i pazienti con qualsiasi livello di gravità di malattia e funziona in modo relativamente rapido, entro 1 mese dalla somministrazione. È efficace nel trattamento sia dei sintomi muscolari che dell’eruzione cutanea della dermatomiosite, un risultato importante perché entrambi i sistemi di organi possono causare una significativa morbilità del paziente».

Il tempo di miglioramento è stato più breve con IVIg rispetto al placebo (una mediana di 35 giorni contro 115 giorni), ha dichiarato Kathryn Dao, professoressa presso la Divisione di Malattie Reumatiche dello University of Texas Southwestern Medical Center di Dallas, anch’essa non coinvolta nello studio. «I maggiori punti di forza dello studio sono il suo disegno internazionale, multicentrico, randomizzato e controllato con placebo. Inoltre a questi pazienti è stato permesso di assumere farmaci di base che normalmente utilizziamo in situazioni del mondo reale» ha aggiunto.

Disegno dello studio
I ricercatori guidati da Rohit Aggarwal, della Divisione di Reumatologia e Immunologia Clinica dell’Università di Pittsburgh, Pennsylvania, hanno reclutato 95 pazienti di età compresa tra 18 e 80 anni con dermatomiosite attiva, assegnati in modo casuale in un rapporto 1:1 a ricevere IVIg alla dose di 2,0 g/kg di peso corporeo o placebo (0,9% di cloruro di sodio) ogni 4 settimane per un totale di 16 settimane.

I soggetti a cui è stato somministrato il placebo e quanti non hanno manifestato un deterioramento clinico confermato durante il trattamento con IVIg, hanno potuto partecipare a una fase di estensione in aperto di ulteriori 24 settimane.

L’endpoint primario era una risposta, definita come un punteggio di miglioramento totale (TIS) di almeno 20 (che indica un miglioramento minimo) alla settimana 16 e nessun deterioramento confermato fino alla settimana 16. Il TIS è un punteggio composito ponderato che riflette il cambiamento in un insieme di sei misure relative all’attività della miosite nel tempo. I punteggi vanno da 0 a 100, dove punteggi più alti indicano un miglioramento più significativo.

Gli endpoint secondari chiave includevano un miglioramento moderato (TIS ≥40) e un miglioramento maggiore (TIS ≥60), oltre alla variazione del punteggio del Cutaneous Dermatomyositis Disease Area and Severity Index.

Raggiunti gli endpoint primari e secondari
Dopo 16 settimane, un TIS ≥20 è stato raggiunto dal 79% del gruppo IVIg e dal 44% del gruppo placebo (differenza del 35%, P<0,001).

I risultati degli endpoint secondari, inclusi un miglioramento moderato e un miglioramento maggiore hanno mostrato la stessa tendenza di quelli relativi all’endpoint primario, fatta eccezione per la variazione del livello di creatinchinasi (una misura centrale individuale del TIS), che non differiva significativamente tra i due gruppi.

Relativamente al profilo di sicurezza, nel corso di 40 settimane sono stati documentati 282 eventi avversi correlati al trattamento tra i pazienti che hanno ricevuto IVIg, principalmente cefalea (42%), piressia (19%) e nausea (16%). Si sono verificati nove eventi avversi gravi che sono stati ritenuti associati alle IVIg, inclusi sei eventi tromboembolici.

Alcune debolezze dello studio da migliorare
Una percentuale considerevole di pazienti con dermatomiosite non ha un coinvolgimento muscolare clinico ma ha eruzioni cutanee e sostanzialmente non differisce in altri modi dai soggetti affetti dalla forma classica della malattia, ha detto Fiorentino. «Questi pazienti non erano idonei a partecipare allo studio, quindi non abbiamo dati sull’efficacia di IVIg in questa popolazione» ha affermato. «Purtroppo a questi soggetti potrebbe essere ora negato il rimborso dell’assicurazione per la terapia con IVIg, dato che non rientrano tra i pazienti indicati nel foglietto illustrativo».

Inoltre, ci sono informazioni limitate sui pazienti neri, asiatici o ispanici perché in pochi hanno partecipato allo studio. Questo vale anche per le persone con meno di 18 anni di età, che per questa malattia è rilevante, dato che l’incidenza raggiunge picchi nei pazienti più giovani (dermatomiosite giovanile), ha osservato.

Tra i punti deboli dello studio, Dao ha notato che oltre il 70% dei partecipanti erano donne, la sperimentazione era di breve durata, meno della metà dei pazienti è stata sottoposta a biopsia muscolare per confermare la miosite e solo due terzi sono stati sottoposti a studi di elettromiografia/conduzione nervosa per mostrare evidenza di miosite. C’è stata anche un’elevata risposta al placebo (44%), i valori di creatinchinasi non erano elevati all’inizio dello studio e non sono cambiati con il trattamento.

Referenze

Aggarwal R et al. Trial of Intravenous Immune Globulin in Dermatomyositis. N Engl J Med. 2022 Oct 6;387(14):1264-1278.

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