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Uffizi diffusi: la Madonna del Baldacchino torna a Pescia dopo 300 anni

madonna del baldacchino

Uffizi Diffusi: la Madonna del Baldacchino, acquistata da Baldassarre Turini, amico di Raffaello, restò nella Cattedrale di Pescia fino alla fine del Seicento e ora vi fa ritorno

Un’importante pala d’altare di Raffaello, la Madonna del Baldacchino, si prepara a tornare da Palazzo Pitti a Pescia, la città dove si trovava fino alla fine del Seicento. Per tre mesi, dal 29 aprile al 30 luglio 2023, l’opera sarà esposta nella Cattedrale di Pescia, dove dialogherà con la copia commissionata al pittore fiorentino Pier Dandini, alla fine del Seicento, per sostituirla al momento del suo ritorno a Firenze. L’iniziativa è un progetto speciale nell’ambito degli Uffizi Diffusi: a sostenere e finanziare interamente l’ambiziosa operazione è la Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia. La Madonna del Baldacchino si trova in questo momento all’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, dove, in vista della ‘trasferta’, è stata sottoposta ad accurate indagini diagnostiche per vagliarne lo stato di salute. Il responso degli specialisti ha stabilito che l’opera sta bene, può essere spostata a Pescia ed essere esposta in Duomo senza problemi ed ha avuto solo bisogno di un leggerissimo intervento di consolidamento nella porzione più alta del supporto ligneo.

Realizzata da Raffaello tra il 1506 e il 1508 su commissione della famiglia Dei, la grande pala era stata concepita per la Chiesa di Santo Spirito a Firenze, dove però non andò mai. Ne venne in possesso, non molti anni dopo, il suo amico ed esecutore testamentario Baldassarre Turini (1481-1543), alto prelato della Santa Sede nel primo Cinquecento nonché esponente di spicco della comunità pesciatina. Arrivato nella città della Valdinievole, il dipinto fu posto in Duomo, sull’altare della cappella-mausoleo dei Turini che lo stesso Baldassarre aveva fatto erigere tra gli anni ’30 e ’40 del XVI secolo anche per accogliere degnamente la pala dell’Urbinate. La Madonna del Baldacchino vi rimase per un secolo e mezzo, fino al 1697: in quell’anno fu acquistata dal Gran Principe Ferdinando de’ Medici, che la riportò a Firenze nella reggia di Palazzo Pitti, sua attuale sede, dove è esposta tra i capolavori della Galleria Palatina. Nel Duomo di Pescia fu collocata la copia dipinta da Pier Dandini: anche questo dipinto è stato nei mesi scorsi sottoposto a controllo e restauro, in preparazione della mostra che presto lo vedrà a confronto con l’originale di Raffaello.

La Madonna del Baldacchino di Raffaello, cenni storici

Raffaello Sanzio

Madonna del Baldacchino

1506-1508

Olio su tela

cm 248×216 (dimensioni originali della tavola) – cm 280×216 (con l’ampliamento del 1697)

Questa pala è l’unica, ad oggi nota, fra quelle di grandi dimensioni e di destinazione pubblica appartenenti al periodo fiorentino di Raffaello. Della sua storia sappiamo molto grazie alla testimonianza di Giorgio Vasari che ricorda come Raffaello avesse ricevuto la commissione del dipinto dalla famiglia Dei, titolare di una cappella nella chiesa di fiorentina di Santo Spirito. Chiamato a Roma nell’autunno del 1508 da papa Giulio II che gli affidò la decorazione dei suo appartamenti in Vaticano (oggi noti universalmente come Stanze di Raffaello), l’Urbinate lasciò incompiuta la pala per i Dei che dunque non raggiunse mai la chiesa e fu rimpiazzata nel 1522 dalla Sacra Conversazione di Rosso Fiorentino, anch’essa oggi esposta nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti. Dopo la morte di Raffaello (o forse anche prima), la Madonna del Baldacchino fu acquistata da Baldassarre Turini, potente segretario di Leone X e datario apostolico, grande amico di Raffaello di cui fu pure esecutore testamentario, rampollo di una delle famiglie più in vista di Pescia, che la destinò alla cappella della sua famiglia nella Cattedrale della sua città natale. Qui rimase fino al 1697, anno nel quale fu comprata dal Gran Principe Ferdinando de’ Medici, figlio del granduca Cosimo III ed erede al trono granducale. La vendita scatenò violente reazioni da parte dei pesciatini, profondamente legati al culto della Vergine e al quadro di Raffaello, tanto che fu necessario spostarla di notte per poterla trasportare a Firenze, sostituendola con una copia eseguita dal fiorentino Pier Dandini. Giunta a Palazzo Pitti, la pala fu appesa nell’appartamento di Ferdinando, nell’ala meridionale del primo piano. Per adattarla al contesto della collezione principesca e alla cornice lignea intagliata e dorata che ancora possiede, la pittura fu ampliata nella parte superiore dal pittore di corte Niccolò Cassana; si spiegano così il coronamento del baldacchino a forma di cono e la calotta a lacunari che ricalca quella del Pantheon a Roma. L’invenzione di Raffaello è una delle sue più memorabili per l’armonia delle figure, la delicatezza delle espressioni e la capacità di costruzione dello spazio, arioso e monumentale ma al tempo stesso misuratissimo, elementi che provano quanto Raffaello padroneggiasse con autonomia i modelli appresi a Firenze da Fra Bartolomeo, Leonardo e Michelangelo. Il restauro compiuto presso i laboratori dell’Opificio delle Pietre Dure tra il 1987 e il 1991, e le recenti indagini compiute dallo stesso istituto in occasione della iniziativa di Uffizi Diffusi hanno stabilito che la pittura ha gradi diversi di avanzamento nell’esecuzione, ma in nessun punto è del tutto completa, confermando così l’antica testimonianza vasariana.

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